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I trattati stipulati in forma semplificata; l’incidenza della L n 131/

3. Il limite degli obblighi internazional

3.3. La difficile ricostruzione della portata del limite; considerazioni alla luce del prin cipio di supremazia del Parlamento

3.3.2. I trattati stipulati in forma semplificata; l’incidenza della L n 131/

Nell’interrogarsi circa la portata del limite degli obblighi internazionali, le questioni relative ai trattati non ancora recepiti e, rispettivamente, stipulati in forma semplificata, presentano fra loro una forte interconnessione. La soluzione testé proposta quanto alla prima delle due questioni risulta, invero, accettabile sotto il profilo della supremazia del Parlamento soltanto a condizione che si ricusi o quantomeno si argini la copertura costi- tuzionale degli accordi in forma semplificata. Essi, infatti, si perfezionano nell’ordina- mento internazionale senza necessità di ratifica, per effetto della sola sottoscrizione da parte dei rappresentanti governativi a ciò autorizzati (107). Tuttavia, tralasciare la fase della ratifica significa escludere in radice un previo intervento parlamentare d’autorizza- zione: significa lasciare il Parlamento – e con esso la rappresentanza delle minoranze politiche – ai margini dell’attività internazionale dello Stato, che il Governo potrebbe strumentalizzare al fine di realizzare in libertà il proprio programma politico.

Si riscontrano, nondimeno, anche nelle Carte costituzionali più attente a limitare la discrezionalità dell’esecutivo, ambiti – per quanto residuali e di carattere eccezionale – nei quali resta esclusa la necessità dell’intervento parlamentare ai fini della stipulazione

(107) Di tale tipo di accordi si occupa l’art. 12 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei

trattati, che ne limita l’obbligatorietà per gli Stati contraenti ai soli casi in cui dalle negoziazioni o dal te- sto di tali accordi risulti chiaramente la volontà degli stessi di vincolarsi in modo immediato.

di validi accordi internazionali (108). Trattasi, generalmente, di convenzioni prive di ca- rattere politico, non interferenti con materie coperte da riserve di legge e non implicanti, ai fini della loro esecuzione, l’adozione di strumenti interni di tipo legislativo. L’intensi- ficarsi dei rapporti internazionali e la necessità di regolamentare vasti aspetti di tali rela- zioni hanno reso ordinaria la negoziazione e stipulazione di molteplici convenzioni di secondaria importanza politica o di mero carattere tecnico-amministrativo, le quali a- vrebbero oberato i Parlamenti nazionali chiamati ad autorizzarne puntualmente la ratifi- ca (109). Per questo, la soluzione generalmente accolta è stata quella di consentire, in tali ambiti residuali, l’eccezionale stipulazione di accordi in forma semplificata.

Restando, per definizione, preclusa l’incidenza di tale tipo di accordi sulla legisla- zione interna, l’astratta compatibilità di tale soluzione con il principio di supremazia del Parlamento non sembrerebbe revocabile in dubbio, per gli stessi motivi che giustificano l’attribuzione all’esecutivo di una potestà normativa interna di rango secondario (110). Tuttavia, se è ben vero che l’art. 80 Cost. impone l’autorizzazione parlamentare alla ra- tifica di tutti i trattati internazionali che siano di natura politica, o prevedano arbitrati o regolamenti giudiziari, o importino variazioni del territorio od oneri alle finanze o modi- ficazioni di leggi, è nondimeno lo stesso Governo, in prima battuta, a valutare se un de- terminato trattato rientri o meno in una di queste – pressoché onnicomprensive – catego- rie. E non di rado il Governo abusa di questo proprio potere, adottando la forma sempli- ficata anche per trattati che richiederebbero, invece, l’autorizzazione parlamentare alla ratifica (111). Non immune da responsabilità è, peraltro, lo stesso Parlamento, che non senza ragione L.S. ROSSI taccia di «pigrizia» e «connivenza» per il fatto di accordare

(108) Cfr., a titolo esemplificativo, l’art. 50 della Costituzione austriaca del 1920, l’art. 76 della Co-

stituzione spagnola del 1931, l’art. 53 della Costituzione francese della V Repubblica, l’art. 94 della Co- stituzione spagnola del 1978 (il quale ultimo, peraltro, stabilisce altresì che le Camere dovranno essere immediatamente informate della conclusione dei trattati la ratifica dei quali non abbiano autorizzato).

(109) Cfr. A. TOMMASI DI VIGNANO, M. SOLINA, Profili di diritto internazionale, Torino, 1990, p.

79; A. TANZI, Introduzione al diritto internazionale contemporaneo, Padova, 2003, p. 132.

(110) V. supra, § 1.3.

(111) Su questo fenomeno, Cfr. B. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 69 ss., secondo il quale in tali casi, essendo l’esecutivo privo della competenza costituzionale per stipulare il trattato, questo do- vrebbe considerarsi già sul piano dell’ordinamento internazionale alla stregua di un’intesa priva di carat- tere giuridico, non vincolante (per violazione dell’art. 46 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati) sino ad eventuale successivo intervento favorevole delle Camere, adottato nelle forme appro- priate. Contra, A. CASSESE, Diritto internazionale, I, I lineamenti, Bologna, 2003, p. 188 s. Quest’ultimo A. (ID., Il diritto internazionale nel mondo contemporaneo, Bologna, 1984, p. 211) si dimostra, peraltro,

consapevole dei rischi che la prassi degli accordi incostituzionalmente stipulati in forma semplificata im- plica per la stabilità delle relazioni interne tra Parlamento e Governo: imputa, infatti, espressamente tale prassi non soltanto alla «necessità di disciplinare questioni urgenti servendosi di procedure rapide», ma anche al «vantaggio di aggirare i Parlamenti nazionali in aree nelle quali il potere esecutivo preferisce ri- servarsi una certa flessibilità e ampiezza di poteri».

passivamente una sorta di sanatoria del vizio originario di questo tipo di accordi, allor- ché emana con legge il relativo ordine di esecuzione o altro atto di recepimento, in guisa di conferma ex post dell’illegittimo operato del Governo (112).

Ciò posto, se il limite degli obblighi internazionali si estendesse anche a favore de- gli accordi in forma semplificata, per giunta sin dal momento del loro perfezionamento nell’ambito internazionale e a prescindere dal loro recepimento nell’ordinamento inter- no, di conseguenza il Parlamento verrebbe a trovarsi astretto da norme internazionali al- la cui formazione non è stato in minima parte coinvolto. Ebbene, imporre in via genera- le al Parlamento il rispetto di atti internazionali liberamente posti in essere «in modo so- lipsistico» (113), «in sovrana solitudine» (114) dal Governo – o persino da parte di singoli esponenti ministeriali – significherebbe, evidentemente, privare l’organo rappresentati- vo della sovranità popolare della qualificazione di fonte soggettiva primaria di produ- zione normativa, attribuzione su cui si fonda il primo enunciato del principio di supre- mazia del Parlamento. Ne uscirebbe alterato l’assetto complessivo delle relazioni fra i due organi, determinandosi un significativo squilibrio delle stesse a tutto vantaggio del Governo (115). Quest’ultimo godrebbe, così, della possibilità di “giocare d’anticipo” (116),

potendo realizzare senza inciampi il proprio indirizzo politico attraverso strumenti che non richiedono approvazione da parte del Parlamento, per poi costringerlo ad adeguar- visi ex post.

(112) Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del titolo V della Costituzione, cit.: l’A.

addita altresì l’inaccettabile prassi parlamentare di delegare al Governo «la conclusione di “accordi di ap- plicazione” di accordi precedenti, i quali hanno spesso importanti valenze politiche o di bilancio». Sul punto, Cfr. altresì L. BARTOLOMEI, La garanzia costituzionale dei trattati alla luce della legge 5 giugno

2003 n. 131 contenente disposizioni per l’adeguamento alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3,

cit., p. 864.

(113) L’espressione è di L. VIOLINI, Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome, cit., p. 119.

(114) L’espressione è di A. RUGGERI, Quale “sistema” delle fonti dopo la riforma del Titolo V?, cit.,

p. 4.

(115) Cfr. M. LUCIANI, Camicia di forza federale, in La Stampa, 03.03.2001, p. 1; M.A. SANDULLI,

Due aspetti della recente riforma al Titolo V della Costituzione, in Rass. Parl., 2001, p. 949 s.; A.

D’ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione Europea, cit.; E.

CANNIZZARO, La riforma federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, cit., p. 925 s.; F.

SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comuni-

tario, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1357; L.S. ROSSI, Gli obblighi internazionali e comunitari nella

riforma del titolo V della Costituzione, cit.; G. MELIS, Vincoli internazionali e norma tributaria interna,

cit., p. 1095 s.; A. BARBERA, I (non ancora chiari) “vincoli” internazionali e comunitari nel primo com-

ma dell’art. 117 della Costituzione, cit., p. 108. Cfr. altresì la Relazione al disegno di legge governativo

n. AS. 1545 del 26.06.2002, cit.

(116) Così A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e “potere estero” delle Regioni, cit., p. 49; L. DE BER- NARDIN, Gli obblighi internazionali come vincolo al legislatore, cit., p. 2063.

La soluzione a questa problematica non potrebbe, peraltro, passare per la delimita- zione della copertura costituzionale a favore dei soli trattati già recepiti. In primo luogo, occorre considerare che manca, nel nostro ordinamento, una generale attribuzione al Parlamento della competenza a dare esecuzione interna agli atti internazionali; sicché gli accordi in forma semplificata, aventi ad oggetto materie carenti di disciplina legisla- tiva, possono ricevere esecuzione anche mediante semplici regolamenti (indipendenti) dell’esecutivo (117). E, come opportunamente segnala A. ANZON, ciò non sarebbe di per

sé ragione sufficiente per negare agli accordi così recepiti la copertura offerta dall’art. 117, I Cost.: tale precetto, infatti, «non imporrebbe che ogni accordo, come che sia ve- nuto ad esistenza, debba poi essere eseguito necessariamente mediante una legge, ma si limiterebbe a prescrivere al legislatore un vincolo di conformità in caso d’intervento, non escludendo perciò che il dovuto recepimento avvenga con atto diverso dalla legge (anch’esso a fortiori astretto al dovere di conformità)» (118).

In secondo luogo, neppure il recepimento con legge degli accordi in forma sempli- ficata risulterebbe sufficiente a salvaguardare in pieno la supremazia parlamentare. Da un lato, il vincolo che già obbliga lo Stato italiano nell’ordinamento internazionale, per quanto lasci formalmente libero il Parlamento di rifiutarne il recepimento, ne condizio- na nondimeno pesantemente la libertà di valutazione ed i margini di manovra, sottopo- nendolo a forti pressioni al fine di evitare che lo Stato incorra in responsabilità interna- zionale (119). Dall’altro lato, quand’anche il Parlamento intendesse non emanare un’ap-

(117) Cfr. T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, cit., p. 691; A. RUGGERI, Fonti,

norme, criteri ordinatori, cit., p. 142. Anche gli accordi conclusi previa autorizzazione parlamentare alla

ratifica potrebbero, in via teorica, trovare esecuzione mediante norme di rango regolamentare, laddove manchi una previa disciplina legislativa e non si verta in materie costituzionalmente riservate alla legge; sennonché, la prassi di racchiudere in un unico provvedimento legislativo, accanto alla legge di autorizza- zione alla ratifica, anche l’ordine di esecuzione, comporta che il problema dell’esecuzione mediante nor- me regolamentari si ponga, nella pratica, soltanto rispetto agli accordi stipulati in forma semplificata.

(118) I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, cit., p. 225. Cfr. altresì A. RUGGERI, Qua-

le “sistema” delle fonti dopo la riforma del Titolo V?, cit., p. 7 ss.; contra, S.M. CICCONETTI, Creazione

indiretta del diritto e norme interposte, cit., nota n. 17, secondo cui «l’obbligo internazionale, così con-

tratto, non sarebbe in grado di vincolare, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., la produzione legislativa interna, poiché un atto subordinato alla legge non può vincolare quest’ultima».

(119) Cfr. A. CASSESE, Art. 80, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, La forma-

zione delle leggi, II, Bologna-Roma, 1979, p. 167 s.; L. BARTOLOMEI, op. cit., p. 865. Cfr. altresì Corte

cost., sent. n. 295 del 14.12.1984, in Giur. Cost., 1984, I, p. 2186 ss., C.i.d. n. 6: «La Costituzione vuole che le Camere valutino in anticipo il testo del trattato, al fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, il limite che, secondo le previsioni degli artt. 80 e 87, circonda l'esercizio del potere di ratifica». La situa- zione, infatti, è paragonabile a quella che, su un fronte tutto interno, si dà con la decretazione d’urgenza da parte dell’esecutivo: pur essendo formalmente libero di rifiutarne la conversione in legge, il Parlamen- to si trova nondimeno «a compiere le proprie valutazioni e a deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo», per un lato, «non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge» e, per l’altro, non spetta impegnare la respon-

posita normativa di recepimento, gli operatori giuridici sarebbero comunque tenuti ad interpretare le discipline legislative esistenti in senso conforme alle norme internaziona- li vincolanti lo Stato sul piano internazionale, svuotando così di significato concreto un simile esercizio di autonomia politica.

Muovendo, dunque, dal preferibile orientamento per cui gli obblighi internazionali vincolano in quanto tali l’esercizio della potestà legislativa, indipendentemente dal loro recepimento, si tratta ora di determinare se questa conclusione sia estensibile o meno agli accordi in forma semplificata, malgrado le gravi ricadute che ciò comporterebbe sulle relazioni fra Parlamento e Governo. Anche su questo punto, la dottrina è assai di- visa. Quella più sensibile al mantenimento degli equilibri costituzionali adotta paradig- mi ermeneutici restrittivi, tendenti ad escludere in radice la possibile copertura costitu- zionale di norme internazionali che il legislatore parlamentare non abbia concorso a produrre (120). Minoritaria, per quanto autorevolmente sostenuta, è invece la tesi esten- siva, secondo cui nessun argine potrebbe in via di principio porsi a tale copertura (121). Esiste, infine, un orientamento intermedio, sostenuto principalmente dalla dottrina in- ternazionalista, per il quale potrebbero integrare il limite all’esercizio della funzione le-

sabilità statale, in mancanza di autorizzazione parlamentare, mediante i trattati contemplati dall’art. 80 Cost.: Cfr. Corte cost., sent. n. 171 del 09.05.2007, in Giur. Cost., 2007, p. 1662 ss., C.i.d. n. 5, con nota di F. SORRENTINO, Ancora sui rapporti tra decreto-legge e legge di conversione: sino a che punto i vizi

del primo posso essere sanati dalla seconda?, p. 1676 ss.

Contra, G. SPERDUTI, Il primato del diritto internazionale nel sistema del diritto interno, cit., p. 221,

ritiene che il principio di supremazia del Parlamento risulti egualmente rispettato «sia che per la stessa conclusione del trattato sia richiesto dai principi costituzionali un atto di autorizzazione parlamentare, sia che […] occorra invece ai fini dell’efficacia interna che il trattato già concluso sia sottoposto […] ad “o- mologazione” parlamentare. L’uno e l’altro modo di intervento parlamentare sono, dunque, dovuti ad una stessa ragione: rispettare le prerogative del Parlamento esigendo che esso dia, laddove prima laddove poi, il suo consenso a trattati volti a determinare nell’ordinamento interno effetti normativi».

(120) Cfr. A. D’ATENA, op. cit.; G. GEMMA, op. cit., p. 605; G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art.

117 della Costituzione e la tutela internazionale dei diritti, cit., p. 1852 s.; A. GUAZZAROTTI, Niente di

nuovo sul fronte comunitario?, cit., p. 479 s.; F. GHERA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario

e dagli obblighi internazionali nei confronti della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, cit., p.

58; G. GERBASI, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali nel nuo-

vo Titolo V Cost., cit., p. 306 ss.; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, cit.,

p. 29; P. CARETTI, Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge dello Stato e delle Re-

gioni, cit., p. 6 s.; T. GROPPI, Attuazione o revisione del Titolo V?, in Ist. Feder., 2003, p. 399; L. VIOLINI,

op. cit., p. 119 ss.; P. CAVALERI, op. cit., p. 7; L. BARTOLOMEI, op. cit., p. 864 s.; S. SERGES, Art. 117,

comma I, cit., p. 2218; A. BARBERA, op. loc. cit.; C. PANARA, Il diritto internazionale nell’ordinamento

interno, cit., p. 11; G. BIANCHI, L’efficacia dei trattati internazionali alla luce dell’art. 117, comma 1 del-

la Costituzione, cit.; T.F. GIUPPONI, Corte costituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allarga-

ti”: che tutto cambi perché tutto rimanga uguale?, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 4.

(121) Cfr. F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto inter-

nazionale e comunitario, cit., p. 1357; ID, I vincoli dell’ordinamento comunitario e degli obblighi inter-

nazionali, in www.federalismi.it, 2004, p. 6; A. ANZON, op. loc. cit.; A. RUGGERI, op. ult. cit., p. 148 s.; ID., Riforma del Titolo V e “potere estero” delle Regioni, cit., p. 50; ID., Quale “sistema” delle fonti do-

po la riforma del Titolo V?, cit., p. 4; C. PINELLI, Art. 1. Attuazione dell’art. 117, primo e terzo comma,

gislativa soltanto quegli accordi che effettivamente l’art. 80 consenta di stipulare in forma semplificata (122).

La tesi estensiva si basa tanto su un argomento letterale, quanto su un bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti. Sotto il primo profilo, A. RUGGERI adduce che

l’art. 117, I non distingue «tra tipo e tipo di obbligo internazionale» e non consente, per- tanto, di escludere dalla portata del limite un’intera categoria di norme da cui gli obbli- ghi internazionali discendono (123). Sotto il secondo profilo, lo stesso Autore individua la ratio della novella nella volontà del legislatore costituzionale di favorire l’«ulteriore avanzata del processo d’integrazione e, in genere, [l]’infittirsi dei vincoli di reciproca solidarietà, in ambito internazionale così come in ambito europeo», a tutela dei valori della pace e della giustizia fra le nazioni (124). La necessità di salvaguardare tali valori, anzi, giustificherebbe il rischio di sovvertire gl’invalsi equilibri nei rapporti tra Parla- mento e Governo; rischio che, peraltro, avrebbe il benefico effetto di spingere verso una più cauta utilizzazione dello stesso strumento degli accordi in forma semplificata (125).

La più volte sottolineata ambiguità del disposto costituzionale, peraltro, impedisce al criterio letterale di risultare di per sé determinante (126); ed il bilanciamento operato

tra gli interessi costituzionalmente rilevanti appare sin troppo ottimistico, non tenendo in conto possibili strumentalizzazioni cui si presterebbe la novella così interpretata. Si è affermata, pertanto, in letteratura, l’idea che soltanto i trattati conclusi nel pieno rispetto delle norme costituzionali – e, fra queste, dell’art. 80 Cost. – possano convertirsi in li- mite all’esercizio della potestà legislativa interna (127).

(122) Cfr. B. CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli

obblighi internazionali e comunitari, cit., c. 231; L.S. ROSSI, op. cit.; G.U. RESCIGNO, Note per la rico-

struzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. Pubbl., 2002, p. 782; P. IVALDI, L’adattamento del dirit-

to interno al diritto internazionale, cit., p. 122; L. DE BERNARDIN, op. cit., p. 2063 s.; G. MELIS, op. loc.

ult. cit.; T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, cit., p. 693 s.; F. CORVAJA, Gli obbli-

ghi internazionali nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, cit., p. 399 ss.; G. GAJA, Il limite costituzionale

del rispetto degli “obblighi internazionali”, cit., p. 136; M. SAVINO, Il cammino internazionale della

Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, cit., p. 768.

Quest’orientamento trova appoggio anche in una prospettiva di diritto comparato. In particolare, il

Conseil d’État francese ha negato la prevalenza sulla legislazione interna a un trattato internazionale in-

debitamente concluso in forma semplificata, per violazione del precetto costituzionale (art. 53) che ri- chiede per quel tipo di trattati l’autorizzazione alla ratifica da parte del Parlamento: Cfr. arrêt 18.12.1998,

SARL du parc d’activité de Blotzheim, in Rev. Gén. Droit Intern. Publ., 1999, p. 753 ss.

(123) Riforma del Titolo V e “potere estero” delle Regioni, cit., p. 49.

(124) Ibidem.

(125) A. RUGGERI, op. loc. ult. cit.; ID., Quale “sistema” delle fonti dopo la riforma del Titolo V?,

cit., p. 4.

(126) V. più approfonditamente infra, § 3.3.5.

(127) Cfr. A. D’ATENA, op. cit.; B. CONFORTI, op. loc. ult. cit.; G.F. FERRARI, op. cit., p. 1853; L.S.

In questa prospettiva, per B. CONFORTI gli accordi in forma semplificata risultereb-

bero inidonei ad integrare il parametro di cui all’art. 117, I in tutti i casi in cui il Gover- no abbia indebitamente scavalcato il Parlamento, agendo in mancanza di sua obbligato- ria autorizzazione; idonei, invece, ad integrarlo in tutti i casi in cui la relativa procedura d’approvazione non abbia comportato una violazione dello stesso art. 80 (128). La critica mossa a quest’orientamento è che esso finirebbe per scaricare sull’interprete – in so- stanza, sulla Corte costituzionale – l’onere di vagliare ciascun accordo in forma sempli- ficata, per determinare alla luce dell’art. 80 il confine tra l’ambito di discrezionalità che la Costituzione accorda al Governo e quello riservato al necessario controllo parlamen- tare (129). Si tratterebbe, tuttavia, di precisazioni doverose e oramai non più rimandabi- li (130); e, in ogni caso, «di un rischio legato ad una precisa scelta del costituente» (131).

Tra quanti escludono in radice questo rischio di sovraccarico della giurisprudenza costituzionale, precludendo ad ogni accordo in forma semplificata d’integrare il limite degli obblighi internazionali, la tesi più elegante è senz’altro quella di A. D’ATENA, il

quale giustifica sul piano formale la non obbligatorietà per il legislatore degli accordi in

GES, op. loc. ult. cit.; G. GAJA, op. loc. ult. cit.; M. SAVINO, op. loc. ult. cit. Cfr. altresì Corte cost., sentt. n. 348/2007, cit., C.i.d. n. 4.7, e n. 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.2, che pur senza far menzione specifica del- l’art. 80 Cost., hanno articolato il sindacato costituzionale sul rispetto degli obblighi internazionali in due fasi: nella prima, la Corte è chiamata a verificare la compatibilità della legge interna con la norma inter- nazionale rilevante (dando eventualmente preferenza ad una conciliazione delle due fonti per via interpre- tativa); nella seconda, invece, è chiamata a verificare la compatibilità della stessa norma internazionale con la Costituzione complessivamente intesa. In caso di incompatibilità costituzionale del trattato, questo non sarà idoneo ad integrare il parametro di cui all’art. 117, I Cost. e la legge interna che eventualmente lo violi non potrà essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

(128) Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi interna-

zionali e comunitari, cit., c. 231. Cfr., peraltro, ID., Diritto internazionale, cit., p. 72 ss., in cui l’A., dopo

aver argomentato l’illegittimità anche sul piano internazionale degli accordi stipulati in forma semplifica- ta in violazione dell’art. 80 Cost., assume che il relativo vizio potrebbe nondimeno essere successivamen- te sanato da un intervento di recepimento da parte del Parlamento. Contra, L. BARTOLOMEI, op. cit., p. 864 s.; Corte cost., sent. n. 295/1984, cit., C.i.d. n. 6. Anche secondo E. CANNIZZARO, La riforma “fede-

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