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4. Il vincolo comunitario

4.1. L’originalità del processo di integrazione europea

Sulla portata del vincolo comunitario espresso dall’art. 117, I Cost. si riscontra, in letteratura e giurisprudenza, un’incertezza pari a quella che avvolge, sotto svariati profi- li, il limite degli obblighi internazionali. Fra le questioni più dibattute, si colloca sen- z’altro la problematica ricostruzione dei rapporti sussistenti tra questo vincolo e quello che – secondo la contrastata ma ormai indiscussa interpretazione costituzionale (1) – già in precedenza discendeva dall’art. 11 Cost. a favore delle norme europee. Altro profilo delicato riguarda l’ambito applicativo dell’indicata disposizione costituzionale, che pre- cisamente parla di «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario», con un’espressio- ne per un verso aperta ad esperienze forse più ampie di quella meramente normativa, ma che per altro verso potrebbe chiudersi di fronte alle esperienze dei pilastri non comuni- tari dell’Unione europea.

Soltanto dopo aver chiarito tali dubbi preliminari, potrà affrontarsi la cruciale que- stione relativa alle conseguenze della violazione del vincolo per parte del legislatore: se il conseguente vizio, cioè, debba configurarsi in termini di competenza o di validità, e con quali mezzi procedimentali vada risolto. Le anzidette questioni vengono ad intrec- ciarsi, inoltre, con i più recenti sviluppi del processo d’integrazione europea, che non poco incidono, assieme allo stesso art. 117, I, sulla tradizionale dottrina dei controlimiti. In chiusura, sarà interessante esaminare se gli accordi internazionali stipulati dall’Unio- ne europea vengano in rilievo, ai fini del nuovo disposto costituzionale, alla stregua di vincoli comunitari o di obblighi internazionali. Tutte le questioni ora illustrate saranno approfondite dando spazio al peculiare approccio teorico prescelto per quest’analisi, at- tenta alle esigenze del principio di supremazia del Parlamento. Occorre, peraltro, avver-

(1) V. Infra, § 4.2. V. ONIDA, Nuove prospettive per la giurisprudenza costituzionale in tema di

applicazione del diritto comunitario, in Corte cost. (a cura di), Diritto comunitario e diritto interno. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della Consulta, 20 aprile 2007, Milano, 2008, p. 47, evidenzia

come l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 11 Cost. abbia nei fatti dimostrato un valore eminente- mente pratico, perché in grado di comporre dissidi altrimenti inconciliabili tra Corte costituzionale e Cor- te di giustizia europea. Per questo, poco importa seguitare a «interrogarsi ancora sulle basi teoriche e dogmatiche di questa soluzione: ciò che conta è quel risultato pratico, da considerarsi […], in prospettiva storica, non solo consolidato ma in linea di principio irrinunciabile». Analogamente, R. LUZZATTO, Il di-

ritto europeo e la Costituzione italiana dopo la riforma dell’art. 117, in Dir. Un. Eur., 2008, p. 6, reputa

«superfluo» continuare a interrogarsi sul fondamento teorico dell’interpretazione offerta dalla Corte costi- tuzionale, anche in virtù dei soddisfacenti risultati pratici ottenuti.

tire sin d’ora che, contrariamente al limite degli obblighi internazionali, il vincolo co- munitario non costituisce un ostacolo assolutamente inedito al libero esercizio della po- testà legislativa; sicché la tutela della supremazia parlamentare non potrà spingersi sino a rimettere in discussione la tenuta delle fondamenta su cui poggiano i passi sinora compiuti dalla giurisprudenza costituzionale nel suo “cammino comunitario” (2).

Prima di affrontare nel dettaglio le problematiche sopra richiamate, si rende anzitut- to opportuno accennare ai motivi per cui il legislatore costituzionale ha ritenuto neces- sario distinguere il riferimento all’ordinamento comunitario da quello genericamente ri- volto a tutte le altre fonti di obblighi internazionali. Fino alla L.Cost. n. 3/2001, benché il processo d’integrazione già da tempo avesse raggiunto uno stadio d’evoluzione assai avanzato, il testo della Costituzione era sempre stato carente di alcun riferimento espli- cito alla partecipazione italiana in Europa; senza che ciò ostasse alla produzione di tutte le relative conseguenze (anche d’ordine costituzionale) nel nostro ordinamento (3). Non- dimeno, era ormai chiara da decenni l’inapplicabilità del trattamento in generale adotta- to per le altre organizzazioni internazionali all’ordinamento comunitario; al punto che a quest’ultimo la Corte costituzionale ha sempre riservato in via esclusiva la speciale co- pertura costituzionale di cui all’art. 11.

Per comprendere appieno in cosa l’Unione europea si distingua dalle altre organiz- zazioni internazionali, non si può eludere il tema relativo alla contrastata natura del pro- cesso d’integrazione.

La concezione dell’integrazione europea come processo ben riflette l’idea funziona- lista di “Padri dell’Europa” quali Jean Monnet e Robert Schuman. Essi proponevano quale obiettivo di lungo termine l’unificazione politica del Continente, nella consapevo- lezza, tuttavia, che si dovesse procedere gradualmente, mediante una serie di realizza- zioni concrete, tali da promuovere e consolidare nel tempo l’interdipendenza degli Stati e dei cittadini europei (4). Ora, che un’effettiva unificazione politica sia ancora lontana a

(2) Secondo la fortunata espressione coniata da P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in

Giur. Cost., 1973, p. 2401 ss.

(3) Cfr. T.E. FROSINI, Alcune osservazioni sull’Europa nella Costituzione italiana e la modifica

dell’art. 11, i Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2003, p. 1532, il quale osserva che, se si escludono le norme recen-

temente introdotte nell’art. 117, «per la Costituzione, nel suo dato letterale, il processo comunitario non esiste». Cfr. altresì T. GROPPI, Regioni e Unione europea, in Id., M. Olivetti (a cura di), La Repubblica

delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003, p. 155; P. CAVALERI, Diritto re-

gionale, Padova, 2006, p. 143.

(4) Cfr. V. CASTRONOVO, L’avventura dell’unità europea, Torino, 2004, p. 23 s.: «se la messa in

comune delle risorse economiche andava anteposta (a differenza di quanto era avvenuto in passato nella formazione degli Stati nazionali) al progetto di un’unione politica, ciò si spiegava, a detta di Monnet, con

venire è cosa ormai chiara, specie a fronte del fallimento del Trattato costituzionale eu- ropeo (la cui natura, peraltro, è stata oggetto di vivace dibattito dottrinale) (5). Meno chiaro è se il concreto funzionamento dell’Unione resti nella disponibilità degli Stati membri – così come avviene per le organizzazioni internazionali tout court – o se la sua peculiarità consista, per l’appunto, nell’indipendenza dalla loro volontà politica.

A questo proposito, è possibile distinguere un’ermeneutica contrattuale (o strumen- tale) e un’ermeneutica istituzionale (o teleologica) dei Trattati istitutivi europei (6). I so- stenitori del primo orientamento ritengono che la partecipazione al processo d’integra- zione sia, per gli Stati membri, null’altro che una modalità di autorganizzazione volta ad ottimizzare il perseguimento dei propri obiettivi costituzionali, attraverso l’esercizio comune di determinate funzioni e competenze (7). Al contrario, l’idea che sta alla base

un motivo fondamentale da cui non si poteva prescindere. Ossia, che per “unire gli uomini”, per farne a poco a poco dei “cittadini europei” occorreva instillare loro lungo la strada, la convinzione dei vantaggi e dei benefici materiali che essi potevano trarre reciprocamente dagli sviluppi del processo d’integrazione». La concezione funzionalista è ben esemplificata dalle parole della celebre Déclaration Schuman, primo discorso ufficiale in cui si delineò il processo d’integrazione, tenuto a Parigi il 9 maggio 1950 dall’allora Ministro degli Esteri del Governo francese: «La contribution qu’une Europe organisée et vivante peut ap- porter à la civilisation est indispensable au maintien des relations pacifiques [...]. L’Europe ne se fera pas d’un coup, ni dans une construction d’ensemble: elle se fera par des réalisations concrètes, créant d’abord une solidarité de fait» (fonte: www.robert-schuman.org).

Si usano contrapporre alla concezione funzionalista dell’integrazione europea quelle di tipo federali- sta e, rispettivamente, confederalista. La prima di esse, ben esemplificata dalle parole di Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene del 1941, muove dall’idea della crisi e del prossimo dissolvimento dello Stato nazionale westfaliano e propone l’istituzione di un’unione federale caratterizzata da procedure democrati- che e legittimata dalla convocazione di un’assemblea costituente democraticamente eletta. La concezione confederalista, prevalentemente sostenuta da potenti leaders nazionali quali Margaret Tatcher e Charles De Gaulle, s’incentra invece sul metodo intergovernativo della cooperazione fra Stati pienamente sovrani. (5) La tesi che ha riscosso maggiori consensi nella letteratura italiana è quella secondo cui il Trat-

tato costituzionale non fosse di per sé qualificabile né come costituzione, né come mero trattato interna- zionale, costituendo piuttosto il frutto spurio della contaminazione tra una dimensione costituzionalista e una intergovernativa: esso avrebbe lasciato libera la prassi di orientarsi duttilmente secondo il concreto svilupparsi delle contingenze politiche. Cfr., in tal senso, G. MORBIDELLI, Il passaggio (incompiuto?) dal-

la logica internazional/comunitaria del sistema UE/CE ad una logica interna/costituzionale/federale dell’Unione, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2003, p. 1700 ss.; M. CARTABIA, El Tratado Constitucional para

la Unión europea y la voluntad constituyente de los Estados miembros, in Id., B. de Witte, P. Pérez

Tremps (a cura di), Constitución europea y Constituciones nacionales, Valencia, 2005, p. 251 ss.; A. RUGGERI, “Trattato costituzionale” e prospettive di riordino del sistema delle fonti europee e nazionali,

al bivio tra separazione ed integrazione, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazionali, diritti fondamentali, Milano, 2006, p. 207 ss.; A. D’ATENA, Una co-

stituzione senza Costituzione per l’Europa, in Dir. Soc., 2009, p. 192 ss.

(6) Sul dualismo interpretativo tra contrattualisti e istituzionalisti, Cfr. A. BARBERA, Esiste una

“Costituzione europea”?, in Quad. Cost., 2000, p. 80; M. PATRONO, Sovranità statale e Costituzione eu-

ropea, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni nazio- nali, diritti fondamentali, cit., p. 146 ss.; E. CANNIZZARO, Il ruolo dei parlamenti nazionali nel processo

di integrazione europea: in margine ad uno scritto inedito di Leopoldo Elia, in Dir. Un. Eur., 2009, p.

458 s.; A. D’ATENA, op. cit., p. 210.

(7) Cfr. A. PÉREZ CALVO, El lugar del Estado en la integración europea, in Teoría y Realidad

Const., 2005, I, p. 107 ss., nel testo tradotto in lingua italiana, ID., Il ruolo dello Stato nell’integrazione

del secondo orientamento è che l’ordinamento europeo sia caratterizzato da finalità co- stituzionali proprie, riscontrabili a partire dai Trattati istitutivi, e che la comunità politi- ca di riferimento sia individuata non già «dal vincolo di nazione, o di popolo, ma da quello del diritto» (8): l’Unione europea come «comunità di diritto» (9).

L’ermeneutica contrattuale trova puntuale riscontro nella giurisprudenza del Bundes-

verfassungsgericht tedesco. Tanto nel Maastricht Urteil del 1993 (10), quanto nella sen- tenza del 2009 sul Trattato di Lisbona (11), il Tribunale federale di Karlsruhe ha voluto configurare l’Unione europea come Staatenverbund: non già soggetto politico unitario, bensì mera associazione di Stati sovrani essenzialmente fondata sulla cooperazione in- tergovernativa (12). In questa prospettiva, gli Stati membri sono concepiti come “Herren

zionali, diritti fondamentali, cit., p. 47 ss.: «nella creazione di una Comunità di Stati, gli Stati, in realtà,

organizzano se stessi – e quindi i propri cittadini – in una società ed organizzazione europea della quale diventano membri nel momento stesso della creazione»; lo Stato rinuncia a decidere direttamente e in maniera autonoma su talune questioni, che affida alla cura comune, accettando di parteciparvi solo indi- rettamente attraverso la propria presenza nella Comunità. Ciò non implicherebbe, però, da parte dello Sta- to, una rinuncia a propri poteri sovrani, ma solo una temporanea – fintanto che liberamente convenuta – limitazione nell’esercizio di determinate competenze. Cfr. altresì M. LUCIANI, Costituzione, integrazione

europea, globalizzazione, in Quest. Giust., 2008, n. 6, p. 70.

(8) M. PATRONO, op. cit., p. 152.

(9) Cfr. Corte giust., sent. n. 294/83 del 23.04.1986, Les Verts, in Racc., 1986, p. 1339 ss., punto n.

23: «la Comunità economica europea e una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno par- te, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato». Parla della specificità dell’ordinamento europeo come “Comunità di diritto” G. TESAURO, Sovranità degli Stati e integrazione comunitaria, in Dir. Un. Eur., 2006, p. 245, evidenzian- do come si tratti di un ordinamento caratterizzato «da un insieme di regole e da un meccanismo di con- trollo sulla piena e puntuale tutela dei diritti cui sono sottoposti in eguale misura gli Stati membri, le isti- tuzioni comunitarie ed i singoli». Cfr. altresì A. LA PERGOLA, Il giudice costituzionale italiano di fronte

al primato e all’effetto diretto del diritto comunitario: note su un incontro di studio, in Giur. Cost., 2003,

p. 2420 ss., secondo cui la principale ragione per cui l’ordinamento comunitario si distingue dalle tradi- zionali organizzazioni internazionali sarebbe riconducibile al fatto che esso «scende a disciplinare anche i rapporti interindividuali, e così genera i diritti di cui il soggetto privato fruisce come utente del mercato comune e, dal trattato di Maastricht in poi, come cittadino dell’Unione»: la legittimazione del legislatore comunitario ad elargire immediatamente diritti in capo agli individui conseguirebbe, da un lato, alla natu- ra costituzionale del Trattato istitutivo, con il quale gli Stati fondatori avrebbero voluto «imprimere sulla comunità di stati che esso prevedeva lo stampo di una comunità di diritto» (corsivo aggiunto); dall’altro, ai «valori della civiltà giuridica e costituzionale condivisa dagli Stati membri», che lo stesso ordinamento sovranazionale avrebbe accolto, venendo così ad adeguare «il suo ordinamento al valore della tutela giuri- sdizionale dell’individuo, come a quello della rappresentanza del popolo nell’istituzione parlamentare». Dello stesso A. – già giudice relatore della fondamentale sentenza Granital della Corte costituzionale – Cfr. altresì in CORTE COSTITUZIONALE (a cura di), Diritto comunitario europeo e diritto nazionale. Atti

del seminario internazionale. Roma, Palazzo della Consulta 14-15 Luglio 1995, Milano, 1997, p. 169, la

definizione della Comunità europea come «ente esponenziale degli interessi e valori sottostanti al proces- so d’integrazione, dei quali sono partecipi non solo gli Stati membri, ma anche i loro cittadini».

(10) Bundesverfassungsgericht, Urteil n. 2 BvR 2134, 2159/92 del 12.10.1993, Vertrag von Maa-

stricht, in Eur. Grundrechte-Zeitschrift, 1993, p. 429 ss., Rnr. 90 ss.

(11) Bundesverfassungsgericht, Urteil n. 2 BvE 2, 5/08, 2 BvR 1010, 1022, 1259/08 e 182/09, del

30.06.2009, Vertrag von Lissabon, in Eur. Grundrechte-Zeitschrift, 2009, p. 285 ss., passim.

(12) Il Lissabon Urteil parla di Unione europea come «abgeleitete Grundordnung», ossia come or-

dinamento derivato, addizionale, complementare rispetto a quelli degli Stati membri: Cfr. Urteil n. 2 BvE 2/08, Vertrag von Lissabon, cit., passim. Parafrasa R. DICKMANN, Integrazione europea e democrazia

der Verträge” (13), nel senso che il loro specifico consenso condizionerebbe, oltre che la genesi e le singole tappe di sviluppo, la stessa continuità del processo d’integrazione. L’obiettivo esplicito del Bundesverfassungsgericht è quello di salvaguardare il principio democratico: a livello continentale, infatti, esso risulterebbe strutturalmente deficitario, non soltanto per la debolezza del Parlamento europeo nell’architettura istituzionale del- l’Unione, ma soprattutto a causa dell’insuperata disomogeneità sociale, che impedisce di fare affidamento sul principio di maggioranza (14). Spetterebbe ai Parlamenti nazio- nali, quindi, legittimare tramite la loro fattiva partecipazione il processo normativo eu- ropeo, conferendovi un sufficiente grado di rappresentatività politica (15).

parlamentare secondo il Tribunale costituzionale federale tedesco, in www.federalismi.it, 2009, p. 2: «i

meccanismi decisionali dell’Unione, nonostante questa in alcuni settori agisca come un’entità statale fe- derale, sono essenzialmente ispirati al modello proprio delle organizzazioni internazionali, fondato sul principio dell’uguaglianza fra gli Stati». Cfr. altresì M.P. CHITI, Am deutschen Volke, in Giorn. Dir.

Amm., 2009, p. 1009 secondo cui il Bundesverfassungsgericht avrebbe, con questa pronuncia, negato al-

l’Unione europea ogni carattere di sovranazionalità, intesa come capacità di un ordinamento esterno di assumere ed imporre decisioni normative in modo autonomo rispetto agli Stati membri.

(13) L’espressione, utilizzata dallo stesso Bundesverfassungsgericht nel Maastricht Urteil (Cfr.

Rnr. 112 e 135), è in seguito divenuta un topos della letteratura internazionale dedicata a questo tema.

(14) La letteratura che denuncia lo strutturale deficit democratico europeo è ormai sterminata. Cfr.,

ex multis, J.H.H. WEILER, V. HALTERN, F. MAYER, European Democracy and Its Critics. Five Uneasy

Pieces, in J. Hayward (a cura di) The Crisis of Representation in Europe, Londra, 1995, p. 4 ss.; L. PA- LADIN, Il deficit democratico nell’ordinamento comunitario, in Reg., 1996, p. 1031 ss.; M. CARTABIA,

J.H.H. WEILER, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, p. 46 ss.; P. RIDO- LA, La parlamentarizzazione degli assetti istituzionali dell’Unione Europea fra democrazia rappresenta-

tiva e partecipativa, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2005; C. PINELLI, Che fine ha fatto il defi-

cit democratico?, in S. Gambino (a cura di), Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costitu-

zioni nazionali, diritti fondamentali, cit., p. 255 ss. La stessa dichiarazione di Laeken del 2001, intitolan-

do a «Più democrazia, trasparenza ed efficienza nell’Unione europea» il paragrafo dedicato al riassetto istituzionale, ammetteva implicitamente la presenza di un deficit democratico istituzionale e decisionale, talché R. DAHRENDORF, Dopo la democrazia. Intervista a cura di Antonio Polito, Roma-Bari, 2001, p.

34, poteva osservare che se l’Unione europea «chiedesse di diventare essa stessa membro della UE, non

potrebbe essere ammessa», non corrispondendo a quei medesimi criteri basilari di democrazia politica che a sua volta essa impone agli Stati che richiedono l’ammissione.

(15) Su quest’orientamento del Bundesverfassungsgericht, Cfr. S. MANGIAMELI, La competenza eu-

ropea, il suo esercizio e l’impatto sugli ordinamenti degli Stati membri, in Id. (a cura di), L’ordinamento europeo, II, L’esercizio delle competenze, Milano, 2006, p. 12 ss.; R. DICKMANN, op. cit., p. 3; L. CAS- SETTI, Il “sì, ma” del Tribunale costituzionale federale tedesco sulla ratifica del Trattato di Lisbona tra

passato e futuro dell’integrazione europea, in www.federalismi.it, 2009, p. 4 s.; S. CASSESE, Trattato di

Lisbona: la Germania frena, in Giorn. Dir. Amm., 2009, p. 1003 ss. Cfr. altresì le significativa ricostru-

zione del significato del Maastricht Urteil, operata dal suo stesso giudice relatore P. Kirchhof, in CORTE COSTITUZIONALE (a cura di), Diritto comunitario europeo e diritto nazionale, cit., p. 135: «Gli Stati

membri sono i signori dei trattati […]. Nella democrazia i signori dei trattati sono quindi in ultima analisi i popoli (Staatsvölker) democratici degli Stati membri. Questo era il nostro grande tema nella sentenza Maastricht. I ricorrenti in questo giudizio eccepivano il crescente trasferimento di competenze a una co- munità che pone il proprio diritto non già nel parlamento, bensì in un consiglio composto da rappresen- tanti dei governi. Si tollera quindi un diritto prodotto dall’esecutivo. In una comunità di Stati questo è, in linea di principio, ineccepibile. I parlamenti nazionali devono, tuttavia, continuare a svolgere una funzio- ne essenziale se gli Stati membri intendono restare delle democrazie, perché una democrazia senza parla- mento non merita il proprio nome. Un parlamento esiste, tuttavia, soltanto là dove il potere legislativo e il potere di decidere il bilancio restano nelle mani dell’organo eletto direttamente dal popolo dello Stato».

Quest’impostazione coglie evidentemente nel segno laddove evidenzia la persisten- te incisività dell’elemento intergovernativo nell’organizzazione istituzionale e funziona- le dell’Unione europea, innegabile soprattutto al di fuori del pilastro comunitario (16). Coglie altresì nel segno laddove mette in risalto l’incapacità dell’ordinamento europeo di dare attuazione ed offrire tutela alle posizioni giuridiche che in esso trovano fonte normativa, se non servendosi degli apparati amministrativi e giurisdizionali degli Stati membri (17). Sottovaluta, tuttavia, la perdita del potere di veto da parte dei singoli Go- verni ed il progressivo ampliarsi degli spazi soggetti alla regola di maggioranza anche all’interno del Consiglio dell’Unione (18): ciò che ha fatto perdere agli Stati membri, singolarmente considerati, la capacità di controllo del processo politico comunitario (19).

(16) Sulla prevalenza dell’elemento intergovernativo nei pilastri non comunitari dell’Unione euro-

pea, V. infra, § 4.3.

(17) Sull’indispensabile ruolo delle autorità amministrative nazionali nell’applicazione del diritto europeo, Cfr. S. CASSESE, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2002, p. 291 ss. Sull’altrettanto indispensabile ruolo e le conseguenti responsabilità degli organi giurisdi- zionali nazionali, Cfr. T. OHLINGER, La influencia del derecho comunitario sobre la legislación y la judi-

catura. Notas a un proceso de “americanización” del derecho europeo, in Anuario Iberoamericano Just. Const., 2004, n. 8, p. 361 ss.; R. ALONSO GARCÍA, El juez nacional como juez europeo a la luz del tratado constitucional, in M. Cartabia, B. de Witte, P. Pérez Tremps (a cura di), Constitución europea y Constituciones nacionales, Valencia, 2005, p. 639 ss.; A. ADINOLFI, L’applicazione delle norme

comunitarie da parte dei giudici nazionali, in Dir. Un. Eur., 2008, p. 617 ss. Quest’ultimo aspetto è posto

in risalto anche da un fautore dell’ermeneutica istituzionale quale A. LA PERGOLA, op. cit., p. 2434. (18) In seno al Consiglio dell’Unione europea il potere di veto, sostanzialmente introdotto – pur la-

sciando inalterati i Trattati istitutivi – dal Compromesso di Lussemburgo del 1966 in nome della difesa della sovranità nazionale e contro le tendenze federaliste, fu superato soltanto con l’Atto Unico Europeo del 1987 e con la contestuale modifica del Regolamento interno del Consiglio: Cfr. J.H.H. WEILER, The

transformation of Europe, in Id., The Constitution of Europe. “Do new Clothes have an Emperor?” And other Essays on European Integration, Cambridge, 1999, p. 66 ss. Oggi, il voto all’unanimità rappresenta

l’eccezione, mentre la regola generale è la maggioranza dei membri; tuttavia, la parte preponderante delle deliberazioni è ancora assunta a maggioranza qualificata, ai fini della quale l’art. 205 TCE attribuiva una

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