3. Il limite degli obblighi internazional
3.1. Il limite e le modalità di adattamento al diritto internazionale pattizio: la necessità di mantenere uno spazio per il controllo parlamentare
Tra i limiti alla potestà legislativa contemplati dall’art. 117, I Cost., quello degli ob- blighi internazionali è stato – ed è tuttora – al centro di un dibattito dottrinale quanto mai aperto alle più disparate soluzioni. Sul punto, già si sono analizzati gli orientamenti che variamente negano all’enunciato ogni portata innovativa sul piano del sistema delle fonti (1). Peraltro, anche accedendo alla contraria opinione, che considera gli obblighi internazionali come limite all’esercizio della potestà legislativa, si riscontra in letteratu- ra una molteplicità d’indirizzi interpretativi sotto svariati profili.
Presenta carattere assorbente il dibattito circa l’incidenza della novella costituziona- le sulle modalità di adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale di fonte pattizia. Si tratta, in particolare, di verificare se l’art. 117, I, riferendosi agli obbli- ghi internazionali senza ulteriori specificazioni, abbia o meno introdotto una totale e- quiparazione delle convenzioni alle consuetudini internazionali, quanto al regime giuri- dico di cui già le seconde godevano in forza dell’art. 10, I Cost. Al riguardo, l’ipotesi avanzata – benché in modo dubitativo – da A. D’ATENA è che, a seguito della novella,
non sia più necessaria un’apposita legge di esecuzione dei trattati sottoscritti dall’Italia, come imposto dalla tradizionale logica dualista, ma anche per essi valga ora la forma di adattamento automatico prefigurata dall’art. 10, I (2). La L.Cost. n. 3/2001 avrebbe, co-
(1) V. supra, § 2.2.
(2) La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione Europea, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2002. Cfr. altresì A. GUAZZAROTTI, Niente di nuovo sul fronte
comunitario? La Cassazione in esplorazione del nuovo art. 117 comma I, Cost., in Giur. Cost., 2003, p.
482, secondo cui «se il trattato – anche semplicemente ratificato e non eseguito – contiene norme self-
executing, queste entreranno immediatamente in vigore e avranno forza passiva rinforzata».
Nell’impostazione dualista, il diritto internazionale può impegnare ed obbligare i soggetti privati che operano nell’ambito di uno Stato solo facendosi diritto di quest’ultimo, ossia trasformandosi in diritto in- terno; ciò che può avvenire soltanto se lo Stato, nell’esercizio della propria sovranità (interna), decida in tal senso. A tal fine, si richiede un atto sovrano dello Stato che recepisca nel proprio ordinamento le nor- me prodotte nella sfera del diritto internazionale: non basta, cioè, la mera ratifica delle norme internazio- nali, ma queste devono essere incorporate nella legislazione nazionale con un provvedimento specifico di esecuzione. Sotto il profilo teorico, questa necessità è stata giustificata (Cfr. H. TRIEPEL, Völkerrecht und
Landesrecht, Lipsia, 1899, nel testo tradotto in lingua italiana, ID., Diritto Internazionale e Diritto Inter-
no, Torino, 1913; D. ANZILOTTI, Il diritto internazionale nei giudizi interni, Bologna, 1905) sulla base di una rigida separazione tra ordinamento internazionale e ordinamenti statuali, individuandosi «negli Stati, intesi come enti materiali, non come ordinamenti giuridici, gli idonei soggetti di un ordinamento costitui- tosi ed esistente in una società di cui sono componenti altre società, quelle appunto organizzate nelle for-
sì, ripudiato la tradizionale configurazione dei rapporti tra ordinamento interno ed ordi- namento internazionale, approssimandoli a una concezione di tipo monista (3).
La Costituzione del 1948, in realtà, non contiene alcuna disposizione di carattere generale che espressamente prescriva l’adozione di appositi strumenti per la trasforma- zione delle norme internazionali in precetti di diritto interno. L’art. 10, I è stato definito «trasformatore permanente» delle consuetudini internazionali in norme interne (di rango costituzionale) corrispondenti (4); ma tale definizione muove da un preconcetto dualista che lo stesso disposto non impone: l’adeguata conformazione dell’ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute sarebbe garantita appieno anche nel quadro di una logica d’integrazione fra gli ordinamenti. Quanto, poi, alle norme convenzionali, dal testo costituzionale emerge soltanto la necessità di una legge d’autorizzazione alla stipula per determinate tipologie di trattati (artt. 80 e 87): non an- che l’esigenza di un apposito atto di recepimento per darvi vigore in ambito interno (5).
me statuali e personificate negli Stati»: P. ZICCARDI, voce Diritto internazionale in generale, in Enc. Dir.,
XII, Milano, 1964, p. 1003.
(3) Parla di «iniezione sovrapposta di monismo» G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art. 117 della
Costituzione e la tutela internazionale dei diritti, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1851, riferendosi
alla rimodulazione che l’art. 117, I Cost. avrebbe comportato rispetto ai principi fondamentali espressi dagli artt. 10 e 11 Cost.
Le impostazioni moniste si contrappongono tradizionalmente a quella dualista, essendo ispirate a un principio d’integrazione – anziché di separazione – fra gli ordinamenti statale ed internazionale: in propo- sito, Cfr. da ultimo A. SCHILLACI, Obblighi internazionali e parametro di costituzionalità, in hera.ugr.es,
2008. Ritiene, peraltro, limitate le possibilità d’incidenza di una legge costituzionale sulla configurazione in senso monista dei rapporti interordinamentali D. PORENA, L’evoluzione dei rapporti tra ordinamento
interno ed ordinamento internazionale alla luce della revisione costituzionale e della recente giurispru- denza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 2008, p. 40, secondo cui una fonte interna –
quantunque di rango costituzionale – giammai potrebbe imporre la tesi kelseniana del monismo con pre- valenza del diritto internazionale (Cfr. H. KELSEN, Reine Rechtslehre, Vienna, 1934, nel testo tradotto in
lingua italiana, ID., Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, p. 161 ss.), poiché sarebbe pur sempre un atto espressivo della sovranità nazionale «a determinare e misurare l’ampiezza dei canali di ingresso di valori e principi di provenienza esterna»; della stessa opinione, Cfr. M. KUMM, Costituzionali-
smo democratico e diritto internazionale: termini del rapporto, in Ars Interpr., 2008, Le nuove frontiere del diritto internazionale, p. 71, nota n. 6.
(4) Cfr. T. PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, II, Padova, 1962, p. 27 ss.; L. CONDORELLI, Il
“riconoscimento generale” delle consuetudini internazionali nella Costituzione italiana, in Riv. Dir. In- ternaz., 1979, p. 16; A. D’ATENA, voce Adattamento del diritto interno al diritto internazionale, in Enc.
Giur., I, 1988, p. 1: secondo tali AA., l’art. 10, I Cost. – affermando che l’ordinamento italiano “si con- forma a” (e non già “integra in” se stesso) le norme internazionali generalmente riconosciute – avrebbe
implicitamente accolto quel principio di separazione su cui si fonda l’ipostazione dualista dei rapporti in- terordinamentali. Di contrario avviso, invece, A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, To-
rino, 2005, p. 143, il quale opina che mediante l’art. 10, I l’Assemblea Costituente abbia consapevolmen- te scelto di adottare un regime monista quanto ai rapporti tra diritto interno e norme di diritto internazio- nale generale, contrapposto al regime dualista invalso quanto ai rapporti con le norme pattizie.
(5) Cfr. T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, p. 689, il quale ammette che nessuna disposizione avente carattere generale dell’ordinamento italiano impone «l’adozio- ne di un determinato meccanismo per l’adattamento del diritto interno agli obblighi previsti da norme in- ternazionali convenzionali».
E l’art. 10, II, sulla condizione giuridica dello straniero, si limita ad imporre alla legge il rispetto dei trattati internazionali in materia, ma non esclude che siano direttamente le stesse fonti convenzionali a fornirne la disciplina.
Il dualismo dei rapporti ordinamentali, pertanto, più che imposto può dirsi soltanto presupposto dal testo costituzionale originario (6); rispetto al quale non potrebbe ritener- si del tutto incompatibile l’adozione di una nuova impostazione in senso monista. Sem- bra, dunque, che la necessità di meccanismi di adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale debba ricondursi a una semplice tradizione o consuetudine inter- pretativa costituzionale (7). Se così è, allora, l’ipotesi che una legge costituzionale miri a rovesciare la portata di tale tradizione risulta – sul piano astratto – tutt’altro che imper- corribile. Resta da sciogliere il dubbio che l’accoglimento di un’impostazione monista dei rapporti ordinamentali possa mettere a repentaglio la stessa sovranità costituzionale e la tenuta del principio di sovranità popolare, incarnato dalla supremazia del Parlamen- to (8).
Storicamente, la concreta conformazione dei rapporti tra diritto interno e diritto in- ternazionale ha sempre risentito delle problematiche connesse alla separazione dei pote- ri sul piano nazionale; e tratto tipico dei diversi sistemi a forma di governo parlamentare è stata proprio la partecipazione dell’organo rappresentativo alla formazione pattizia de-
(6) Cfr. F. SALERNO, Il neo-dualismo della Corte costituzionale nei rapporti tra diritto internazio-
nale e diritto interno, in Riv. Dir. Internaz., 2006, p. 343. Cfr. altresì A. CARRINO, Costituzione e sovrani-
tà. L’Italia e l’Europa prima e dopo Maastricht nel recente dibattito giuspubblicitico, in Id., L’Europa e il futuro delle Costituzioni, Torino, 2002, p. 170, secondo cui l’art. 11 Cost., con il “consentire” in “con- dizioni di parità” alle limitazioni di sovranità, presupporrebbe «appunto la non immediata vincolatività
delle norme dell’ordinamento sovra-nazionale – pure riconoscibile come ordinamento superiore – in quel- lo nazionale».
(7) Cfr. P. DE STEFANI, L’incorporazione dei diritti umani. L’adattamento al diritto internazionale
e il nuovo articolo 117 della Costituzione, in www.centrodirittiumani.unipd.it, 2003, p. 23, secondo cui
l’impostazione dualista cui tradizionalmente accede l’esperienza giuridica italiana si baserebbe «essen- zialmente su una norma consuetudinaria interna al nostro ordinamento che stabilisce in via generale che il nostro ordinamento deve adattarsi alle norme internazionali». Cfr. altresì P. IVALDI, L’adattamento del
diritto interno al diritto internazionale, in S.M. Carbone, R. Luzzatto, A. Santa Maria (a cura di), Istitu- zioni di diritto internazionale, Torino, 2002, p. 119; G. GERBASI, I vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali nel nuovo Titolo V Cost.: difficoltà interpretative tra continui- tà e discontinuità rispetto al precedente assetto, in S. Gambino (a cura di), Il “nuovo” ordinamento re- gionale. Competenze e diritti, Milano, 2003, p. 299; A. SCHILLACI, Obblighi internazionali e parametro
di costituzionalità, cit., p. 298; R. BIN, Il sistema delle fonti. Un’introduzione, in www.forumcostituziona-
le.it, 2009, p. 10; G. TESAURO, Costituzione e norme esterne, in Dir. Un. Eur., 2009, p. 224 s.
(8) Cfr. F. SALERNO, op. cit., p. 341 s.: l’impostazione monista implicherebbe «una contraddizione con la stessa idea moderna dello Stato quale ente gestore “sovrano” del proprio ordinamento», mettendo così «in giuoco lo stesso principio della sovranità popolare»; e, nel nostro ordinamento, «ciò coinvolge le prerogative proprie del Parlamento, che costituisce la primaria espressione rappresentativa del popolo».
gli obblighi internazionali, o all’adeguamento ad essi del diritto interno (9). Se accordi internazionali stipulati da organi diversi dal Parlamento fossero in grado di sovrapporsi alle norme di legge, le potessero abrogare, derogare, invalidare o comunque privare di efficacia sul piano interno, la ratio garantista sottesa al principio ne uscirebbe eviden- temente frustrata (10). Proprio per questo, sin dall’epoca liberale, le Costituzioni europee hanno sempre attentamente disciplinato il rapporto fra i due ordini di fonti, per garantire il coinvolgimento del Parlamento nella gestione dei rapporti internazionali: si avvertiva che un abbandono integrale di tali strumenti nelle mani della Corona o del Governo a- vrebbe potuto rivelarsi un’arma potentissima al servizio di loro tendenze e pretese ac- centratrici.
Su questo piano, la più radicale attuazione del principio di supremazia del Parla- mento si ebbe con la Costituzione francese del 1791 e con le Costituzioni rivoluzionarie che la seguirono: le uniche che, pur conservando in capo all’esecutivo il potere d’intrat- tenere relazioni politiche con altri Stati e di condurre negoziati internazionali, riservaro- no nondimeno al Corpo legislativo la ratifica dei trattati, specificando altresì che l’effi- cacia e validità interna degli stessi restava subordinata alla ratifica adottata con norma di legge (11). In questo senso, potrebbe ravvisarsi un’impostazione linearmente monista nel rapporto tra diritto interno e diritto internazionale, nel senso che un unico atto di legisla- zione ordinaria era destinato a valere sia come solenne manifestazione della volontà sta- tale verso l’esterno, ai fini della definitiva assunzione di un obbligo internazionale, sia come statuizione normativa verso l’interno, ai fini della corrispondente modifica della
(9) Cfr. G.G. FLORIDIA, Diritto interno e diritto internazionale: profili storico-comparatistici, in
Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1340 ss.; L. CAPPUCCIO, Le consuetudini internazionali tra Corte costi-
tuzionale e Corte di giustizia, in Quad. Cost., 2004, p. 7 s.
(10) Cfr. G. SPERDUTI, Il primato del diritto internazionale nel sistema del diritto interno, in Riv.
Dir. Internaz., 1978, p. 221; M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T. TREVES, Diritto internazionale. Parte genera-
le, Milano, 1991, p. 539 ss.
(11) Cfr. gli artt. 1, Tit. III, cap. III, e 3, Tit. III, cap. IV, sez. III, della Costituzione francese del
1791, gli artt. 55, 69 e 70 della Costituzione giacobina dell’anno I (1793), gli artt. da 329 a 333 della Co- stituzione termidoriana dell’anno III (1795), gli artt. 49 e 50 della Costituzione napoleonica dell’anno VIII (1799). In tutti e quattro i testi costituzionali rivoluzionari, la ratifica dei trattati internazionali veniva riservata al Corpo legislativo, sia pure a fronte di una progressiva accentuazione del ruolo attribuito, quanto alla fase di negoziazione, al potere esecutivo (di volta in volta identificabile con il Re, il Consiglio esecutivo, il Direttorio o il Governo). Gli stessi testi risultano altresì chiari nello specificare che la ratifica dovesse avvenire nelle stesse forme – e quindi con le stesse garanzie procedurali – degli atti legislativi, se non con atti propriamente legislativi. Quand’anche fossero previste deroghe, quali la possibilità concessa nel 1795 al Direttorio di disporre l’esecuzione in via provvisoria dei trattati, queste ultime venivano e- spressamente individuate come ipotesi assolutamente eccezionali rispetto allo schema ordinario.
legislazione vigente (12). Un monismo, dunque, giustificato dal fatto che nessun organo diverso dal Parlamento, o con procedimenti diversi da quelli legislativi, avrebbe potuto incidere sulla legislazione vigente attraverso l’assunzione di obblighi sul piano interna- zionale.
Successivamente alla Restaurazione, le monarchie costituzionali del primo Ottocen- to ricondussero al potere regio l’esclusività delle funzioni internazionali, dalla rappresen- tanza dello Stato in politica estera alla negoziazione e al perfezionamento dei trattati (13). In questo quadro, la necessità di salvaguardare la supremazia del Parlamento – quanto- meno negli ambiti costituzionalmente riservati alla sua competenza legislativa – con- temperandola però con le prerogative regie, ebbe come diretta conseguenza la duplica- zione degli atti volti, rispettivamente, a perfezionare l’assunzione di obblighi sul piano internazionale (prerogativa regia) e a disporre le correlative innovazioni normative che la stipulazione dei medesimi imponeva sul piano interno (attribuzione parlamentare) (14). Al dualismo della forma di governo, dunque, veniva a corrispondere un dualismo nel rapporto fra ordinamento interno e ordinamento internazionale, nel senso di una separa- zione fra l’efficacia degli atti posti in essere dagli organi statali nei due ambiti, in quan- to oggetto di competenze differenziate (15).
(12) G.G. FLORIDIA, op. cit., p. 1342. L’A. nota, peraltro, come l’impostazione monista valesse sol-
tanto sul piano della rilevanza interna delle norme internazionali pattizie, a fronte di una posizione netta- mente dualista sul piano delle relazioni tra ordine interno e ordine internazionale generale: le Costituzioni rivoluzionarie francesi respingevano, infatti, tutti quei principi consuetudinari che, rispecchiando le logi- che dell’Ancien Régime, venivano a contrapporsi alle ideologie e ai valori rivoluzionari, improntati al ri- spetto per la libertà degli altri popoli e al rifiuto della guerra quale ordinario strumento di risoluzione dei conflitti politici.
(13) Cfr., a titolo esemplificativo, l’art. 14 della Carta costituzionale francese del 1814, rimasta in-
variata in parte qua anche nel testo del 1830, l’art. 68 della Costituzione belga del 1831 e l’art. 5 dello Statuto Albertino. I testi costituzionali dell’epoca facevano rientrare fra le prerogative regie la stipulazio- ne dei trattati internazionali: il Re era titolare del potere esecutivo e di governo, che esercitava tramite i suoi ministri, e in questo quadro la ratifica dei trattati aveva la funzione di consentirgli un controllo in or- dine alla rispondenza del testo negoziato dai rappresentanti diplomatici rispetto alle istruzioni impartite e quindi, in definitiva, rispetto agli indirizzi espressi in tema di politica estera.
(14) Fu questa la soluzione prevalentemente adottata: Cfr., a titolo esemplificativo, l’art. 68 della
Costituzione belga del 1831 e l’art. 5 dello Statuto Albertino. Alcuni testi costituzionali, peraltro, adotta- rono meccanismi meno conservatori, prevedendo la necessità di un’approvazione parlamentare antece- dente rispetto alla stessa ratifica regia, approvazione cui conseguivano immediati effetti anche sul piano interno: Cfr., in particolare, l’art. 63 della Costituzione del Regno delle Due Sicilie e l’art. 39 dello Statu- to del Governo temporale degli Stati della Chiesa, entrambi del 1848.
(15) G.G. FLORIDIA, op. cit., p. 1344 ss. L’A. rileva, peraltro, come il condizionamento
dell’efficacia interna dei trattati internazionali all’assenso delle Camere rappresentasse in realtà l’eccezio- ne, valevole per i soli e limitati rapporti coperti da riserve di legge, le quali avrebbero altrimenti rischiato di essere scavalcate e vanificate. Al di fuori di questi ristretti ambiti, pertanto, la regola era quella dell’im- mediata operatività interna delle norme pattizie, una volta ratificate con regio decreto. L’impostazione dualista dei rapporti con l’ordinamento internazionale era dunque l’eccezione, operante se e quando le norme pattizie incidessero su campi riservati esclusivamente al Parlamento, mentre la regola restava l’im-
Neppure la successiva evoluzione della forma di governo, con la progressiva esten- sione della sfera di competenze del Parlamento e la correlativa erosione delle prerogati- ve regie, ridotte al puro aspetto formale, consentì un ritorno all’attribuzione parlamenta- re del potere di concludere e ratificare con legge gli accordi internazionali. D’altronde, la composizione stessa dell’organo legislativo e la complessità garantista dei suoi mec- canismi deliberativi lo rendevano strutturalmente inadatto ad agire efficacemente sulla scena internazionale. Il mantenimento delle relative competenze in capo all’esecutivo consentì, pertanto, che si consolidasse la distinzione formale fra gli atti statali a valenza esterna, di produzione del diritto internazionale pattizio, e gli atti statali a valenza inter- na, di produzione normativa tramite appositi atti d’esecuzione. Quest’impostazione dua- lista operava come essenziale meccanismo di tutela della supremazia del Parlamento, impedendo che atti posti in essere da organi dell’esecutivo potessero, per tale via, so- vrapporsi alla legislazione delle Camere: il rischio di un inadempimento internazionale, in ipotesi di mancata esecuzione di una convenzione, veniva compensato dalle garanzie offerte dal procedimento legislativo, dirette anche a far valere la responsabilità politica del Governo nella gestione della politica estera.
Peraltro, a fronte dell’ampliarsi dell’intervento legislativo a settori sempre più este- si, nei quali l’intervento delle Camere diveniva indispensabile ai fini dell’operatività in- terna delle convenzioni internazionali, il principio di supremazia del Parlamento impose col tempo un mutamento della funzione svolta dallo stesso istituto della ratifica dei trat- tati. Esso divenne, nelle mani del Parlamento, strumento di controllo sull’operato del Governo nei processi di negoziazione in sede internazionale, preventivo rispetto alla de- finitiva assunzione di obblighi al cospetto di Stati esteri. Pur rimanendo formalmente il potere di ratifica competenza del Capo dello Stato, o comunque degli organi di governo, le Costituzioni liberali e molte di quelle del secondo dopoguerra introdussero, pertanto, meccanismi di autorizzazione parlamentare alla ratifica (16).
postazione monista, nel senso che la volontà espressa dal Sovrano in sede internazionale aveva altresì ef- ficacia interna, innovativa dell’ordinamento nazionale.
(16) Cfr., a titolo esemplificativo, l’art. 53 della Costituzione francese del 1848, l’art. 11 della Co-
stituzione prussiana del Norddeutsche Bund del 1867, l’art. 50 della Costituzione austriaca del 1920, l’art. 76 della Costituzione spagnola del 1931, gli artt. 80 e 87 della Costituzione italiana del 1948, l’art. 36 del- la Costituzione greca del 1975 e l’art. 53 della Costituzione francese della V Repubblica. Tornano, inve- ce, ad attribuire direttamente al Parlamento il potere di ratifica (ma con numerose limitazioni, rispetto a quanto previsto dalle Costituzioni rivoluzionarie) l’art. 27 della Costituzione francese della IV Repubbli- ca e l’art. 19 della Costituzione ungherese del 1949.
Venute di fatto meno, per questa via, le ragioni che in precedenza precludevano la diretta efficacia interna delle manifestazioni di volontà statale in ambito internazionale, allorquando le stesse erano espresse dall’esecutivo senza alcun controllo preventivo da parte del Parlamento, taluni ordinamenti tornarono quindi ad adottare un’impostazione monista quanto ai rapporti fra diritto nazionale e obblighi internazionali assunti previa autorizzazione delle Camere (17). La Costituzione spagnola del 1931, inaugurando un nuovo filone, operò anzi un’apertura senza precedenti nei confronti del diritto interna- zionale pattizio, vincolando la legislazione interna a conformarsi a quanto disposto dai trattati internazionali ratificati dal Governo, previa approvazione delle Cortes (prevista per tutti i trattati di maggior peso), ed iscritti presso la Società delle Nazioni (18).
In conclusione l’impostazione in senso monista dei rapporti fra diritto interno e di- ritto internazionale pattizio è certamente compatibile con il principio di supremazia del Parlamento, a condizione che alle Camere sia concesso di pronunciarsi, con tutte le ga- ranzie insite nel procedimento legislativo, in modo preventivo rispetto alla definitiva as- sunzione di obblighi internazionali da parte dello Stato (19). In questa guisa, infatti, la volontà statale s’esprime in sede internazionale con le stesse modalità e garanzie – an-