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Alla ricerca di soluzioni ermeneutiche che non reprimano la ratio di garanzia del la supremazia parlamentare Premesse di metodo

L’art. 117, I Cost. è senz’altro una disposizione dai contenuti ambigui e di difficile interpretazione. Le difficoltà ermeneutiche sono, inoltre, aggravate dai possibili riflessi che, come si è venuti dicendo, la norma potrebbe avere non solo sulla configurazione della forma di governo, ma più ampiamente sulla tenuta del complessivo sistema demo- cratico. Tutto ciò non potrebbe, peraltro, indurre ad ignorarne punto l’esistenza, facendo propria una logica simile a quella che per lungo tempo ha di fatto adottato la giurispru- denza costituzionale (81). Non lo si potrebbe neppure per il lodevole intento di tutelare l’autonomia del Parlamento rispetto al Governo, perché s’incorrerebbe nel paradosso di sottostimare in tal modo un atto espressivo di quella stessa autonomia, così rinnegando la validità del fine perseguito. La dottrina – non solo costituzionalista (82) – ha avuto il

(81) Questo è quanto sembra invece proporre R. BIN, Le potestà legislative regionali, dalla Bassa-

nini ad oggi, cit., p. 621, allorché afferma che il disposto costituzionale – e più in generale il nuovo testo

del Titolo V, Parte II, della Costituzione – sarebbe frutto di «una innocente e svagata scrittura» e che, per- tanto, esso «non va preso troppo sul serio».

(82) Si sono occupati di ricostruire il possibile significato della norma non solo studiosi di altre di-

scipline pubblicistiche, come gli amministrativisti (fra i primi, Cfr. D.U. GALETTA, La previsione dell’art.

3, comma I, cpv. I, della Legge di revisione del Titolo V della Costituzione come definitivo superamento della teoria dualistica degli ordinamenti, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano, 2001, p. 293 ss.;

L. TORCHIA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p. 1203 ss.; M.A. SANDULLI, Due aspetti della recente riforma al Titolo V della Costituzione, cit., p. 949 ss.; F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e

comunitario, cit., p. 1355 ss.; M.P. CHITI, Regioni e Unione europea dopo la riforma del Titolo V della

Costituzione: l’influenza della giurisprudenza costituzionale, in C. Bottari (a cura di), La riforma del Tito- lo V, Parte II della Costituzione, Rimini, 2003, p. 231 ss.; A. PAJNO, Il rispetto dei vincoli derivanti dal-

l’ordinamento comunitario come limite alla potestà legislativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit.,

p. 813 ss.) e i comparatisti (Cfr. G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art. 117 della Costituzione e la tutela

internazionale dei diritti, cit., p. 1849 ss.; G. GERBASI, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e

dagli obblighi internazionali nel nuovo Titolo V Cost.: difficoltà interpretative tra continuità e disconti- nuità rispetto al precedente assetto, in S. Gambino (a cura di), Il “nuovo” ordinamento regionale, cit., p.

293 ss.), ma altresì numerosi studiosi ed esperti di diritto internazionale (Cfr. E. CANNIZZARO, La riforma

federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. Dir. Internaz., 2001, p. 921 ss.; B.

CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi interna-

zionali e comunitari, in Foro It., 2002, V, c. 229 ss.; P. DE STEFANI, L’incorporazione dei diritti umani.

L’adattamento al diritto internazionale e il nuovo articolo 117 della Costituzione, in www.centrodiritti- umani.unipd.it, 2003; L. BARTOLOMEI, La garanzia costituzionale dei trattati alla luce della legge 5 giu-

gno 2003 n. 131 contenente disposizioni per l’adeguamento alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, cit., p. 853 ss.; U. DRAETTA, Il difficile rapporto della Cassazione con l’art. 117, comma I, della Costi-

tuzione, cit., p. 555 ss.; F. SALERNO, Il neo-dualismo della Corte costituzionale nei rapporti tra diritto

internazionale e diritto interno, in Riv. Dir. Internaz., 2006, p. 340 ss.; C. ZANGHÌ, La Corte costituziona-

le risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Co- stituzione; A. BULTRINI, Le sentenze 348 e 349/2007 della Corte costituzionale, cit., p. 171 ss.; L. CON- DORELLI, La Corte costituzionale e l’adattamento dell’ordinamento italiano alla CEDU o a qualsiasi ob-

bligo internazionale?, in Dir. Umani Dir. Internaz., 2008, p. 301 ss.; G. GAJA, Il limite costituzionale del

rispetto degli “obblighi internazionali”: un parametro definito solo parzialmente, in Riv. Dir. Internaz.,

2008, p. 136 ss.; R. LUZZATTO, Il diritto europeo e la Costituzione italiana dopo la riforma dell’art. 117,

merito d’illustrare le più diverse soluzioni ermeneutiche, segnalando le relative implica- zioni sistematiche e mettendone in evidenza pregi e difetti nell’applicazione concreta. G.F. FERRARI ha notato come, paradossalmente, fra i primi commentatori, quelli

d’estrazione costituzionalista abbiano proposto interpretazioni assai estensive, giungen- do persino a riconsiderare in senso monistico i rapporti tra ordinamento interno e ordi- namenti internazionale e comunitario; e come, al contrario, siano stati soprattutto gli in- ternazionalisti, tendenzialmente inclini ad affermare la superiorità delle norme esterne su quelle interne, a prospettare le letture più moderate, sostenendo il perdurante duali- smo del sistema (83).

Di fronte a questa varietà d’interpretazioni, sostenere la fondatezza di una di esse e negarla rispetto a tutte le altre costituirebbe un esercizio di presunzione, che solo po- trebbe attingere a pregiudizi di tipo ideologico. Con ciò, tuttavia, non si reputa affatto indifferente accogliere l’una o l’atra lettura dell’art. 117, I, o che tutte quelle sinora pro- poste siano accettabili di principio; si metteranno, anzi, in evidenza le incongruenze in cui finiscono per incorrere alcune di esse. Nondimeno, se i tradizionali criteri dell’erme- neutica giuridica si sono di fatto rivelati insufficienti per raggiungere soluzioni condivi- se, risulta allora necessario uno sforzo suppletivo da parte della comunità scientifica.

Chiaramente, quest’ultima non può pretendere assoluta libertà di manovra nel de- terminare il significato e, soprattutto, gli obiettivi di politica costituzionale sottesi a una norma tanto ambigua: necessiterebbe, all’uopo, di un fondamento di legittimazione del quale non può pretendere disporre. Spetterà eventualmente ai competenti attori istitu- zionali consolidare, con adeguati interventi, le soluzioni interpretative che siano venute conseguendo i maggiori consensi in letteratura: la Corte costituzionale, nella misura in cui si renda necessario ostacolare la diffusione di letture ermeneutiche incompatibili con le strutture basiche del pactum societatis (84); il Parlamento, in svolgimento del pactum

munitari nella riforma del titolo V della Costituzione, cit.; M. CONDINANZI, L’adattamento al diritto co-

munitario e dell’Unione europea, Torino, 2003, p. 50 ss.; R. MASTROIANNI, Le norme comunitarie non

direttamente efficaci costituiscono parametro di costituzionalità delle leggi interne?, cit., p. 3520 ss.; A.

CIAMPI, Processo non equo secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo e rinnovazione del giudizio

secondo la Corte costituzionale, in Riv. Dir. Internaz., 2008, p. 793 ss.) e finanche di diritto penale (G.

GRASSO, Diritto comunitario e diritto interno: profili penali, in Corte cost. (a cura di), Diritto comunita-

rio e diritto interno, cit., p. 265 ss.; P. TONINI, Processo penale e norme internazionali: la Consulta deli-

nea il quadro d’insieme, in Guida al lavoro, 2008, n. 16, p. 417 ss.) e tributario (Cfr. G. MELIS, Vincoli

internazionali e norma tributaria interna, cit., p. 1083 ss.).

(83) Op. cit., p. 1852.

(84) Pare precisamente questa la finalità delle sentenze nn. 348 e 349/2007, citt.: arginare la tenden-

za, diffusasi tra alcuni giudici comuni, ad utilizzare lo strumento della disapplicazione della fonte interna in caso di antinomie con norme CEDU. Cfr. A. BULTRINI, op. cit., pp. 176 s. e 183.

subiectionis, nella misura in cui ritenga opportuno imporre con legge l’accoglimento di

determinati significati, o altrimenti indirizzare l’operato degli interpreti.

Lo sforzo suppletivo che si richiede alla comunità scientifica consisterà, allora, nell’integrare i tradizionali criteri ermeneutici, dotandoli di un orientamento teleologico particolare. Come si vedrà, l’utilizzazione di un criterio teleologico puro (originalista) si scontra con la difficoltà d’individuare in termini obiettivi l’intenzione del legislatore co- stituzionale del 2001: i lavori preparatori non consentono di formulare che mere conget- ture al proposito (85). Nel percorso di ricostruzione del telos cui tende la norma, la lette- ratura costituzionalista non dovrà dimenticare le finalità originarie della propria disci- plina d’appartenenza. Com’è stato recentemente ricordato da M. LUCIANI, il costituzio-

nalismo vede nel potere tanto il soggetto quanto l’oggetto delle proprie pretese garanti- ste, «nel senso che il potere, per un verso, è un nemico dal quale difendersi erigendo ga- ranzie a protezione dei diritti; per l’altro è il soggetto che a quelle garanzie consente di esistere e di funzionare» (86).

Se vogliamo applicare questa logica al processo interpretativo dell’art. 117, I, il principio di supremazia del Parlamento pare indicato ad assumere il ruolo di fondamen- tale linea guida. Per un verso, si dovranno allora rifuggire quelle letture che determinino l’emarginazione degli interessi di minoranza dalle sedi decisionali effettive, perché ciò potrebbe rappresentare il preludio all’avvento di un governo dispotico e, comunque, pregiudicherebbe la comune percezione di legittimità delle decisioni della maggioranza politica, diffondendo presso le minoranze la convinzione che non sia più possibile sosti- tuire democraticamente i detentori del potere di governo.

Per altro verso, poi, si dovranno parimenti rigettare quelle letture che abbiano l’ef- fetto di precludere l’intervento di strumenti normativi extraparlamentari, allorché questi si rivelino gli unici funzionali al raggiungimento di obiettivi che lo stesso Parlamento reputi imprescindibili. Ove, infatti, si convenga che la ratio del principio di supremazia parlamentare è quella di declinare in termini garantistici – a tutela del pluralismo politi- co – l’esercizio del potere, in modo tale da consentire la continuità del processo demo-

(85) V. infra, § 2.1.

(86) Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. Cost., 2006, p. 1654. La du-

plice premessa teorica da cui muove l’A. è che, da un lato (hobbesianamente), non vi siano diritti sogget- tivi in mancanza di un potere che li garantisca e che, dall’altro, il potere non abbia la forza di garantire i diritti soggettivi se non gode del consenso, che gli deriva dalla sua legittimazione in base al diritto ogget- tivo: «il potere ha bisogno del diritto per legittimarsi, ma i diritti hanno bisogno del potere per affermar- si». Il diritto che legittima il potere è il diritto costituzionale; i diritti che il potere deve garantire sono i diritti costituzionali.

cratico, è intuitivo che lo stesso principio non può invece operare negativamente, nel senso d’impedire l’adozione di quegli strumenti che si rivelino indispensabili per l’eser- cizio dello stesso potere e quindi, mediatamente, per la tutela dei diritti che esso è tenuto a garantire. Ne risulterebbe, altrimenti, un’operatività solo formale del principio, che ne tradirebbe la stessa ratio, finendo per sterilizzare – anziché tutelare – l’effettività del pluralismo politico (87).

In altri termini, si tratterà di mediare fra gli opposti scenari che dissolverebbero la portata del principio testé richiamato: quello in cui primaria fonte di produzione in sen- so soggettivo resti, soltanto formalmente, un Parlamento nel quale invano le correnti po- litiche nazionali si confrontino su temi eccedenti la propria portata; e quello in cui le primarie decisioni politiche vengano ad allocarsi, anche formalmente, in un centro extra- parlamentare dotato di mezzi efficaci, ma rappresentativo d’interessi soltanto maggiori- tari o, comunque, non rispondente a sufficienti requisiti di democraticità nelle procedure decisionali.

Si procederà, pertanto, all’esame puntuale delle singole questioni che hanno suscita- to discordi interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, con la duplice finalità: da un la- to, di segnalare eventuali incongruenze o aporie che si riterranno presenti in talune pro- poste ermeneutiche; dall’altro, d’individuare le soluzioni maggiormente congeniali alla salvaguardia del principio di supremazia del Parlamento o, quanto meno, della sua ratio garantista.

Si partirà da un esame delle questioni generali che involgono l’art. 117, I nella sua interezza: dalla carenza di sufficiente dibattito politico nei lavori preparatori, alla scelta della collocazione sistematica; dalla definizione del rapporto intercorrente tra la fonte legislativa e i suoi limiti, all’analisi di delicati profili di diritto intertemporale; per con- cludere con alcune notazioni sul complessivo modus operandi della norma. Si prende- ranno, quindi, in esame i singoli limiti individuati dall’art. 117, I, con specifico riferi- mento agli obblighi internazionali ed al vincolo comunitario. Quanto al limite del rispet- to della Costituzione, invece, esso non crea particolari difficoltà ermeneutiche, se non quelle legate ai motivi che hanno spinto il legislatore costituzionale a codificare un

(87) Cfr. T. PADOA-SCHIOPPA, Demos e Kratos in Europa, in Mulino, 2009, p. 367: «un governo che avesse compiti impossibili o strumenti perversi, o che pretendesse di governare persone che non han- no nulla in comune, non sarebbe buongoverno neppure se fosse scelto dal popolo; mancherebbe dello stesso fondamento etico insito nel principio democratico».

principio indiscusso, conferendogli quest’assai particolare collocazione sistematica (88): problematiche che verranno affrontate congiuntamente alle questioni generali.

Si tracceranno, infine, alcune considerazioni conclusive, volte ad offrire una rico- struzione organica e coerente dei significati attribuibili all’art. 117, I, letto dalla prospet- tiva del principio di supremazia del Parlamento. Ciò, pur sempre ricordando che questo principio, alle nostre latitudini, non assume il medesimo carattere di assolutezza che gli conferiva a suo tempo l’ordinamento britannico e che, pertanto, esso potrà – e talora dovrà – mediarsi con principi ed esigenze di politica costituzionale concorrenti, per non ridursi a vuoto paradigma formalistico (89).

Questa ricostruzione, ad ogni modo, vorrà fornire non già un’ulteriore lettura erme- neutica della disposizione in esame, tale da accrescerne i già rilevanti profili di ambigui- tà, bensì una linea guida per individuare quali, tra le valide soluzioni già espresse dalla letteratura, consentano di mantenere ancora viva l’irrinunciabile ratio di garanzia sotte- sa all’antico paradigma democratico della supremazia parlamentare.

(88) Su questo punto, P. CAVALERI, Articolo 1, in Id., E. Lamarque (a cura di), L’attuazione del

nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione. Commento alla legge “La Loggia” (Legge 5 giugno 2003, n. 131), Torino, 2004, p. 4, sostiene che il limite del rispetto della Costituzione vada inteso come una «for- mula riassuntiva, la quale preannuncia e sintetizza le disposizioni costituzionali che in termini espliciti e

positivi circoscrivono – ove la Costituzione ritiene necessario assicurare uniformità di disciplina e di trat- tamento giuridico – l’esercizio (altrimenti generalizzato) della potestà legislativa regionale».

(89) Anche nel Regno Unito, peraltro, il principio di sovranità parlamentare pare oggi accettare una

mediazione con altre esigenze concorrenti, ritenute politicamente irrinunciabili, come quelle legate alla partecipazione al processo d’integrazione europea. In particolare, J.A.D. HOPE, op. cit., p. 309 ss., nota

come, per forti ragioni politiche, l’attuale volontà del Regno Unito sia quella di rispettare gli obblighi de- rivanti dai Trattati comunitari e lo stesso Parlamento accetti pertanto di buon grado il primato del diritto comunitario; fintanto che perduri questa situazione, le corti nazionali non potrebbero dunque far altro che continuare ad applicare il diritto comunitario, in quanto parte del diritto nazionale, interpretando restritti- vamente ogni disposizione nazionale – anche successiva – che paia invece derogarvi: «Legal theory must be contrasted with political reality» (p. 313).

Deve, peraltro, richiamarsi una nota pronuncia con cui la House of Lords (sent. Factortame vs. Se-

cretary of State del 11.10.1990, in Comm. Market Law Rep., 1990, p. 375 ss.), conformandosi a una pro-

nuncia resa in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia (sent. n. C-213/89 del 19.06.1990, Factortame, in

Racc., 1990, p. I-2433, punto n. 21), sospese l’efficacia di una norma legislativa interna quale misura cau-

telare nelle more di un giudizio di compatibilità con le fonti comunitarie: con l’accettazione del principio del primato di queste fonti, per la prima volta dal 1689, un organo statale diverso dal Parlamento fu in grado d’incidere sulla normativa di origine parlamentare. Allo European Communities Act del 1972, in- fatti, venne riconosciuto il rango di “legge costituzionale”, con cui il Parlamento britannico avrebbe im- plicitamente accettato i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto comunitario, consentendo così una limitazione giuridica – e non solamente politica – della propria sovranità.

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