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La fonte legislativa e i suoi limiti: qualificazione dei relativi rapporti ed incidenza sui meccanismi di risoluzione delle antinomie (cenni)

2. L’art 117, I in generale

2.3. La fonte legislativa e i suoi limiti: qualificazione dei relativi rapporti ed incidenza sui meccanismi di risoluzione delle antinomie (cenni)

Ove si accetti il presupposto per cui l’art. 117, I Cost. incide sul sistema delle fonti e, quindi, i tre ordini di fonti non legislative ivi contemplati istituiscono altrettanti limiti

una disposizione può assumere forza dirimente per la sua interpretazione»; G.F. FERRARI, op. cit., p. 1851 s., critica «sul piano del drafting, […] la stranezza di avere operato una revisione obliqua dei principi fondamentali della Costituzione proprio al tempo stesso in cui si diffonde il costume di inserire nelle leggi ordinarie e nei testi unici perpetuity clauses o eternal guarantees che impongono l’abrogazione esplicita rispetto ai principi che essi stessi formulano»; G. SERGES, Art. 117, 1° co., cit., p. 2215, afferma che «La

collocazione di una simile disposizione all’interno di un articolo della Costituzione che definisce gli am- biti della potestà legislativa di Stato e Regione non deve […] trarre in inganno».

(76) Sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. n. 4.4: la Corte esclude che l’art. 117, I Cost. «sia da considerarsi

operante soltanto nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni. L’utilizzazione del criterio interpreta- tivo sistematico, isolato dagli altri e soprattutto in contrasto con lo stesso enunciato normativo, non è suf- ficiente» a contraddire gli (asseriti) esiti del criterio d’interpretazione letterale. Sul punto, V. più ampia- mente supra, § 2.1.

all’esercizio della funzione legislativa in pari misura incidenti sulla potestà regionale e statale, si rende necessario giustificare sul piano teorico la prevalenza degli stessi sullo strumento normativo tradizionalmente supremo in quanto espressivo della volontà gene- rale. Un’interessante ricostruzione del significato di fondo ascrivibile all’art. 117, I – che ha riscosso ampio consenso in letteratura – è quella proposta nell’immediatezza del- la novella da F. PIZZETTI (77).

Questa teoria muove dalla considerazione che, nell’originario assetto costituzionale, il compito di assicurare l’unità normativa della Repubblica spettava essenzialmente al legislatore ordinario statale, chiamato a dare piena attuazione alla Costituzione e ai suoi contenuti «uniformanti» ed «unificanti». All’amministrazione e alla legislazione regio- nale spettava, invece, il compito di dare risalto ad istanze di carattere maggiormente specifico sul piano politico e, rispettivamente, territoriale. I vincoli esterni, in questo quadro, avrebbero rappresentato un elemento meramente aggiuntivo in un sistema che già trovava il suo baricentro nella legge dello Stato. Nell’attuale assetto ordinamentale conseguente alla riforma, però, sarebbe venuta meno la possibilità che la legislazione ordinaria svolga, di per sé, una simile funzione «unificante», avente validità generale su tutto il territorio nazionale (78). Al contrario, tale tipo di fonte si porrebbe oggi tenden- zialmente al servizio del pluralismo territoriale e della differenziazione degli interessi.

La funzione «unificante» dell’ordinamento complessivo dovrebbe, pertanto, indivi- duarsi a un livello sovralegislativo, giacché, in difetto, ne uscirebbe compromesso il fondamentale principio di unità e indivisibilità della Repubblica, sancito dall’art. 5 Cost. Sarebbe, in questo senso, essenziale la funzione svolta dall’art. 117, I Cost., il quale, «proprio perché si rivolge direttamente e specificamente ai legislatori statale e regionali, indica non solo tre vincoli ma anche, e soprattutto, tre diversi elementi di unificazione

(77) I nuovi elementi “unificanti” del sistema costituzionale italiano, in Ist. Federalismo, 2002, p.

221 ss. Tra gli Autori direttamente ispiratisi a questa ricostruzione, che ne hanno altresì adottato la tipica terminologia, Cfr. M.P. CHITI, Regioni e Unione europea dopo la riforma del Titolo V della Costituzione:

l’influenza della giurisprudenza costituzionale, in C. Bottari (a cura di), La riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, Rimini, 2003, p. 258; T. GROPPI, L’incidenza del diritto comunitario sui rapporti Sta-

to-Regioni dopo la riforma del Titolo V, cit., p. 29; A. PAJNO, Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordina-

mento comunitario come limite alla potestà legislativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p. 828

ss.; P. DE STEFANI, L’incorporazione dei diritti umani. L’adattamento al diritto internazionale e il nuovo

articolo 117 della Costituzione, in www.centrodirittiumani.unipd.it, 2003, p. 32; ID., Gli obblighi interna-

zionali, tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in www.forumcostituzionale.it, 2003; S. CATALANO,

L’incidenza del nuovo articolo 117, comma I, Cost. sui rapporti fra norme interne e norme comunitarie,

in N. Zanon (a cura di), Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, Napoli, 2006, p. 137.

(78) Cfr. altresì F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto

del sistema complessivo. Tutti e tre gli elementi richiamati nella disposizione, infatti, proprio perché si impongono immediatamente, e con efficacia generale, a tutti i legisla- tori, diventano, attraverso le interposte leggi statali e regionali, vincoli unificanti che ri- guardano tutto l’ordinamento» (79). Tramite essi, in altri termini, sarebbe possibile indi- viduare i comuni dati normativi da considerarsi indisponibili per la normazione prima- ria, sia a livello periferico, sia a livello centrale.

In questo quadro, la previsione dell’obbligo di rispettare la Costituzione non avreb- be il pleonastico significato di mera esplicitazione del principio di rigidità costituziona- le, bensì quello di mantenere nel Parlamento la titolarità di uno degli ordini normativi «unificanti» del complessivo sistema ordinamentale (80). Resta, infatti, appannaggio del Parlamento il potere di ricorrere alla legge costituzionale e alla legge di revisione, con l’effetto di vincolare tanto i Consigli regionali, quanto se stesso in funzione di legislato- re ordinario. Il che trova giustificazione, anche sotto il profilo della supremazia parla- mentare, nella natura “partecipata” delle norme costituzionali che, quand’anche appro- vate dalla sola maggioranza, possono pur sempre rimettersi alla volontà del corpo elet- torale da parte di una minoranza politica (81).

La ricostruzione di F. Pizzetti appare convincente sotto molteplici punti di vista. Presa in sé, tuttavia, essa non è in grado di spiegare la scelta del legislatore di revisione d’includere il vincolo comunitario e gli obblighi internazionali tra gli elementi di «uni-

(79) F. PIZZETTI, op. cit., p. 231 s.

(80) F. PIZZETTI, op. cit., p. 234 ss. Di diverso avviso è P. CAVALERI, Diritto regionale, cit., p. 133,

secondo cui «il “rispetto della Costituzionae” è da intendere, innanzitutto, come un richiamo alla salva- guardia dei principi e dei valori fondamentali, condivisi da tutta la collettività nel suo insieme»; analoga- mente P. DE STEFANI, Gli obblighi internazionali, tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia, cit., p. 1,

ritiene che il richiamo alla Costituzione non sia pleonastico, «nella misura in cui ciò che “vincola” allo stesso modo il legislatore statale (che in realtà dispone del potere di riformare la Costituzione stessa e di produrre leggi costituzionali) e quello regionale è il nucleo duro della Carta: i principi supercostituzionali insuscettibili di riforma se non in senso espansivo, sostanzialmente rinvenibili nella Parte prima». Sem- bra, invero, più corretta l’impostazione di F. Pizzetti, perché si deve ritenere che l’art. 117, I vincoli il Parlamento solo nella sua veste di legislatore ordinario e non anche in quella di legislatore costituzionale, il solo a poter eventualmente modificare le norme costituzionali inespressive di principi fondamentali.

(81) Cfr. art. 138, II Cost. Così inteso, il limite del rispetto della Costituzione – come, peraltro, già la stessa rigidità costituzionale – non sembra determinare di per sé una dispersione del principio di su- premazia del Parlamento, riecheggiandone anzi la ratio di tutela del pluralismo politico. Ciò che viene meno rispetto a un regime di costituzione flessibile è soltanto la giuridica possibilità, per la maggioranza parlamentare, in assenza di un consenso più vasto, di utilizzare il proprio potere politico al fine di «fare e disfare qualsiasi atto di legge» (Cfr. A.V. DICEY, Introduction to the Study of the Law of the Constitution, Londra, 1915, nel testo tradotto in lingua italiana, Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le

basi del costituzionalismo inglese, Bologna, 2003, p. 33). In primo luogo, il Parlamento mantiene il pote-

re esclusivo di modificare o abrogare le norme gerarchicamente superiori dell’ordinamento, di rango co- stituzionale oltre che di rango primario. In secondo luogo, nessun Parlamento può vincolare il proprio successore, neppure adottando leggi costituzionali: queste ultime, infatti, potranno essere modificate o abrogate con le medesime procedure aggravate all’uopo previste.

ficazione» dell’ordinamento complessivo, se non prospettando un’ipotetica volontà di transito ad una configurazione monista dei rapporti interordinamentali (82). La difficoltà di riscontrare questa specifica volontà nei lavori preparatori o nel testo delle norme ri- formate ha fatto sì che si tentasse, in letteratura, di moderare le conseguenze pratiche di questa ricostruzione, adottando una prospettiva maggiormente in sintonia con la giuri- sprudenza costituzionale pregressa. P. DE STEFANI, in particolare, ha proposto di assu-

mere i tre limiti contemplati dall’art 117, I «non nella loro qualità di fonti di rango su- perlegislativo in senso formale, bensì come “sistemi” che definiscono lo spazio valoria- le e istituzionale di riferimento per ogni soggetto che intenda cimentarsi nella produzio- ne normativa» (83). In questo senso, non tutti gli obblighi discendenti da qualsiasi tratta- to internazionale si tradurrebbero in un vincolo per il legislatore; ma non risulta del tutto chiaro, sul piano teorico, quale debba essere il discrimine tra obblighi vincolanti e non vincolanti, né quale sia il fondamento costituzionale di siffatta distinzione (84).

La verità è che la configurazione del vincolo comunitario e degli obblighi interna- zionali come elementi di «unificazione» del sistema complessivo non necessariamente presuppone l’accoglimento di un’impostazione monista dei rapporti fra ordinamenti. Questa scelta del legislatore costituzionale può, cioè, trovare spiegazione anche al di fuori della teoria di F. Pizzetti, senza che ciò equivalga a misconoscerne la fondatezza sul piano teorico. Basti, al proposito, richiamare le plurime impostazioni dottrinali e giurisprudenziali secondo le quali l’art. 117, I avrebbe funzione di specificare o varia- mente potenziare l’apertura del nostro ordinamento verso i valori dell’integrazione fra Stati, già accolti dalle previsioni di cui agli artt. 10 e 11 Cost. (85). Si tratterebbe, allora,

(82) Cfr. F. PIZZETTI, op. cit., p. 240: quanto al vincolo comunitario, l’A. afferma che «in virtù del

nuovo testo dell’art. 117, è necessario riconoscere che i rapporti tra l’ordinamento europeo e quello italia- no sono ora disciplinati in modo tale da configurare qualcosa di molto vicino all’esistenza di un ordina- mento complessivamente unitario»; e che «Un effetto analogo deve essere riconosciuto […] anche relati- vamente agli obblighi internazionali».

(83) L’incorporazione dei diritti umani, cit., p. 32.

(84) V. più approfonditamente infra, § 3.3.5.

(85) Cfr. A. CARRINO, Costituzione e sovranità. L’Italia e l’Europa prima e dopo Maastricht nel

recente dibattito giuspubblicistico, in Id., L’Europa e il futuro delle Costituzioni, Torino, 2002, p. 169; L.

TORCHIA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p.

1207; L.S. ROSSI, Gli obblighi internazionali e comunitari nella riforma del titolo V della Costituzione,

cit.; L. VIOLINI, Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome. Commento all’art. 1, comma I,

e agli artt. 5 e 6, in G. Falcon (a cura di), Stato, Regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131,

Bologna, 2003, p. 116; A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori: Lezioni, Torino, 2005, p. 152; ID.,

Quale “sistema” delle fonti dopo la riforma del Titolo V?, cit., p. 4; A. SCHILLACI, La Corte torna sui

“vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”: scelta del parametro, interposizione normativa e pro- cesso di integrazione tra ordinamenti, in Giur. Cost., 2007, pp. 2667 e 2669; F. CORVAJA, Gli obblighi

di una scelta di fondo del legislatore di revisione, volta ad approfondire l’«originaria vocazione universalistica» del nostro ordinamento (86) e – ad essa connaturato – l’impe- gno incombente sui pubblici poteri di promuovere, anche con l’azione esterna, l’univer- sale accettazione dei valori costituzionali su cui l’ordinamento stesso si fonda. Sarebbe, in questo quadro, incoerente consentire la possibilità di una divaricazione tra atteggia- menti interni ed esterni dei poteri pubblici, che sempre devono improntare la propria condotta alla piena realizzazione dei principi costituzionali, dei loro contenuti «unifor- manti» ed «unificanti».

Anche queste notazioni risultano, peraltro, insufficienti: pur spiegando l’assunzione del vincolo comunitario e degli obblighi internazionali come «elementi unificanti» del sistema complessivo, esse non giungono a giustificarne l’accostamento al limite del ri- spetto della Costituzione e non consentono, pertanto, di valutare la conformazione dei rapporti che i tre ordini di limiti intrattengono fra loro reciprocamente e con il prodotto dell’attività (legislativa) che sono volti a limitare.

Invero, la formulazione dell’art. 117, I, pur potendo «costituire […] un efficace de- terrente» rispetto all’approvazione di leggi interne contrastanti con i precetti comunitari ed internazionali, oltre che costituzionali, presenta l’innegabile difetto di non distingue- re le conseguenze dell’uno e dell’altro tipo di violazione (87). Questo difetto di chiarezza ha indotto taluni commentatori e parte della Magistratura a sostenere che la novella ab- bia determinato una perfetta equiparazione del diritto comunitario e del diritto interna- zionale nei loro rapporti con la fonte legislativa interna: ora approssimando le conse- guenze della relativa inosservanza a quella della violazione di norme costituzionali, con il connesso superamento della giurisprudenza Granital sui rapporti tra diritto interno e norme comunitarie dotate di efficacia diretta (88); ora, invece, approssimando le stesse

giudici comuni, in Riv. Giur. Urbanistica, 2007, p. 406; V. SCIARABBA, Nuovi punti fermi (e questioni

aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in Giur. Cost., 2007, p. 3587; V. ONIDA,

La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale, in www.astrid-online.it,

2008, p. 5 ss. Cfr. altresì Corte cost., sent. n. 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.2. (86) L’espressione è di V. ONIDA, op. cit., p. 9.

(87) L. SICO, Senso e portata dell’art. 11 della Costituzione nell’attuale contesto normativo e nelle

proposte di riforma costituzionale, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2003, p. 1517 s. Consapevole di questo di-

fetto e dei rischi che esso comporta sul piano ermeneutico è altresì A. RUGGERI, Quale “sistema” delle

fonti dopo la riforma del Titolo V?, cit., p. 3.

(88) Cfr. L. SICO, op. cit., p. 1519: la mancata distinzione circa gli effetti dell’uno e dell’altro tipo di

violazione avrebbe come «conseguenza apparante ineludibile» l’illegittimità costituzionale ex art. 117 delle norme di legge in contrasto tanto con obblighi internazionali quanto con quelli comunitari; nondi- meno, secondo l’A., «anche l’infelice formulazione dell’art. 117, c. 1, sarà sottoposta all’interpretazione della Corte costituzionale e a quest’ultima potrà ben riuscire di porla in armonia con l’interpretazione

conseguenze a quelle invalse per il diritto comunitario, prefigurando la disapplicazione da parte dei giudici ordinari anche delle leggi interne incompatibili con norme self-

executing di origine internazionale pattizia (89).

Entrambe le soluzioni presentano, anzitutto, inconvenienti non trascurabili sul piano pratico. La prima di esse, ripudiando la giurisprudenza Granital per restaurare un con- trollo accentrato di compatibilità comunitaria, riporterebbe in sostanza i termini del rap- porto alla seconda tappa del c.d. cammino comunitario della Corte costituzionale, con l’effetto di riaccendere vecchie incomprensioni con la Corte di Lussemburgo, che pare- vano ormai sopite (90). Si è, inoltre, rilevata l’incoerenza interna di quest’impostazione, la quale finirebbe col violare essa stessa un vincolo comunitario, quello che impone l’im- mediata risoluzione da parte dei giudici comuni degli eventuali conflitti normativi (91). La seconda soluzione, al contrario, causerebbe al sistema accentrato di giustizia costitu- zionale un vulnus talmente consistente, anche in termini quantitativi, da finire per confi- gurarlo come meramente residuale; e la Corte costituzionale difficilmente potrebbe ac- cettare una simile espropriazione del proprio ruolo, per mezzo di un disposto costituzio- nale ambiguo come quello in commento (92).

Sul piano teorico, poi, non può mancarsi di osservare che, quand’anche si accettasse l’equiparazione dei tre limiti in ordine agli effetti conseguenti alla relativa violazione, ciò non comporterebbe di necessità che gli stessi effetti debbano essere fatti valere nella

evolutiva dell’art. 11, senza che siano messe in forse le statuizioni che hanno segnato la soluzione del conflitto che l’aveva divisa dalla CGCE».

(89) Cfr. B. CARAVITA DI TORITTO, op. cit., p. 116, secondo cui l’art. 117, I Cost. «equipara il rap-

porto tra normativa nazionale e diritto internazionale a quello […] tra normativa nazionale e diritto comu- nitario». Sia pure problematicamente, la medesima soluzione è stata prospettata anche da L. VIOLINI, op.

cit., p. 123, secondo cui la «sostanziale assimilazione» dei due ordini di limiti potrebbe legittimare i giu-

dici comuni alla disapplicazione anche delle norme contrastanti con i precetti di matrice internazionale, «nella misura in cui i trattati siano in grado di porre regole direttamente applicabili ai rapporti intersogget- tivi». Sul riscontro che tale atteggiamento ha trovato anche in giurisprudenza, Cfr. A. GUAZZAROTTI, La

CEDU e l’ordinamento nazionale: tendenze giurisprudenziali e nuove esigenze teoriche, in Quad. Cost.,

2006, p. 498 s.; E. LUPO, La vincolatività delle sentenze della Corte europea per il giudice interno e la

svolta recente della Cassazione civile e penale, in appinter.csm.it, 2007, p. 5 s.

(90) Cfr. G.F. FERRARI, op. cit., p. 1854; A. MANGIA, op. cit., p. 807.

(91) Tale contrasto con i principi enunciati dalla Corte di giustizia in sent. n. C-106/77 del

09.03.1978, Simmenthal, in Racc., 1978, p. 629 ss., punti nn. 21 e 24, è stato evidenziato da L.S. ROSSI,

op. cit.; A. RUGGERI, op. ult. cit., p. 5. Per ulteriori approfondimenti, V. infra, § 4.4.

(92) In letteratura, non si è mancato di segnalare come questa possa essere la reale regione delle o-

pinioni espresse dalla Corte costituzionale in sentt. nn. 348 e 349/2007: Cfr. C. PINELLI, Sul trattamento

giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa confliggenti, cit., p. 3519 s.; M. CARTABIA, Le sentenze

“gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. Cost., 2007, p. 3565 s.; A. BULTRINI, Le sentenze

348 e 349/2007 della Corte costituzionale: l’inizio di una svolta?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2008, p.

medesima sede giudiziale (93). In altre parole: quand’anche si ritenesse equiparabile il diritto comunitario alle norme costituzionali nei rapporti con la legislazione interna, po- trebbe pur sempre profilarsi una limitazione della sovranità statale – consentita dall’art. 11 Cost. – che comporti la sottrazione delle relative antinomie alla giurisdizione costitu- zionale, in forza dei principi espressi dai Trattati istitutivi così come intesi dal loro in- terprete istituzionale. Viceversa, quand’anche si ritenesse equiparabile il diritto interna- zionale pattizio al diritto comunitario, nel senso che i suoi rapporti con la legislazione interna siano regolati secondo un criterio di separazione coordinata delle competenze, potrebbe pur sempre profilarsi l’incostituzionalità della legislazione che ecceda i limiti competenziali così stabiliti, attraendo i relativi conflitti alla giurisdizione costituzionale.

Alla luce di analoghe considerazioni, G.F. FERRARI ha sostenuto che, pur dovendosi

mantenere che l’art. 117, I comporti l’eguale imposizione del rispetto dei diversi ordini di fonti non legislative ivi contemplati, «non cambia però la forma di garanzia di cia- scuno, così come prevista da Costituzione e interpretazione giudiziale» (94). Altra parte della dottrina, invece, pone radicalmente in discussione lo stesso presupposto per cui l’accostamento, nell’art. 117, I, dei limiti alla funzione legislativa derivanti dalla Costi- tuzione, dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali possa avere come significato o conseguenza la pari ordinazione dei vincoli medesimi (95). Con estrema chiarezza, A. PACE annota in proposito cha «Una cosa è, infatti, l’obbligatorietà – che

costituisce una caratteristica comune di tutti gli atti giuridici validi […] –, altra cosa è il livello gerarchico della fonte» che l’obbligo in questione istituisce (96).

La teoria dell’equiparazione dei tre ordini di limiti si scontra, infine, con la perma- nente possibilità, aperta al legislatore costituzionale, di riformare ulteriormente il dispo-

(93) Cfr. A. RUGGERI, op. ult. cit., p. 4, che, criticando la prima delle opinioni sopra riportate, os- serva: «altro è l’illiceità conseguente alla mancata osservanza delle regole prodotte ab extra, altro ancora il “luogo” in cui essa può essere rilevata e fatta valere».

(94) G.F. FERRARI, op. cit., p. 1854: annota, infatti, l’A. che «l’impiego di diritto esterno a titolo di

norma interposta nel giudizio di costituzionalità in tanto si giustifica in quanto ve ne sia bisogno in rela- zione alle forme di giustiziabilità già impiegate nell’ordinamento interno. Se esse, come nel caso del dirit- to comunitario, sono più forti o efficaci del controllo concentrato di costituzionalità, quest’ultimo non po- trà che valere solo residualmente».

(95) Cfr. A. MANGIA, op. loc. ult. cit.; A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte ge-

nerale. Introduzione allo studio dei diritti costituzionali, Padova, 2003, p. 29 ss.; A. RUGGERI, op. ult. cit., p. 5 s.

(96) Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, cit., p. 30. Prosegue l’A. rilevando

che, in regime di Costituzione rigida, per porre un ordine normativo extracostituzionale sullo stesso piano gerarchico della Costituzione sarebbe necessaria «un’esplicita equiparazione» effettuata da quest’ultima (come quella ricavabile dall’art. 11 Cost. rispetto al diritto comunitario); e dell’art. 117, I Cost. certamen- te non potrebbe dirsi che contenga un’equiparazione «esplicita» in tal senso.

sto dell’art. 117, I anche sopprimendo la vincolatività dei limiti esterni ivi contemplati; come, peraltro, avrebbe inteso fare la L.Cost. 18.11.2005 con riguardo al limite degli obblighi internazionali. Accettando la tesi dell’equiparazione gerarchica, la Costituzione sarebbe incapace di sopprimere tout court la vincolatività di altro ordine normativo con

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