2. L’art 117, I in generale
2.5. Il modus operandi della norma: l’incertezza sulla sua natura autoapplicativa e sull’incidenza (solo) negativa o (anche) positiva dei limiti alla legislazione
Un’ultima questione di carattere generale relativa all’art. 117, I Cost. concerne l’in- dividuazione dei soggetti destinatari del medesimo: questione la cui risposta incide non poco anche sulla risoluzione delle già analizzate problematiche di diritto intertemporale. Si tratta di determinare se la previsione costituzionale si rivolga esclusivamente al legi- slatore ordinario (statale e regionale) o anche agli organi dell’applicazione (giudici e pubblica amministrazione) ovvero, ancora, se essa presenti un contenuto precettivo tale non solo da vincolare i pubblici poteri, ma la complessità dei soggetti che formano parte dell’ordinamento.
In letteratura, a ridosso della L.Cost. n. 3/2001, A. D’ATENA sosteneva che la previ-
sione costituzionale «è costruita come una disposizione autoapplicativa […] suscettibi- le, cioè, di produrre la totalità dei suoi effetti, indipendentemente dall’adozione di nor- me di attuazione» (148). L’ipotesi coltivata dall’Autore si colloca, invero, tra le più radi- cali, perché muove dall’assunto che l’art. 117, I operi come «dispositivo di adattamento automatico al diritto internazionale pattizio», nonché – deve per coerenza ritenersi – al diritto comunitario non direttamente applicabile (149). Secondo questa teoria, il nuovo disposto costituzionale avrebbe esteso alla generalità degli obblighi internazionali – in conformità con altre esperienze costituzionali del nostro intorno (150) – il regime che l’art. 10, I Cost. riservava al solo diritto internazionale generale; e alla generalità degli
(148) La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione Europea, cit.
(149) Della medesima opinione, sia pure con sfumature differenti, Cfr. F. PIZZETTI, I nuovi elementi
“unificanti” del sistema costituzionale italiano, cit. p. 241; A. GUAZZAROTTI, Niente di nuovo sul fronte
comunitario?, cit., p. 482; L. VIOLINI, Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome, cit., p. 118 s.; L. BARTOLOMEI, La garanzia costituzionale dei trattati alla luce della legge 5 giugno 2003 n. 131,
cit., p. 864, nota n. 37; G. GAJA, Il limite costituzionale del rispetto degli “obblighi internazionali”: un
parametro definito solo parzialmente, in Riv. Dir. Internaz., 2008, p. 137 s.
(150) Cfr. l’art. 55 della Costituzione francese della V Repubblica, secondo cui i trattati internaziona-
li, una volta regolarmente ratificati o approvati, acquistano per ciò stesso dal momento della loro pubbli- cazione un’autorità superiore alla legge (sotto riserva di reciprocità nell’applicazione); e l’art. 96, I della Costituzione spagnola del 1978, il quale determina l’adeguamento automatico dell’ordinamento interno alle norme dei trattati internazionali, una volta che gli stessi siano stati pubblicati ufficialmente, e prevede altresì che le relative norme non possano essere derogate, modificate o sospese se non nelle forme con- template dai trattati stessi ovvero secondo le norme generali di diritto internazionale.
strumenti derivati di diritto comunitario il regime che gli artt. 11 Cost. e 249 TCE (attua-
le art. 288 TFUE) riservavano ai soli regolamenti.
Rimandando al prosieguo i necessari approfondimenti, basti per ora notare come l’orientamento testé segnalato possa alternativamente importare o l’accoglimento di un’indiscriminata apertura monista del nostro ordinamento al diritto internazionale e comunitario (151), ovvero – in una visione ancora improntata al dualismo dei rapporti ordinamentali – l’assorbimento in seno all’art. 117, I dei vincoli ed obblighi “esterni” cui esso fa riferimento. In questo secondo caso, si attribuisce al disposto costituzionale un contenuto precettivo autonomo, configurandolo perciò come norma di produzione giuridica. L’accoglimento di siffatta configurazione implica il riconoscimento che la novella abbia introdotto un meccanismo di adeguamento automatico al diritto interna- zionale e comunitario: sarebbe incoerente discorrere di contenuto precettivo autonomo della disposizione, per poi condizionarne l’operatività al recepimento delle norme di o- rigine “esterna” nelle forme tradizionali, essenzialmente con legge ordinaria (152). Tut- tavia, non ogni norma di origine “esterna” potrebbe godere appieno della natura autoap- plicativa riconosciuta all’art. 117, I, ma solo le norme internazionali self-executing e quelle comunitarie dotate di effetto diretto: le altre presupporrebbero, invece, per loro stessa natura, la necessaria intermediazione da parte di atti interni d’esecuzione.
Se, dunque, la qualifica di norma di produzione attribuisce in linea di principio al- l’art. 117, I natura autoapplicativa ed operatività nei confronti della generalità dei sog- getti dell’ordinamento, non vale invece la reciproca. Natura autoapplicativa avrebbe, in- fatti, il disposto costituzionale pure qualora lo si configurasse come norma sulla produ- zione condizionante non già la validità bensì l’applicabilità della produzione legislativa domestica. In quest’ipotesi, vincoli comunitari ed obblighi internazionali sarebbero pro-
(151) Aderiscono all’orientamento monista D.U. GALETTA, La previsione dell’art. 3, comma 1, cpv.
1, della legge di revisione del Titolo V della Costituzione come definitivo superamento della teoria duali- stica degli ordinamenti, in Aa.Vv., Problemi del federalismo, Milano, 2001, p. 307; F. PATERNITI, La ri-
forma dell’art. 117, comma 1, Cost. e le nuove prospettive nei rapporti tra ordinamento giuridico nazio- nale e Unione europea, cit., pp. 2106 s. e 2110 s.; R. CALVANO, La Corte costituzionale “fa i conti” per
la prima volta con il nuovo art. 117, comma 1 Cost. Una svista o una svolta monista della giurisprudenza costituzionale sulle “questioni comunitarie”?, in Giur. Cost., 2005, p. 4417 ss.; ID., La Corte costituzio-
nale e il nuovo orizzonte della tutela multilivello dei diritti fondamentali alla luce della riflessione di S. Panunzio, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2006; S. CATALANO, L’incidenza del nuovo articolo
117, comma I, Cost. sui rapporti fra norme interne e norme comunitarie, cit., p. 139 s.; G. SERGES, Art.
117, 1° co., cit., p. 2223; M. SAVINO, Il cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sen-
tenze n. 348 e n. 349 del 2007, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, p. 764 (che parla, però, di impostazione
“neo-monista”).
(152) Cfr. F. PATERNITI, op. cit., che, configurando l’art. 117, I come norma di produzione giuridica
tetti nei confronti della legislazione (non solo futura) da un principio di separazione del- le competenze, che precluderebbe l’applicazione di quest’ultima laddove con essi in- compatibile. Se così fosse, risulterebbe incoerente subordinare l’applicazione di norme internazionali self-executing o comunitarie dotate di effetto diretto ad un previo inter- vento di recepimento: la necessità di tutela sorgerebbe, infatti, nel medesimo momento in cui queste norme si perfezionino nel rispettivo ordinamento d’origine. In questo caso, peraltro, non avendo l’art. 117, I un contenuto immediatamente precettivo, esso si rivol- gerebbe non già direttamente alla generalità dei consociati, bensì ai soli organi dell’ap- plicazione, facendo loro carico d’applicare ai rapporti giuridici pendenti le competenti norme internazionali e comunitarie in luogo delle leggi interne incompatibili.
Delle due letture che attribuiscono portata autoapplicativa all’art. 117, I, la prima ri- sulta inaccettabile ove letta alla luce del principio di supremazia del Parlamento. Se norme “esterne”, riconducibili alla volontà dell’esecutivo, andassero immediatamente a riempire di contenuto un disposto costituzionale cui si riconosce autonoma precettività, ciò significherebbe accordare al Governo un potere di revisione indiretta della Costitu- zione (153), concorrente con quello detenuto dal Parlamento (154). A quest’ultimo ver-
rebbe, così, sottratta la titolarità esclusiva del principale elemento di unificazione del- l’ordinamento complessivo. E ciò si presterebbe ad abusi da parte della maggioranza politica, che potrebbe agire sotto la copertura dell’integrazione internazionale o sovra- nazionale per sottrarre alla partecipazione e al controllo dell’opposizione autentiche al- terazioni delle fondamentali “regole del gioco” politico.
Anche la seconda lettura dà adito a perplessità. La previsione di nuovi vincoli in ambito comunitario e l’assunzione di nuovi obblighi internazionali potrebbero, invero, essere utilizzate dal Governo al fine di ridurre progressivamente gli ambiti di competen- za legislativa del Parlamento. E poiché la natura autoapplicativa del disposto costituzio- nale renderebbe immediato il difetto di competenza parlamentare, un ulteriore conse- guenza dell’orientamento in parola sarebbe quella d’inibire qualsiasi forma di controllo da parte delle Camere sull’attività “esterna” già esercitata dall’esecutivo.
(153) Paventa questo rischio M.A. SANDULLI, Due aspetti della recente riforma al Titolo V della Co-
stituzione, cit., p. 150.
(154) Già tale considerazione varrebbe di per sé a indebolire la lettura in commento, essendo quan-
tomeno dubbio che una legge costituzionale possa istituire fonti ad essa – benché indirettamente – concor- renziali. Su questo tema, Cfr. P. CARNEVALE, Osservazioni sparse in tema di norme sulla normazione e
su talune caratteristiche del loro regime giuridico, cit., p. 152 s.; F. MODUGNO, È possibile parlare anco-
Il principio di supremazia del Parlamento induce, in definitiva, a preferire letture ermeneutiche che escludano una portata autoapplicativa dell’art. 117, I; ciò che può conseguirsi ove lo si configuri come norma sulla produzione condizionante esclusiva- mente la sfera di validità della produzione legislativa futura. In quest’ipotesi, il disposto costituzionale si rivolgerebbe per definizione ai soli legislatori statale e regionale, vie- tando loro di approvare leggi in contrasto con vincoli comunitari ed obblighi internazio- nali.
F. SORRENTINO, peraltro, ha sostenuto che il disposto costituzionale possa svolgere
nei confronti del legislatore non solamente un ruolo negativo, quale limite alla validità delle leggi, ma anche un ruolo positivo, imponendogli di effettuare tutto quanto neces- sario per il puntuale adempimento dei vincoli ed obblighi medesimi (155). Un mero vin- colo negativo non potrebbe garantire un regolare adempimento di vincoli od obblighi che richiedano prestazioni di carattere positivo. In quest’ultimo caso, il ruolo positivo dell’art. 117, I completerebbe la garanzia, facendo sì che «alla pressione dall’esterno si aggiung[a], concentrata sul legislatore statale o regionale, una pressione dall’interno dello stesso ordinamento nazionale» (156).
La violazione del vincolo negativo avrebbe come conseguenza l’invalidità della legge contrastante con la norma internazionale o comunitaria assunta a parametro inter- posto: la conformità dell’ordinamento interno verrebbe ripristinata mediante la rimozio- ne tout court della stessa, con sua dichiarazione d’illegittimità costituzionale da parte della Consulta (157). Più complicato sarebbe censurare l’omissione del legislatore rispet- to a un obbligo positivo di adeguare l’ordinamento, sì da assicurare il rispetto di vincoli comunitari ed obblighi internazionali: in quest’eventualità, la Corte costituzionale po- trebbe intervenire soltanto mediante una pronuncia di accoglimento additiva, dichiaran- do l’incostituzionalità di una norma o di un sistema di norme legislative “nella parte in
(155) Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comunita-
rio, cit., p. 1357; Il diritto europeo nella giurisprudenza della Corte costituzionale: problemi e prospetti- ve, cit., p. 636. Cfr. altresì P. DE STEFANI, L’incorporazione dei diritti umani, cit., p. 18.
(156) P. DE STEFANI, op. luc. ult. cit.
(157) È in questo senso che ha operato la Corte costituzionale con le sentenze n. 406 del 24.10.2005,
in Giur. Cost., 2005, p. 4429 ss.; n. 129 del 23.03.2006, in Giur. Cost., 2006, p. 1198 ss.; n. 269 del 04.07.2007, in Giur. Cost., 2007, p. 2646 ss.; nn. 348 e 349/2007, citt. e n. 39/2008, cit., benché in queste ultime risultino assai confusi i profili per i quali l’art. 117, I Cost. è trattato come norma di produzione e quelli in cui, invece, è trattato come norma sulla produzione.
cui” non prevedano quello specifico rimedio che consenta di ottemperare al vincolo od obbligo in ipotesi rilevante (158).
In questo senso sembra essersi orientata la stessa Corte costituzionale, stando a quanto emerge dal “monito” rivolto al legislatore con la sentenza n. 129/2008 (159). Tale monito attesta, infatti, l’«improrogabile necessità» – implicitamente fondata proprio sul- l’art. 117, I (160) – che il legislatore adotti una disciplina normativa interna tale da con- sentire l’osservanza dell’obbligo internazionale scaturente dall’art. 46 CEDU, rispetto a
un rapporto della Commissione europea dei diritti umani e a numerose risoluzioni inte- rinali del Comitato dei ministri (161). In mancanza di un pronto adeguamento, la Corte lascia intendere che la sanzione non potrà essere se non quella dell’accoglimento di una futura questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento a un più adegua- to parametro costituzionale: quello, appunto, dell’art. 117, I (benché non espressamente
(158) Cfr. F. SORRENTINO, op. loc. ult. cit.; C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo con-
trasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in www.giurcost.org, 2007; V. SCIARABBA, Il problema dell’intangibilità del giudi-
cato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale e… legislatore?, in www.fo- rumcostituzionale.it, 2008, p. 15 s.
(159) Sent. n. 129 del 16.04.2008, in Giur. Cost., 2008, p. 1506 ss., con nota di M. CHIAVARIO, Giu-
dicato e processo “iniquo”: la Corte si pronuncia (ma non è la parola definitiva), p. 1522 ss. Cfr. in par-
ticolare il C.i.d. n. 3, laddove si afferma «l’evidente, improrogabile necessità che l’ordinamento predi- sponga adeguate misure», «atte a riparare, sul piano processuale, le conseguenze scaturite dalle violazioni ai principi della Convenzione in tema di “processo equo”, accertate da sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo»; e il C.i.d. n. 7, contenente il seguente monito: «questa Corte ritiene di non potersi esi- mere dal rivolgere al legislatore un pressante invito ad adottare i provvedimenti ritenuti più idonei, per consentire all’ordinamento di adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia- no riscontrato, nei processi penali, violazioni ai principi sanciti dall’art. 6 della CEDU».
(160) L’art. 117, I Cost. non figura, invero, tra i parametri di costituzionalità invocati dal giudice re-
mittente, che solo si richiamava agli artt. 3, 27, III e 10, I Cost. La Corte dichiara infondate le questioni sollevate, ma non manca di rilevare che il vaglio di legittimità è stato condotto «con specifico riferimento ai parametri di costituzionalità che sono stati richiamati» (Cfr. sent. n. 129/2008, cit., C.i.d. n. 7). Si è, pertanto, notato in letteratura come, benché l’art. 117, I Cost. non sia stato menzionato espressamente nel- la sentenza, il suo «spettro» «campeggi sullo sfondo di essa (ma anche implicitamente in alcune sue pie- ghe argomentative)»: V. SCIARABBA, op. ult. cit., p. 12; Cfr. altresì A. CIAMPI, Processo non equo secon-
do la Corte europea dei diritti dell’uomo e rinnovazione del giudizio secondo la Corte costituzionale, in Riv. Dir. Internaz., 2008, p. 796.
(161) Cfr. il rapporto della Commissione europea dei diritti umani contenuto in ricorso n. 33286 del
09.09.1996, Paolo Dorigo c. Italia; la risoluzione interinale di accoglimento del Comitato dei ministri n. 258 del 15.04.1999, Dorigo c. Italia; le successive risoluzioni interinali dello stesso Comitato dei mini- stri, n. 30 del 19.02.2002, n. 13 del 10.02.2004 e n. 85 del 12.10.2005, che invitavano il Governo italiano a rispettare l’obbligo di adeguamento scaturente dalla previsione dell’art. 46.1 CEDU (tutti gli atti ora in-
dicati sono opportunamente richiamati in A. CIAMPI, op. loc. cit.). L’art. 46.1 prevede che «Les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties»; analogo obbligo, peraltro, vale anche rispetto alle risoluzioni del Comitato di ministri in relazione alle controversie ad esso deferite prime dell’entrata in vigore del Protocollo n. 11.
menzionato). Si è evidenziato, in letteratura, come solo una sentenza additiva di princi- pio possa, nel caso di specie, risultare adeguata allo scopo (162).
Una prima difficoltà che pone quest’orientamento concerne la determinazione del momento a partire dal quale possa esigersi nei confronti del legislatore l’adeguamento della normativa interna (163). Spesso è lo stesso strumento comunitario od internazionale che assegna allo Stato un termine entro il quale dovrà essere conseguito il risultato pre- scritto: in tal caso, nessun obbligo positivo può ritenersi incombere sul legislatore prima della scadenza del termine, ma semmai un mero obbligo negativo di astenersi dall’adot- tare provvedimenti che possano pregiudicare l’adempimento futuro (164). Quando, inve- ce, lo strumento entra in vigore già al momento della ratifica o – se atto derivato – al momento della sua emanazione da parte delle istituzioni competenti, non può certo pre- tendersi che l’ordinamento interno risulti preconformato in modo tale da prestarvi im-
(162) Cfr. V. SCIARABBA, op. ult. cit., p. 15 s., il quale propende per una «decisione additiva di prin-
cipio, […] attraverso la quale si possa dichiarare l’incostituzionalità (per contrasto con l’art. 117, c. 1, ov-
viamente) del sistema delle impugnazioni (concretamente: di una qualche norma, suscettibile di essere utilizzata, per così dire, come “capro espiatorio”), “nella parte in cui non prevede un rimedio [o un mec- canismo] che consenta di ottemperare…” ecc. ecc.». Della stessa opinione, in relazione al medesimo caso di specie, B. RANDAZZO, Caso Dorigo. La Cassazione “paralizza” il giudicato penale in applicazione
diretta della CEDU, senza pregiudicare la rilevanza della quaestio sui limiti della revisione. Ora la parola alla Corte costituzionale, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Co- stituzione e CEDU. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Stra-
sburgo, Torino, 2007, p. 211.
(163) Della difficoltà di queste problematiche si dimostra consapevole C. ZANGHÌ, op. cit., il quale
tuttavia non le approfondisce, rilevando come esse esulino dalla portata del proprio intervento.
(164) Cfr., per quanto concerne il diritto internazionale pattizio, l’art. 18(b) della Convenzione di
Vienna del 1969 sul diritto dei trattati: «A State is obliged to refrain from acts which would defeat the object and purpose of a treaty when: […] it has expressed its consent to be bound by the treaty, pending the entry into force of the treaty and provided that such entry into force is not unduly delayed». Per quan- to concerne il diritto comunitario, Cfr. Corte giust., sent. n. C-129/96 del 18.12.1997, Inter-Enviroment
Wallonie, in Racc., 1997, p. I-7411 ss., punto n. 45: «anche se gli Stati membri non sono tenuti ad adotta-
re queste misure prima della scadenza del termine per la trasposizione, […] in pendenza di tale termine, essi devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato pre- scritto dalla direttiva stessa»; e sent. n. C-157/02 del 05.02.2004, Rieser Internationale Transporte, in
Racc., 2004, p. I-1477 ss., punto n. 66.
Recentemente, ma con riferimento a due casi assai peculiari, la Corte di Giustizia è andata oltre, san- cendo che, durante il periodo intercorrente tra l’entrata in vigore dell’atto comunitario e la scadenza del termine per la sua trasposizione, gli Stati membri dovrebbero non solo astenersi da iniziative idonee a compromettere il conseguimento dei risultati prescritti da una direttiva, ma sin dall’inizio adottare tutte le misure necessarie per rendere in futuro concretamente conseguibili i risultati medesimi. Cfr. sent. n. C- 144/04 del 22.11.2005, Mangold, in Racc., 2005, p. I-9981 ss., punto n. 72: quando una direttiva accordi ad uno Stato membro la possibilità di beneficiare «eccezionalmente di un termine di trasposizione più lungo», esso sarebbe invero tenuto ad adottare «progressivamente misure concrete al fine di riavvicinare fin da tal momento la sua normativa al risultato prescritto da tale direttiva» (sul punto Cfr. T. VON DAN- WITZ, Effets juridiques des directives selon la jurisprudence récente de la Cour de Justice. Effet anticipé,
antérieur à l’expiration du délai de transposition, interprétation conforme aux directives, primauté et ap- plication “combinée” avec les principles généraux du droit, in Rev. Trim. Droit Eur., 2008, p. 583). Cfr.
anche sent. C-246/06 del 17.01.2008, Velasco Navarro, in Racc., 2008, p. I-105 ss., punto n. 39 (su cui il commento di V. PICCONE, Corte di Giustizia e interpretazione conforme: la sentenza Velasco Navarro, in
mediatamente il necessario rispetto. Si tratterebbe, allora, di determinare un «ragionevo- le lasso di tempo» (165) durante il quale l’omissione del legislatore non possa essere san- zionata dalla Corte costituzionale; ma il parametro della ragionevolezza farebbe dipen- dere l’estensione di questo lasso di tempo dalla consistenza e difficoltà degli interventi richiesti, con grave compromissione del principio di certezza giuridica.
Analoghi problemi si porrebbero in relazione all’adempimento di tutti i vincoli co- munitari ed obblighi internazionali già vigenti al momento della novella costituzionale nella misura in cui, sino all’entrata in vigore della stessa, prestazioni positive di ade- guamento non potessero ritenersi imposte al legislatore. Ci si dovrebbe chiedere, pertan- to, quale sia il lasso di tempo ragionevole di cui il legislatore avrebbe dovuto godere per poter adeguare l’ordinamento interno; ma la questione, dopo un buon numero d’anni dall’entrata in vigore della riforma, non ha ormai più ragione d’essere posta. La que- stione più rilevante concerne, piuttosto, la determinazione di se e quanto l’adeguamento stesso debba essere retroattivo: se, cioè, debba interessare tutti i rapporti ancora penden- ti, o solo quelli sorti dopo un determinato termine (che potrebbe anche individuarsi nel momento stesso di entrata in vigore della L.Cost. n. 3/2001). A ben vedere, né l’art. 117, I né i lavori preparatori offrono alcun elemento per fornire una risposta a tal quesi- to; che neppure F. Sorrentino e la dottrina più vicina alle sue posizioni hanno sino ad oggi inteso affrontare (166).
Un quesito ulteriore è se l’inattività del legislatore possa essere sanzionata – in am- bito interno – sulla sola base dell’art. 117, I o se occorra, invece, che quest’ultimo operi in combinato disposto con apposite previsioni degli strumenti internazionali o comuni- tari di volta in volta invocati, che specificamente impongano allo Stato di adottare de- terminate misure per conformarsi agli obblighi assunti. In ambito comunitario, svolge