3. Il limite degli obblighi internazional
3.3. La difficile ricostruzione della portata del limite; considerazioni alla luce del prin cipio di supremazia del Parlamento
3.3.5. La proposta di limitare in via ermeneutica la portata del limite ai soli trattati sui diritti fondamental
Si è più volte ripetuto che il disposto dell’art. 117, I soffre una forte componente di ambiguità, che ne preclude un’analisi ermeneutica fondata in tutto o in prevalenza sul criterio d’interpretazione letterale. Ciò risulta evidente, in particolare, per quanto con- cerne la portata del limite degli obblighi internazionali, ove si consideri come analisi basate su quest’unico criterio abbiano condotto gli interpreti ad esiti diametralmente op- posti in relazione alle questioni sopra approfondite (188). L’ambiguità è, poi, aumentata dalla considerazione che nell’ordinamento internazionale costituiscono strumenti idonei
ne di attuazione dell’art. 117, IX Cost. stabilisse che anche la conclusione di accordi delle Regioni con Stati esteri vada autorizzata mediante legge del Parlamento.
(187) I vincoli dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, cit., p. 6.
(188) Emblematica la contraddizione cui l’utilizzazione del criterio letterale conduce, con riguardo agli obblighi internazionali assunti dalle Regioni, F. SORRENTINO, I vincoli dell’ordinamento comunitario
e degli obblighi internazionali, cit., p. 6, da un lato, e F. PIZZETTI, I nuovi elementi “unificanti” del siste-
ad impegnare la responsabilità dello Stato non soltanto consuetudini e trattati d’ogni ti- po, ma anche, a rigore, «una quantità di atti e comportamenti, unilaterali se del caso, di organi ed agenti dell’esecutivo, o di altri enti, sia centrali che periferici»: una congerie di obblighi, eterogenei per contenuto, dimensione soggettiva ed estensione temporale, difficile da razionalizzare e coordinare in maniera adeguata con l’esercizio della funzio- ne legislativa in ambito interno (189). In molti casi, dunque, risulterebbe palesemente contrario al buon senso vincolare il legislatore al rispetto di vincoli internazionali legati a situazioni dichiaratamente transeunti o, come che sia, destinati ad un frequente ricam- bio nel tempo.
Non sorprende che, in letteratura, molti degli Autori che hanno salutato con favore l’avvento di un siffatto limite all’esercizio della funzione legislativa abbiano, in realtà, concentrato la propria analisi in modo pressoché esclusivo sull’avanzamento che esso comporterebbe sul fronte della tutela dei diritti umani (190). Un fronte, cioè, rispetto al quale da più parti ormai si rappresentava la necessità d’affiancare le norme d’origine in- ternazionale a quelle della Costituzione, non solo in funzione interpretativa delle stesse, ma anche – secondo alcuni – in funzione integrativa del dettato costituzionale (191).
(189) L. CONDORELLI, La Corte costituzionale e l’adattamento dell’ordinamento italiano alla CEDU
o a qualsiasi obbligo internazionale?, in Dir. Umani Dir. Internaz., 2008, p. 308.
(190) Cfr. G.F. FERRARI, Il primo comma dell’art. 117 della Costituzione e la tutela internazionale
dei diritti, cit., p. 1855, secondo cui «la capacità di elevarsi a norma interposta nel giudizio di costituzio-
nalità delle leggi sarebbe ora stata formalizzata soprattutto per CEDU e altre convenzioni in tema di dirit- ti» (corsivo aggiunto); A. GUAZZAROTTI, I giudici comuni e la CEDU alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, in Quad. Cost., 2003, p. 37 ss., che individua nell’art. 117, I Cost. la leva che finalmente «fa
saltare il dato che poteva offrire una chiave di lettura […] circa il rango gerarchico e l’utilizzo “parame- trico” della CEDU»; P. CARETTI, Le norme della Convenzione europea dei diritti umani come norme in-
terposte nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi: problemi aperti e prospettive, in Dir. Umani Dir. Internaz., 2008, p. 318, secondo cui le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale con le senten-
ze nn. 348 e 349/2007 in ordine alla copertura costituzionale della CEDU dovrebbero ritenersi estensibili
anche alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non già perché si tratta in entrambi i casi di strumenti convenzionali, fonti di obblighi internazionali, bensì perché entrambi i documenti sono «“Car- te” dei diritti, riconducibili in larghissima misura a quelli già sanciti dalle Costituzioni nazionali, che si propongono di assicurare una tutela standard negli ordinamenti degli Stati membri»: «”Carte” ciascuna delle quali ha un suo giudice (per la Carta europea, la Corte di giustizia), chiamati ad interpretarla al fine di assicurarne l’uniforme applicazione».
(191) Prima della novella, chi prospettava l’apertura costituzionale al riconoscimento di nuovi diritti
– contenuti nelle Carte internazionali – si rifaceva generalmente all’interpretazione dell’art. 2 Cost. come fattispecie aperta, recependo in sostanza gli orientamenti espressi da A. BARBERA, Art. 2, cit., p. 50 ss.
Nel 1993, con una decisione rimasta isolata, la Corte costituzionale aveva qualificato i trattati internazio- nali a tutela dei diritti umani come fonti normative riconducibili a una competenza “atipica”, in quanto le relative leggi di esecuzione sarebbero implicitamente autorizzate dalla Costituzione a resistere all’abrogazione da parte di norme aventi rango ordinario: Cfr. sent. n. 10 del 12.01.1993, in Giur. Cost., 1993, p. 52 ss., C.i.d. n. 2. Sulla peculiarità delle Carte dei diritti rispetto alla generalità dei trattati inter- nazionali, Cfr. in particolare M. KUMM, Costituzionalismo democratico e diritto internazionale: termini
Trattasi, invero, di un tema centrale nell’evoluzione delle relazioni internazionali a par- tire dal secondo dopoguerra, allorquando l’integrazione tra Stati orientati all’ideale de- mocratico consentì di riespandere la naturale vocazione universalistica del costituziona- lismo, disegnando standard minimi universali di tutela, nella convinzione che «non si può immaginare alcun nazionalismo giuridico in tema di diritti fondamentali» (192).
Allo stesso modo, non sorprende che la giurisprudenza costituzionale abbia sino a questo momento assunto a parametro integrativo del limite degli obblighi internazionali esclusivamente norme della CEDU (193). La Corte, anzi, non ha mancato d’evidenziare la
Ritiene, al contrario, che affiancare ai precetti costituzionali le norme delle Carte internazionali dei diritti non possa garantire un maggior grado di tutela delle situazioni giuridiche soggettive F. SORRENTI- NO, La tutela multilivello dei diritti, cit., secondo cui i diversi documenti in questione, in realtà, si porreb-
bero tra loro in competizione soltanto sul piano dell’efficacia della tutela prestata. L’errore sarebbe quello di considerare che, nei diversi documenti, a diritti qualificati con un medesimo nomen corrispondano me- desime situazioni soggettive: assunto falso per una pluralità di ragioni, tutte legate alla circostanza che ciascuno degli ordinamenti presi in considerazione «rappresenta un sistema autonomo e tendenzialmente chiuso di valori giuridici e di beni tutelati». In primo luogo, diverse sarebbero le tecniche d’interpretazio- ne e qualificazione giuridica di fatti e valori invalse nell’ambito dei vari ordinamenti. In secondo luogo, diversi sarebbero altresì gli strumenti di garanzia, giurisdizionali e non. In terzo luogo, diverse sarebbero le tecniche di bilanciamento fra contrapposte situazioni giuridiche e diversi altresì i soggetti legittimati a utilizzarle: legislatori o autorità giurisdizionali. In quarto luogo, diversi sarebbero, infine, gli interessi pubblici che ciascun ordinamento si propone di perseguire; e il rapporto tra la tutela delle situazioni sog- gettive e l’interesse generale sarebbe determinato non solo dall’attività interpretativa delle norme che quelle situazioni soggettive tutelano, ma anche e principalmente da specifiche opzioni politiche. Cfr. al- tresì, sul punto, A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, cit., p. 33 ss.; M. LU- CIANI, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, cit., p. 1661 ss.; M. CARTABIA, Le senten-
ze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, cit., p. 3569.
(192) V. ONIDA, La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale,
cit., p. 10. Questa vocazione universalistica del costituzionalismo – radicata nella verità di principio per cui tutti gli esseri umani sono egualmente dotati di dignità e di diritti inalienabili e indisponibili – sarebbe rimasta storicamente latente fino alla seconda guerra mondiale, in un contesto dominato dall’ideologia della sovranità nazionale. La seconda guerra mondiale, ricompattando gli Stati democratici in un fronte comune contro i regimi tirannici che rigettavano i fondamenti stessi del costituzionalismo, avrebbe con- sentito a quest’ultimo di riespandere la propria vocazione universalistica, nella comune convinzione che i diritti e le libertà fondamentali dovessero essere garantiti ovunque a livello globale. Nello stesso senso, Cfr. altresì M. KUMM, op. cit., p. 88 s. Muove da una prospettiva parzialmente differente, invece, S. BAR- TOLE, Costituzione e costituzionalismo nella prospettiva sovranazionale, in Quad. Cost., 2009, p. 571 ss., secondo cui l’affermazione dei diritti fondamentali dei cittadini e la determinazione dei relativi mezzi di tutela avrebbero rappresentato, in passato, una delle tipiche manifestazioni del potere costituente in ambi- to nazionale: soltanto col passare del tempo, sarebbe emersa la convinzione della sussistenza di uno stret- to nesso eziologico tra la salvaguardia della persona umana, da un lato, e il mantenimento di pace e sicu- rezza internazionale, dall’altro; sicché l’affermazione dei diritti fondamentali sarebbe progressivamente divenuta oggetto tipico di convenzioni internazionali. A ciò sarebbe, poi, conseguita la persuasione che la tutela dei diritti umani dovesse necessariamente avere una dimensione sovranazionale, al punto che risul- terebbe «ormai fuori luogo e anacronistico idealizzare il catalogo dei diritti umani e delle libertà fonda- mentali come manifestazione sovrana ed esclusiva di una nazione in senso tradizionale» (p. 586).
(193) Cfr. Corte cost., sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. nn. 4.2 e 4.5; sent. n 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.2;
sent. n. 39 del 25.02.2008, in Giur. Cost., 2008, p. 408 ss., C.i.d. n. 5. Deve, peraltro, precisarsi che, in precedenza, la stessa Corte costituzionale, con ord. n. 464 del 14.12.2005, in Giur. Cost., 2005, p. 4966 ss., ancora rigidamente asseriva che la CEDU «non assume il valore di norma parametro» (nella circostan- za, tuttavia, il remittente aveva invocato la violazione di una norma della Convenzione «quale ulteriore parametro, in relazione all’art. 29 della Costituzione» e non già all’art. 117, I Cost.).
peculiare rilevanza di questo trattato, che per i suoi contenuti integra «l’attuazione di valori e principi fondamentali protetti dalla stessa Costituzione italiana» (194) e che, per- tanto, assume un riconosciuto valore interpretativo non soltanto delle norme legislative, ma anche delle stesse norme costituzionali (195). Questo spunto argomentativo di tipo assiologico non comporta, peraltro, alcun tipo di ricaduta sull’interpretazione dell’art. 117, I che, invece, la Corte conduce seguendo schemi puramente formali (196). Così, l’u- nica particolarità che venga effettivamente in rilievo nello scrutinio costituzionale di conformità al limite degli obblighi internazionali sarebbe la presenza, nel sistema CEDU,
di un’istanza giurisdizionale alle cui pronunce – secondo quanto previsto dalla stessa Convenzione – gli Stati contraenti sono tenuti a uniformarsi. Di conseguenza, gli obbli- ghi internazionali integranti il parametro di cui all’art. 117, I dovranno essere corretta- mente ricostruiti sulla base della giurisprudenza di Strasburgo (197).
Portando alle estreme conseguenze il rilievo costituzionale riconosciuto a tale gene- re di trattati, P. DE STEFANI ritiene necessario operare una distinzione fra obblighi inter-
nazionali vincolanti e obblighi non vincolanti la legislazione interna, procedendo non già alla stregua di qualificazioni formali – in rapporto ai caratteri della fonte da cui essi promanino – bensì in ragione di considerazioni sostanziali, legate ai contenuti delle norme stesse (198). Il criterio sostanziale che l’Autore fa proprio come parametro di rife- rimento non risulta chiaramente delineato, ma si riduce a un pragmatico rinvio alla giu- risprudenza costituzionale, su cui verrebbe a ricadere ogni onere conseguente (199). Al centro della riflessione, nondimeno, stanno le Carte internazionali sulla tutela dei diritti umani che, in quanto espressione di valori fondamentali condivisi a livello globale, do- vrebbero orientare l’attività normativa anche in ambito interno e risulterebbero, pertan-
(194) Sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. n. 4.3.
(195) Sent. n. 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.1.1. Il ragionamento della Corte costituzionale italiana pare
ricalcare, sul punto, quello del Bundesverfassungsgericht di cui alla pronuncia n. 2 BvR 1481/04 del 14.10.2004, in Eur. Grundrechte-Zeitschrift, 2004, p. 741 ss., Rnr. 62: «Solange im Rahmen geltender methodischer Standards Auslegungs- und Abwägungsspielräume eröffnet sind, trifft deutsche Gerichte die Pflicht, der konventionsgemäßen Auslegung den Vorrang zu geben».
(196) Cfr. A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta
e prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico, cit., p. 215; T.F. GIUPPONI, Corte co-
stituzionale, obblighi internazionali e “controlimiti allargati”, cit., p. 4.
(197) Cfr. Corte cost., sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. nn. 4.6 e 4.7; sent. n. 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.2;
sent. n. 39/2008, cit., C.i.d. n. 5.
(198) L’incorporazione dei diritti umani, cit., p. 32.
(199) P. DE STEFANI, op. loc. cit., si limita in proposito ad affermare che gli obblighi internazionali (pattizi) cui fa riferimento l’art. 117, comma I, debbano identificarsi con quelli rispetto ai quali già prima della novella la Corte costituzionale abbia dimostrato un atteggiamento aperto al loro utilizzo quali para- metri di giudizio a integrazione delle norme della Costituzione stessa.
to, meritevoli di uno statuto giuridico differenziato rispetto alla generalità delle norme pattizie (200). Esse sole sarebbero idonee ad integrare il limite degli obblighi internazio- nali.
Assumendo come prospettiva il principio di supremazia del Parlamento, questa so- luzione ermeneutica parrebbe la più soddisfacente fra quelle sino ad ora esaminate. I va- lori espressi dalle Carte dei diritti sono, infatti, comunemente accettati a livello politico sia dalla maggioranza, sia dall’opposizione; ed è, invero, difficilmente immaginabile che il Governo possa valersene in modo strumentale, asservendo al proprio indirizzo po- litico la negoziazione e stipulazione delle stesse. Il rischio, semmai, è quello di subordi- nare l’attività legislativa interna all’attivismo delle Corti internazionali, cui sia attribuita la funzione d’interprete istituzionale delle Carte dei diritti (201). Per quanto i relativi testi normativi possano godere d’unanime consenso politico, i bilanciamenti tra valori che in singole fattispecie vengano a contrapporsi possono essere condotti dalle Corti in base a logiche che non godono di analogo appoggio trasversale. Quest’evenienza, tuttavia, non inficia l’ordinato dispiegarsi del processo politico, né priva di sostanza il principio di supremazia del Parlamento; quantomeno fintanto che la giurisprudenza si mantenga al di fuori dei confini della nomopoiesi. Nell’ipotesi in cui le Corti esorbitino dalle compe- tenze attribuite, gli obblighi internazionali derivanti dalle loro pronunce non potrebbero, invece, vincolare l’esercizio della funzione legislativa, perché verrebbe a mancare quel consenso preventivo delle Camere che si riscontra, ad esempio, rispetto al diritto inter- nazionale derivato.
Pur essendo quella ora prospettata una soluzione ideale a salvaguardia del principio di supremazia del Parlamento, quest’ultimo non può, tuttavia, operare se non come me- ro parametro orientativo alla cui stregua eleggere quale, tra più letture parimenti fondate sul piano ermeneutico, meriti preferenza; non può, invece, autonomamente fondare un’in-
(200) Ibidem. Cfr. altresì L. CONDORELLI, op. ult. cit., p. 308; T.F. GIUPPONI, op. loc. cit.; S. PENASA,
Tanto rumore per nulla o meglio tardi che mai? Ancora sulle sentenze 348-349/2007 della Corte costitu- zionale, tra dubbi ermeneutici e possibili applicazioni future, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 9
ss. Contra, C. PANARA, Il diritto internazionale nell’ordinamento interno, cit., p. 18, il quale espressa-
mente afferma doversi ritenere «che le condizione delle norme di adattamento alla CEDU ed agli altri trat-
tati internazionali sulla protezione dei diritti umani sia la stessa delle norme di adattamento a qualsiasi altro trattato»; M. SAVINO, Il cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e
349 del 2007, cit., p. 768 s., il quale annota che, se la Corte costituzionale avesse inteso limitare la portata
del limite degli obblighi internazionali alla sole Carte dei diritti, essa avrebbe potuto semplicemente ricor- rere, anziché all’impegnativo art. 117, I, agli artt. 2, 10 o 11 Cost., riconoscendo così l’opportuna copertu- ra costituzionale delle stesse.
(201) Cfr. M. CARTABIA, op. loc. ult. cit.; M. LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della
terpretazione che non trovi appoggio alcuno nei tradizionali canoni ermeneutici (202). Si tratta, allora, d’individuare il possibile fondamento interpretativo della proposta distin- zione sul piano sostanziale tra obblighi internazionali vincolanti e non vincolanti.
Una linea di lettura in questo senso è offerta da L. CONDORELLI, secondo il quale sa-
rebbe la stessa Costituzione, attraverso il principio di ragionevolezza, ad imporre l’ele- vamento di argini alla portata del limite degli obblighi internazionali (203). In primo luo- go, la larga maggioranza dei trattati internazionali ordinari – bilaterali o multilaterali che siano – si occupa di questioni meramente tecniche o comunque di basso profilo, mi- rando a dare, di volta in volta, soluzione a «problemi di coesistenza e di cooperazione tra Stati con riguardo alle questioni del momento e secondo scelte ed esigenze transeun- ti»; le norme da essi prodotte non avrebbero, pertanto, «alcuna vocazione ad incidere a lungo termine sull’assetto fisionomico degli Stati ed a contribuire a caratterizzarlo», ma sarebbero, anzi, per lo più destinate ad un frequente ricambio (204). In secondo luogo, l’Autore rileva come obblighi internazionali possano discendere non soltanto da consue- tudini e trattati, ma altresì da una moltitudine di strumenti atipici, spesso anche da meri comportamenti unilaterali, tenuti dai rappresentanti dell’esecutivo e non solo (205). Sa-
rebbe, allora, contrario al buon senso equiparare ogni trattato ed ogni vincolo interna- zionale a norme di altissimo profilo come quelle delle Carte internazionali sui diritti umani; e altrettanto illogico sarebbe imporre in ogni caso al legislatore il loro rispetto.
A favore di un’interpretazione restrittiva circa la portata del limite degli obblighi in- ternazionali pare essersi schierato lo stesso legislatore ordinario. L’art. 1, L. n. 131/2003, infatti, circoscrive ai soli trattati le fonti internazionali (non generalmente riconosciute) dalle quali possano sorgere gli obblighi di cui discorre l’art. 117, I; e il testo approvato in prima lettura al Senato le circoscriveva ulteriormente ai soli trattati «ratificati a segui- to di legge di autorizzazione». La norma esclude, dunque, che la legislazione interna pos- sa soffrire limitazioni discendenti da fonti atipiche, per quanto esse pure vincolino lo Stato sul piano internazionale. Il problema è quello di comprendere fino a che punto possa spingersi la restrizione per via interpretativa della portata del limite: in base a quali ar- gomenti si possa eventualmente giungere a ritenere in esso comprese le sole Carte dei diritti.
(202) V. supra, § 1.4.
(203) La Corte costituzionale e l’adattamento dell’ordinamento italiano alla CEDU o a qualsiasi ob- bligo internazionale, cit., p. 305 ss.
(204) L. CONDORELLI, op. ult. cit., p. 306 s.
Il primo passo è quello d’escludere la vincolatività di tutti gli atti internazionalmen- te rilevanti che non abbiano ricevuto una previa approvazione legislativa da parte del Parlamento (206). Fondamento di questa limitazione è l’art. 80 Cost., laddove riserva alle Camere l’autorizzazione alla ratifica dei trattati che importino modificazioni di leggi e, quindi, a fortiori, di tutti i trattati che vengano in qualsiasi modo a condizionare l’eser- cizio della funzione legislativa. È pur vero che la disposizione in commento si riferisce esclusivamente ai trattati; ma, considerata la sua ratio a garanzia delle competenze par- lamentari (207), essa può agevolmente estendersi in via analogica alla generalità degli at- ti – benché atipici – idonei a vincolare lo Stato sul piano internazionale. Questo passo ha, allora, l’effetto di restringere sul piano formale la portata del limite agli obblighi di fonte pattizia discendenti da trattati stipulati in forma solenne ai sensi dell’art. 80, o di- scendenti dalle norme derivate eventualmente contemplate in questi ultimi.
Il secondo passo è quello d’escludere tutte le norme pattizie dichiaratamente tran- seunti, destinate a vigere soltanto per un breve periodo nell’ordinamento internaziona- le (208). Questo argine troverebbe palese giustificazione qualora si configurasse l’art. 117, I come norma di produzione o norma sulla produzione condizionante la sola effi- cacia della legislazione ordinaria vigente. In entrambi i casi, infatti, l’interprete sarebbe chiamato a verificare il rispetto degli obblighi internazionali in vigore al momento stes- so in cui eserciti il sindacato; e sarebbe incongruo ritenere che il risultato di tale scruti- nio sia precariamente legato alla situazione in essere nel ristretto lasso di tempo in cui lo stesso venga condotto (soprattutto ove si ponga mente a quali sono i tempi ordinari delle giustizia costituzionale). Configurando, invece, l’art. 117, I come norma sulla produzio- ne condizionante il legittimo esercizio della potestà legislativa, il sindacato di legittimità
(206) Per questa soluzione propende pure la giurisprudenza del Consejo de Estado spagnolo: Cfr. A. REMIRO BROTÓNS, Artículo 96. Tratados internacionales como parte del ordenamiento interno, in O. Al- zaga Villaamil (a cura di), Comentarios a la Constitución Española de 1978, VII, Madrid, 1998, p. 645 s. Diversamente si orienta, invece, la giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti – nonostante il parere contrario della letteratura – assegnando il valore di «supreme law of the land» (ex art. VI, II della Costituzione) agli executive agreements conclusi dal Presidente della Repubblica pur laddove non sia ri- chiesta l’approvazione del Congresso, alla sola condizione che contengano norme self-executing: Cfr. L. HENKIN, Foreign Affairs ant the US Constitution, Oxford, 1996, p. 226 ss.
(207) V. supra, §§ 3.1. e 3.3.4.
(208) Problematica similare sembrerebbe quella che si pone con riguardo alle pronunce delle Corti
internazionali, che non si sentano vincolate al rispetto del precedente nella propria attività interpretativa dei trattati di riferimento: anche qui si riscontrerebbe, infatti, una certa precarietà degli obblighi interna-