4. Il vincolo comunitario
4.3. La portata del vincolo comunitario: il problema della sua estensione a favore delle fonti comunitarie prive di efficacia diretta e delle fonti non comunitarie dell’Unio-
ne europea
Anziché parlare di puri e semplici “obblighi sovranazionali”, in analogia con l’e- spressione utilizzata per gli obblighi internazionali, il legislatore costituzionale del 2001 ha inteso imporre al legislatore ordinario il rispetto dei vincoli derivanti «dall’ordina- mento comunitario» (79). Questa scelta si riconnette senz’altro alla peculiarità di un si- stema che condivide con l’ordinamento italiano, quali propri momenti costitutivi, i me- desimi elementi personale e territoriale (80); ma importa, altresì, che il limite alla discre- zionalità del legislatore nazionale debba ritenersi esteso al di là del mero dato testuale degli atti comunitari, coinvolgendo il complessivo sistema di norme e principi – anche di origine giurisprudenziale – riassunto nella nozione di acquis communautaire (81). L’art.
(78) Il nuovo art. 3-ter TUE, introdotto dal Trattato di Lisbona, prevede che «l’Unione agisce esclu-
sivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri». Le competenze dell’Unione vengono, inoltre, ridefinite facendo riferimento a tre categorie generali, così suddivise: competenze esclusive dell’Unione; azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento; competenze concorrenti. Secondo A. RUGGERI, Fonti europee e fonti nazionali al giro di
boa di Lisbona: ritorno al passato o avventura nel futuro? in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2008, p. 135 ss., il
principio di attribuzione delle competenze sarebbe enunciato nel Trattato di Lisbona «persino in modo ridondante», ma poggerebbe ancora «sulle sabbie mobili di materie assai approssimativamente indicate e di tipi di competenze problematicamente distinguibili e, per ciò stesso, suscettibili di alimentare continue, gravi tensioni».
(79) Analogamente, l’art. 1, I, L. n. 131/2003, elenca tra i «vincoli alla potestà legislativa dello Sta-
to e delle Regioni, ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione», da un lato, quelli deri- vanti «da accordi di reciproca limitazione della sovranità, di cui all’articolo 11 della Costituzione» e, dal- l’altro, quelli derivanti « dall’ordinamento comunitario».
(80) Cfr. M. PEDRAZZA GORLERO, Le fonti del diritto, in V. Onida, M. Pedrazza Gorlero (a cura di),
Compendio di diritto costituzionale, Milano, 2009, p. 37.
(81) Cfr. G. D’ALESSANDRO, Prime impressioni sull’impatto della costituzionalizzazione del “vin-
colo comunitario” sulla giurisprudenza costituzionale, cit., p. 209 s.; F. SORRENTINO, Nuovi profili costi-
tuzionali dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale e comunitario, cit., p. 1358; U. DRAETTA,
Il difficile rapporto della Cassazione con l’art. 117, co. 1, della Costituzione, cit., p. 563; R. LUZZATTO, Il
diritto europeo e la Costituzione italiana dopo la riforma dell’art. 117, cit., p. 14, il quale evidenzia come
l’art. 117, I Cost. abbia valorizzato il legame del nostro ordinamento con quello comunitario, distinguen- dolo da tutte le organizzazioni che possano nel tempo giungere a vantare copertura costituzionale nell’art. 11 Cost. Paventa il rischio di un «trasferimento di senso identitario dallo Stato nazionale all’Europa» G. FALCON, Introduzione. Nuova questioni sul percorso istituzionale italiano, in Id. (a cura di), Stato, Re-
gioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131, Bologna, 2003, p. 11; Cfr. altresì L. VIOLINI, Il po-
tere estero delle Regioni e delle Province autonome. Commento all’articolo 1, comma 1, e agli articoli 5 e 6, ivi, p. 116, che paragona l’art. 117, I Cost. ad «una sorta di lasciapassare rilasciato all’Europa».
117, I Cost. sancisce, così, il ruolo esclusivo che già il Trattato CE riconosceva alla giu-
risprudenza comunitaria nell’interpretazione ed applicazione del diritto europeo (82); il che non significa, peraltro, piena adesione alle premesse dogmatiche da cui muove la Corte di giustizia, ma aderenza ai principi pratici da essa espressi. Sancisce, inoltre, l’obbligo per il legislatore di non ostacolare, nell’esercizio delle proprie competenze, il perseguimento delle finalità comunitarie, nel rispetto del principio di leale collaborazio- ne (83).
Se, per questo verso, la portata del vincolo sembra estendersi al di là del mero dato normativo, per altro verso, il richiamo al solo «ordinamento comunitario» potrebbe rap- presentare una barriera all’inclusione delle dimensioni non comunitarie dell’Unione eu- ropea: politica estera e di sicurezza comune (c.d. secondo pilastro); cooperazione giudi- ziaria e di polizia in materia penale (c.d. terzo pilastro), almeno sino alla sua “comunita- rizzazione” operata dal Trattato di Lisbona. Queste dimensioni verrebbero, in tal caso, attratte nel più generale limite degli obblighi internazionali (84). È pur vero che il mero dato testuale, per i motivi già visti, non risulta del tutto affidabile nell’interpretazione dell’art. 117, I. Varie ragioni, peraltro, inducono a differenziare il trattamento degli atti comunitari rispetto a quelli del secondo e terzo pilastro, dal momento che in questi due ambiti i caratteri di originalità che hanno consentito di caratterizzare la Comunità euro- pea rispetto alle ordinarie organizzazioni internazionali si fanno assai più sfumati.
Anzitutto, le procedure decisionali restano quivi saldamente nelle mani degli esecu- tivi statali, quali rappresentati in seno al Consiglio Europeo e al Consiglio dell’Unione: il potere d’iniziativa della Commissione è condiviso con gli Stati membri, mentre il Par-
(82) Cfr. art. 19.1 TUE (già 220 TCE): «La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte
di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell’applicazione dei trattati».
(83) Cfr. art. 4.3 TUE (già 10.1 TCE): «Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale e
particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione»; «Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si a- stengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unio- ne». Ammonisce A. LA PERGOLA, Il giudice costituzionale italiano di fronte al primato e all’effetto diret-
to del diritto comunitario, cit., p. 2441, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia, che il
principio di leale collaborazione non va considerato mera replica sul piano comunitario del principio in- ternazionale pacta sunt servanda, ma «principio di integrazione avanzata», comportante «obbligo di fe- deltà e soggezione al diritto comunitario», che il legislatore nazionale è tenuto a rispettare non solamente nella forma ma pure nella sostanza.
(84) L’attrazione nel limite degli obblighi internazionali pare comunque indiscutibile con riguardo
alle convenzioni che gli Stati membri concludevano fra se stessi ai sensi dell’art. 34.2 TUE, le quali, data la necessità di ratifica da parte di ciascuno di essi al fine dell’entrata in vigore, resterebbero puri strumenti di diritto internazionale: Cfr. M. CONDINANZI, Fonti del “terzo pilastro” dell’Unione europea e ruolo
lamento europeo è relegato a un ruolo essenzialmente consultivo (85). Il Consiglio del- l’Unione, per di più, delibera generalmente all’unanimità, ad ulteriore discapito delle minoranze politiche nazionali, che non solo restano escluse da un processo decisionale destinato a prevalere su quello parlamentare interno, ma si ritrovano altresì nella pratica impossibilità di far valere in futuro un indirizzo politico alternativo (86). Anche le ga- ranzie giurisdizionali risultano assai povere rispetto al pilastro comunitario: flebili nel terzo pilastro, addirittura inesistenti nel secondo (87). La limitata giurisdizione della Cor- te di giustizia accentuava, poi, le problematiche relative alla tutela dei diritti fondamen-
(85) Cfr. R. CALVANO, Il caso Pupino: ovvero dell’alterazione per via giudiziaria dei rapporti tra
diritto interno (processuale penale), diritto UE e diritto comunitario, in Giur. Cost., 2005, p. 4029, lad-
dove mette in risalto la «natura incompiuta del processo di integrazione» nelle materie afferenti al terzo pilastro, in cui «la cooperazione tra gli Stati è rimasta ferma a modalità di carattere meramente interna- zionalistico, ed in particolare a decisioni intergovernative», con tutte le conseguenti ricadute negative in termini di trasparenza e democraticità delle procedure, nonché di garanzie giurisdizionali. Cfr. altresì M. CONDINANZI, op. cit., p. 206; J. PÉREZ ROYO, Curso de Derecho Constitucional, Madrid, 2007, p. 960. Attenua, invece, la perentorietà di questo giudizio, limitatamente al terzo pilastro, E. PISTOIA, Coopera-
zione penale nei rapporti fra diritto dell’Unione europea e diritto statale, Napoli, 2008, p. 201 ss.
(86) Il criterio di unanimità a livello sovranazionale, benché mantenga in capo ai singoli Stati mem-
bri – quindi, in via indiretta, anche ai loro organi parlamentari – la capacità di controllo del processo poli- tico europeo, finisce col pregiudicare oltremodo le minoranze politiche nazionali. Invero, l’eventualità che le forze di opposizione prendano il sopravvento sulle attuali maggioranze politiche, sostituendosi con- temporaneamente ad esse in tutti gli Stati membri, è talmente remota da rendere assai arduo modificare all’unanimità le norme comunitarie, in aderenza a un indirizzo politico alternativo ed opposto rispetto a quello che le ha generate. Ciò significa, in altri termini, che in presenza del criterio di unanimità le forze politiche di maggioranza non solo estromettono le opposizioni dal processo decisionale in seno al Consi- glio, ma altresì precludono loro la possibilità di far valere in futuro un indirizzo politico alternativo: in sostanza, per quanto difficoltoso sia raggiungere un consenso generalizzato su questioni di delicata im- portanza politica, tutte le volte in cui un’intesa sia raggiunta, essa s’impone come tale anche alle genera- zioni future; con lampante pregiudizio per il secondo enunciato del principio di supremazia del Parlamen- to. In presenza del criterio di maggioranza, più diffuso nel pilastro comunitario, l’opposizione politica che sia divenuta maggioranza in ambito nazionale mantiene, al contrario, la stessa capacità di cui godeva la precedente maggioranza di esercitare una concreta influenza sul processo normativo sovranazionale. Su questo tema, Cfr. M.A. ALEGRE MARTÍNEZ, Las potestades normativas del Gobierno en el contexto de la
pertenencia a la Unión Europea, in P.L. Murillo de la Cueva (a cura di), Gobierno y Constitución. Actas del II Congreso de la Asociación de Constitucionalistas de España, Valencia, 2005, p. 426 s.
(87) Cfr. art. 46 TUE anteriore al Trattato di Lisbona, che enunciando gli ambiti di competenza giu-
risdizionale della Corte di giustizia ometteva ogni richiamo al Titolo relativo alla politica estera e di sicu- rezza comune, mentre per quanto concerne il Titolo relativo alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale faceva salve le condizioni previste dall’art. 35 TUE. Quest’ultimo, a sua volta, limitava la possibilità di adire la Corte di giustizia ai soli rimedi del rinvio pregiudiziale di validità o interpretazione degli atti europei derivati (peraltro, ogni Stato membro poteva restringere a specifiche istanze giurisdizio- nali la possibilità di sollevare questioni pregiudiziali), del ricorso in annullamento e della risoluzione di controversie fra Stati membri o fra questi e la Commissione; e, soprattutto, condizionava alla specifica ac- cettazione di ciascuno Stato membro la giurisdizione della stessa Corte di giustizia, che veniva così ad operare alla stregua di un comune tribunale internazionale. Cfr., in argomento, D. PIQANI, Supremacy of
European Law Revisited: New developments in the context of the Treaty Establishing a Constitution for Europe, in AA.VV., VIIth World Congress of the International Association of Constitutional Law, in
www.enelsyn.gr, 2007, p. 5; R. ALONSO GARCÍA, Tribunal Constitucional español y Derecho de la Unión
tali (88). Per questi motivi, nella misura in cui il vincolo comunitario risulta dotato di maggior incisività rispetto al limite degli obblighi internazionali (89), un’interpretazione dell’art. 117, I attenta alle esigenze sottese al principio di supremazia del Parlamento conduce a collocare la normativa europea non comunitaria nel secondo ordine di limiti alla potestà legislativa.
L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, peraltro, supera ormai la suddivisione dell’Unione in pilastri, semplificandone finalmente la struttura istituzionale. La materia già disciplinata dal terzo pilastro viene interamente trasposta nel Trattato sul funziona- mento dell’Unione europea (corrispondente al passato Trattato CE) e ricondotta, quindi,
al c.d. metodo comunitario, pur non mancando deroghe alla procedura legislativa ordi- naria che, in taluni casi, mantengono al Parlamento europeo un ruolo meramente con- sultivo (90). Sennonché, il Protocollo sulle disposizioni transitorie fa salva l’efficacia degli atti adottati dall’Unione prima dell’entrata in vigore dello stesso Trattato di Lisbo- na, al punto da potersi affermare che «la comunitarizzazione del terzo pilastro riguarda il futuro e non tocca il passato» (91). Quanto al secondo pilastro, invece, la relativa di- sciplina resta tuttora inserita nel Trattato UE e, malgrado i significativi mutamenti del
quadro istituzionale, rimangono sostanzialmente invariate le anzidette procedure deci- sionali basate sulla regola dell’unanimità in seno al Consiglio europeo e al Consiglio dell’Unione (92). Ciò posto, il superamento della suddivisione in pilastri rende ormai impraticabile un’interpretazione dell’art. 117, I fondata sul solo criterio letterale, ma
(88) Cfr. U. DRAETTA, Diritto dell’Unione europea e principi fondamentali dell’ordinamento costi-
tuzionale italiano: un contrasto non più solo teorico, in Dir. Un. Eur., 2007, p. 46.
(89) V. infra, § 4.4.2.
(90) Cfr. art. 2.63 del Trattato di Lisbona, che introduce nel Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea un nuovo Titolo V (artt. 67-89) denominato «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia», il quale so- stituirà e riassorbirà in sé il passato Titolo IV del Trattato CE relativo a «Visti, asilo, immigrazione ed al-
tre politiche connesse con la libera circolazione delle persone». Sulla comunitarizzazione delle procedure normative della cooperazione giudiziaria in materia penale e della cooperazione di polizia, Cfr. R. CAFARI
PANICO, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel Trattato di Lisbona, in M.C. Baruffi (a cura di),
L’evoluzione del sistema comunitario a 50 anni dalla sua istituzione, Padova, 2008, p. 76 ss.; E. PISTOIA,
op. cit., p. 208 ss.
(91) R. CAFARI PANICO, op. cit., p. 90. Cfr. art. 9 del Protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie:
«Gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione adottati in base al trattato sull’Unione europea prima dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati. Ciò vale anche per le convenzioni concluse tra Stati membri in base al trattato sull’Unione europea».
(92) Cfr. art. 1.23 del Trattato di Lisbona, che introduce nel Trattato UE un Titolo V (artt. 21-46)
denominato «Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune», il cui Capo 2 (artt. 23-46) detta, appunto, «Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune». Sulle procedure decisionali mantenute in vigore in questo settore, Cfr. C. FRATEA, La politica estera e di sicurezza comune alla luce del Trattato di Lisbona, in M.C. Baruf-