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L’inidoneità del criterio d’interpretazione sistematica a limitare la portata in novativa della disposizione

2. L’art 117, I in generale

2.2. La scelta della collocazione sistematica e i suoi risvolti ermeneutic

2.2.2. L’inidoneità del criterio d’interpretazione sistematica a limitare la portata in novativa della disposizione

Altri Autori, che pure hanno ritenuto necessario valorizzare il criterio sistematico nell’interpretazione dell’art. 117, I Cost., sono pervenuti a conclusioni assai diverse da quelle testé analizzate. Queste letture interpretative assumono interesse ai fini del pre- sente studio nell’evidenziare come, ove si voglia mantenere coerenza logica nello svi- luppo argomentativo di un’analisi incentrata sul criterio sistematico, quest’ultimo si ri- veli incapace di porre sicuri argini alla portata innovativa della disposizione e così sal- vaguardare in radice la portata garantista del principio di supremazia del Parlamento.

La tesi sostenuta da E. CANNIZZARO, in due scritti pubblicati a ridosso della revisio-

ne costituzionale, s’incentra essenzialmente sull’analisi del solo limite degli obblighi in- ternazionali (56); di essa conviene, nondimeno, trattare già in questo frangente, perché l’intero ragionamento si basa sull’applicazione del criterio d’interpretazione sistematica. L’Autore muove dalla considerazione per cui l’art. 117, I non potrebbe esprimere un principio avente portata generale circa i rapporti fra fonti interne e fonti esterne all’ordi- namento costituzionale, giacché a ciò s’opporrebbe la sua collocazione in un Titolo del- la Costituzione destinato a disciplinare esclusivamente i rapporti tra Stato, Regioni ed enti territoriali; per di più, se esso intendesse estendere ai trattati internazionali garanzie che l’art. 10 Cost. riconosce unicamente al diritto internazionale generale, verrebbe a derogare a una norma collocata dalla stessa Costituzione tra i “Principi fondamentali” dell’ordinamento (57).

L’analisi non si ferma a tale risvolto “negativo”, ma prosegue “in positivo” metten- do in contatto la disposizione del comma I con le altre dell’art. 117 – in particolare con il comma IX – sino a conseguirne una specifica lettura ermeneutica che consenta di giu- stificare anche sul piano logico una così intima connessione sistematica fra dette dispo- sizioni (58). Nell’assetto costituzionale originario, soltanto lo Stato era legittimato ad as- sumere obblighi nell’ordinamento internazionale e, mentre il legislatore statale era libe-

(56) La riforma federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. Dir. Internaz.,

2001, p. 921 ss.; Gli effetti degli obblighi internazionali e le competenze delle Regioni, in Ist. Feder., 2002, p. 11 ss.

(57) E. CANNIZZARO, La riforma federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, cit., p.

924.

(58) In quest’ampia valorizzazione del criterio sistematico, G.F. FERRARI, op. cit., p. 476, vede un punto di debolezza dell’interpretazione di E. Cannizzaro, «nella misura in cui […] essa sembra piuttosto fondarsi su altre disposizioni costituzionali, specie sul comma 9 dell’art. 117 Cost., che non sul comma in esame».

ro di rispettarli o meno, alle Regioni non era invece consentito ostacolarne l’adempi- mento mediante la propria attività legislativa. Dopo la novella del 2001, secondo l’Au- tore, l’art. 117, IX consentirebbe anche alle Regioni – sia pure con numerosi limiti – di stipulare veri e propri trattati dotati di vincolatività sul piano internazionale (59); e pro- prio questo avanzamento dell’autonomia regionale, costituzionalmente garantito, avreb- be imposto la necessità di «bilateralizzare» il vincolo conseguente, sì da evitare che il legislatore statale possa interferire con il rispetto degli obblighi internazionali assunti dalle Regioni.

Funzione precipua dell’art. 117, I sarebbe proprio questa «bilateralizzazione» del limite, che ora condizionerebbe non solo la validità delle leggi regionali al rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato, ma altresì la validità delle leggi ordinarie sta- tali al rispetto degli obblighi assunti dalle Regioni ai sensi del comma IX del medesimo articolo (60). Non solo, peraltro, il disposto costituzionale introdurrebbe questo nuovo limite (interno) di legittimità: esso opererebbe altresì come criterio modulatore del ripar- to di competenze (quindi come limite esterno), allo scopo di garantire il mantenimento di un parallelismo tra attività internazionale espletata e competenze legislative interne.

(59) La questione, in realtà assai dibattuta, verrà approfondita infra, § 3.3.4. Sul tema del potere e-

stero regionale dopo la riforma del Titolo V, Cfr. C. PINELLI, Regioni e rapporti internazionali secondo

l'art. 117 Cost., in www.federalismi.it, 2001; A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e "potere estero" delle

Regioni, cit., p. 1 ss.; R. CAFARI PANICO, La nuova competenza delle Regioni nei rapporti internazionali, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2002, p. 1325 ss.; P. BILANCIA, Un nuovo ruolo per le regioni in materia di

rapporti internazionali?, in www.federalismi.it, 2002; ID., Ancora sulle competenze delle regioni in mate-

ria di rapporti internazionali, ibidem; F. PALERMO, Titolo V e potere estero delle Regioni. I vestiti nuovi dell’imperatore, in Ist. Feder., 2002, p. 709 ss.; ID., Il potere estero delle Regioni, in T. Groppi, M. Oli- vetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie, cit., p. 165 ss.; P. CARETTI, Potere estero e ruolo ”co-

munitario” delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Reg., 2003, p. 555 ss.; R. DICKMANN,

Osservazioni in tema di limiti al “potere estero” delle Regioni e delle Province autonome alla luce del nuovo Titolo V parte II della Costituzione e della Legge “La Loggia”, in www.federalismi.it, 2003; ID.,

La Corte costituzionale ed il “potere estero” delle Regioni e delle Province autonome (note a Corte cost., 18 luglio 2004, n. 238, e 22 luglio 2004, n. 258), in www.federalismi.it, 2004; G. BUONOMO, Art. 6. At-

tuazione dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull’attività internazionale delle Re- gioni, in C. Cittadino (a cura di), Legge “La Loggia”, cit., p. 122 ss.; E. CRIVELLI, Articolo 6 (Attuazione

dell’articolo 117, quinto e nono comma, della Costituzione sull’attività internazionale delle Regioni), in

P. Cavaleri, E. Lamarque (a cura di), L’attuazione del nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione, cit., p. 141 ss.; M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge “La Loggia”, in www.forumcostitu-

zionale.it, 2004; M. OLIVETTI, Il potere estero delle Regioni, in A. Alfieri (a cura di), La politica estera

delle Regioni, Bologna, 2004, p. 17 ss.; O. SPATARO, Il potere estero delle Regioni nel nuovo Titolo V

della Costituzione. Impostazioni teoriche e problemi attuativi, in www.federalismi.it, 2007-2008; L. SO- VERINO, I servizi pubblici nell’Euroregione: nuove prospettive di diritto comunitario per la cooperazione

transfrontaliera, tra Consiglio d’Europa e potere estero delle Regioni (a proposito del regolamento CE

1082/2006), in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2009, p. 17 ss.

(60) E. CANNIZZARO, La riforma federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, cit., p.

933: «La garanzia ha effetti allora unicamente sul riparto di competenze fra Stato e Regioni, e consente, in ultima analisi, che obblighi internazionali assunti da ciascun ente costituiscano un limite di legittimità per le attività di altri enti dotati di poteri normativi sul piano interno, e contribuiscano, per questa via a determinare l’assetto delle competenze rispettive».

Tanto lo Stato quanto le Regioni, cioè, semplicemente agendo nell’ordinamento inter- nazionale, sarebbero in grado di produrre «un effetto, in un certo modo, preclusivo sulla competenza interna dell’altro ente» nella medesima materia attinta dal trattato di volta in volta stipulato (61). L’art. 117, I, in definitiva, garantirebbe la possibilità pratica di adempimento degli obblighi internazionali assunti pattiziamente da Stato e Regioni, pre- venendo attività normative intrusive da parte dell’ente non stipulante.

Visto dalla prospettiva del principio di supremazia del Parlamento, quest’orienta- mento dottrinale comporterebbe il non trascurabile vantaggio di escludere la subordina- zione della legislazione ordinaria statale al rispetto dei trattati internazionali stipulati dal Governo (62). Come contropartita, però, il legislatore parlamentare si troverebbe nella condizione di non poter contraddire l’attività internazionale posta in essere da ciascuna delle venti Regioni italiane, nonché dalle Province autonome di Trento e Bolzano; atti- vità che, per giunta, opererebbe sia come limite di competenza, sia come limite alla competenza legislativa statale. Si tratterebbe, insomma, di vincoli non meno intensi sot- to il profilo dell’incidenza sull’esercizio della funzione legislativa. Quanto, poi, al profi- lo di tutela del pluralismo politico, la soluzione proposta non differirebbe in realtà da al- ternative più radicali: perché le procedure endoregionali attinenti alla stipulazione di ac- cordi e intese ex art. 117, IX sono lasciate agli ordinamenti delle singole Regioni, le quali potranno eventualmente sancire la competenza esclusiva dei propri organi esecuti- vi (63); e perché, quand’anche imponessero l’approvazione previa dell’organo rappre- sentativo, non è detto che ad esso partecipino tutte le forze politiche che a livello statale risentirebbero delle conseguenti limitazioni all’esercizio della potestà legislativa.

Ciò posto, preme rilevare come anche a questa ricostruzione siano state immedia- tamente rivolte critiche in letteratura, sulla base della sua asserita inconciliabilità con il dato letterale dell’art. 117, I, il quale non consentirebbe di differenziare la portata del

(61) E. CANNIZZARO, Gli effetti degli obblighi internazionali e le competenze delle Regioni, in Ist.

Federalismo, cit., p. 26. Avverte, dunque, l’A. come «il meccanismo gerarchico istituito dall’art. 117, 1°

comma, sia naturalmente destinato ad operare nella logica del sistema delle competenze. Esso è un mec- canismo che corregge ed integra il sistema delle competenze, assicurando alle competenze esterne posse- dute da ciascun ente una garanzia nei confronti delle competenze interne esercitate dall’altro, e tende quindi ad evitare che un ente incorra in illeciti internazionali ad opera di un difforme esercizio di poteri interni ad opera dell’altro. D’altro lato, se si volesse trovare anche un riferimento di carattere sistematico, lo stesso art. 117, 1° comma, altro non fa che esplicitare l’esigenza che il sistema delle competenze inter- ne sia subordinato al sistema delle competenze esterne».

(62) È lo stesso E. CANNIZZARO, La riforma federalista della Costituzione e gli obblighi internazio-

nali, cit., p. 925, a rilevare come la propria tesi sia intenzionalmente volta a rifuggire la possibilità che l’e-

secutivo utilizzi l’art. 117, I Cost. come strumento per «aggirare le competenze parlamentari ed incidere sulla sfera dei contenuti normativi che sono internamente riservati al Parlamento».

limite a seconda che si tratti del legislatore statale o regionale (64). Quest’obiezione sof- fre, peraltro, l’ambiguità complessiva del disposto in parola, dal quale risulta tutt’altro che agevole trarre significati univoci. Dirimente pare, invece, l’osservazione di M. LU- CIANI, secondo cui «così ragionando, le Regioni sarebbero dominae delle attribuzioni

dello Stato, poiché sarebbe loro sufficiente ampliare la portata degli impegni internazio- nali contratti, per ridurre la “intrusione” da parte del potere centrale» (65). In altri termi- ni, la mobilità del riparto competenziale ingaggerebbe una rivalità tra Stato e Regioni – e tra le Regioni stesse – nell’assunzione di obblighi verso l’esterno, sì da estendere in- tenzionalmente le rispettive sfere di competenza. È allora il principio di leale coopera- zione, che deve informare le relazioni tra i due enti (66), a sconsigliare l’adesione a que- st’orientamento interpretativo.

Altra lettura che valorizza il criterio d’interpretazione sistematica è quella proposta da A. PAJNO il quale, al contrario di E. Cannizzaro, concentra la propria analisi sui soli

vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (67). La riforma del Titolo V realizze- rebbe il punto d’incontro fra il generale “cammino comunitario” dell’ordinamento na- zionale (68) e lo specifico “cammino comunitario” delle Regioni (69), evidenziando uno

stretto collegamento fra il processo d’integrazione europea e l’evoluzione dell’ordina- mento italiano in senso più marcatamente regionalista. In assonanza con la visione di C. Pinelli, anche per questa lettura la previsione dei vincoli comunitari come limite per la legislazione sia dello Stato sia delle Regioni costituirebbe «un potente elemento di e- quiparazione se non addirittura di unificazione, della potestà legislativa statale e regio-

(64) Cfr. M. LUCIANI, op. ult. cit., p. 4; A. RUGGERI, op. ult. cit., p. 46; P. CARETTI, op. loc. cit. I-

noltre, anche alle tesi di E. Cannizzaro si possono applicare le già riportate censure mosse dalla Corte co- stituzionale all’orientamento pinelliano, in sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. n. 4.4.

(65) Le nuove competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario, cit., p. 4.

(66) Cfr. P. CARROZZA, Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali (la via ita-

liana al regionalismo cooperativo), in Reg., 1989, p. 473 ss.; A. ANZON, “Leale collaborazione” tra Sta-

to e Regioni, modalità applicative e controllo di costituzionalità, in Giur. Cost., 1998, p. 3531 ss.; R. BIN,

Il principio di leale cooperazione nei rapporti tra poteri, in Riv. Dir. Cost., 2001, p. 3 ss.; E. GIANFRAN- CESCO, Alcune riflessioni in tema di potestà statutaria e potestà legislativa regionale, in P. Cavaleri (a cura di), Temi di diritto regionale nella giurisprudenza costituzionale dopo le riforme,Torino, 2008, p. 271 ss.

(67) Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario come limite alla potestà legisla-

tiva nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p. 813 ss.

(68) Secondo la fortunata espressione coniata da P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in

Giur. Cost., 1973, p. 2401 ss.

(69) Con questa espressione, A. PAJNO, op. cit., p. 822 ss., si riferisce congiuntamente alla «vicenda

del ruolo delle Regioni nel sistema comunitario e negli atti normativi comunitari» e a quella costituita «dalla legislazione interna riguardante la partecipazione regionale alla formazione degli atti normativi comunitari ed all’attuazione degli obblighi». Sul punto, Cfr. altresì T. GROPPI, Regioni e Unione europea,

nale» (70). Sennonché, gli ulteriori riferimenti all’Unione europea contenuti nell’art. 117 opererebbero, qui, come criteri modulatori del riparto di competenze legislative, asse- gnando al legislatore statale la «missione comunitaria» di assicurare – anche nelle mate- rie in prima battuta attribuite alla competenza regionale – il rispetto degli obblighi di- scendenti dalla normativa europea.

Esclusa, dunque, la pinelliana intangibilità del principio paritario nei rapporti tra Stato e Regioni, quest’orientamento non risulta invero in grado di porre argini alla cari- ca innovativa ravvisabile nel nuovo testo dell’art. 117, I. Il vincolo comunitario diventa, pertanto, «parametro del giudizio di costituzionalità» (71); conseguenza cui non potrà coerentemente sfuggire neanche il limite degli obblighi internazionali, quantunque esso non sia preso dall’Autore in esplicita considerazione.

Il fallimento del criterio sistematico come freno ad interpretazioni estensive del di- sposto costituzionale trova conferma nella lettura di L.S. ROSSI, in cui l’incidenza di

quest’ultimo sui rapporti tra fonti interne e fonti d’origine internazionale e comunitaria è giustificata proprio muovendo dalla sua peculiare collocazione in apertura dell’art. 117 Cost. (72). Come le disposizioni contenute nei commi successivi, infatti, l’art. 117, I

sarebbe volto a disciplinare l’esercizio della funzione legislativa nel nostro ordinamen- to; a differenza di quelle, peraltro, esso inciderebbe non già sulle «attribuzioni nominali delle competenze allo Stato o alle Regioni», bensì sul loro «esercizio sostanziale». A- vrebbe, dunque, la finalità di contemperare l’esercizio sostanziale delle competenze le- gislative con l’esistenza e la rilevanza interna di fonti provenienti dall’esterno, che completerebbero «in tutti i suoi livelli» la declinazione del principio di sussidiarietà, cui s’ispirerebbe lo stesso riparto delle competenze interne. Di fronte ad espressioni più e- levate del principio di sussidiarietà, pertanto, le leggi statali e regionali «devono cedere» e, se di contenuto contrario, «nascono affette da vizio genetico», risultando – in linea di principio – costituzionalmente illegittime.

A questa ricostruzione possono muoversi due obiezioni. La prima è che il principio di sussidiarietà attribuisce funzioni al livello di governo superiore soltanto nell’ipotesi in cui il livello inferiore non sia in grado di curare gli interessi affidatigli: nella sua in- trinseca dinamicità, pertanto, esso non funge da criterio di riparto delle competenze ma costituisce, piuttosto, modello d’esercizio delle medesime. In altre parole, esso non ope-

(70) A. PAJNO, op. cit., p. 828.

(71) A. PAJNO, op. cit., p. 831.

ra al momento dell’attribuzione costituzionale delle competenze, ma al momento del lo- ro concreto esercizio, senza poterle allocare definitivamente all’uno o all’altro livello di governo (73). Pare, pertanto, improprio leggere nel nuovo riparto costituzionale una con- cretizzazione di questo principio. In secondo luogo, non sembra dover sussistere un col- legamento necessario fra art. 117, I e principio di sussidiarietà: argomentando in questo senso, infatti, si dovrebbe ammettere che tanto le norme d’origine comunitaria ed inter- nazionale, quanto – per coerenza – le stesse norme costituzionali, non possano integrare il parametro di legittimità se non in quanto superino il controllo di conformità a detto principio. E, poiché l’intrinseca dinamicità del concetto renderebbe siffatto controllo necessariamente diacronico, il principio di certezza dei rapporti giuridici scoraggia l’a- desione anche a questa lettura interpretativa.

La definitiva inidoneità del criterio d’interpretazione sistematica a limitare la porta- ta innovativa dell’art. 117, I risulta, infine, asseverata dal paradosso tracciato da P. CA- RETTI (74): riferire in qualunque modo ai soli rapporti fra Stato e Regioni il significato e

la portata di alcuno dei limiti individuati da tale disposizione comporta che altrettanto si debba coerentemente fare con il limite del rispetto della Costituzione, ivi parimenti con- templato; ma poiché una legge di revisione non può incidere sulla stessa rigidità costitu- zionale, questo tipo d’interpretazione risulta di principio inaccettabile.

La maggior parte degli interpreti preferisce, pertanto, esplicitamente rinunciare ad avvalersi del criterio sistematico, in quanto ritenuto inaffidabile e comunque non risolu- tivo (75). E questo ha fatto altresì, dichiaratamente, la stessa Corte costituzionale in sen-

(73) Cfr. L. CARLASSARE, voce Fonte del diritto (diritto costituzionale), in Enc. Dir., Annali, II,

Milano, 2008, p. 537, secondo cui il principio di sussidiarietà «scompiglia ogni ordine costruito sui criteri tradizionali di composizione delle antinomie normative, insinuandosi nella realtà dei rapporti in forme e con intensità non sempre prevedibili». Cfr. altresì M. KUMM, Costituzionalismo democratico e diritto in-

ternazionale: termini del rapporto, cit., p. 76 s.: «Il principio di sussidiarietà richiede essenzialmente che

ogni violazione dell’autonomia del livello locale attraverso norme generali varate al livello più elevato sia giustificata da buone ragioni. […] La giustificazione deve […] chiarire che cosa esattamente andrebbe perduto se la valutazione politica rilevante fosse lasciata al livello più basso».

(74) Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge dello Stato e delle Regioni, cit., p. 6: contestando l’opinione di E. Cannizzaro sull’art. 117, I Cost., l’A. afferma non convincerlo «il tenta- tivo di ridimensionarne la portata, riferendone il significato ai soli rapporti Stato-Regioni» giacché, se es- so fosse fondato, «si dovrebbe dire che anche il limite del rispetto della Costituzione, ivi previsto, va inte- so come riferito a quella sola parte del testo costituzionale che disciplina i rapporti tra i due enti, ma così ovviamente non è».

(75) Cfr. G. GEMMA, Rispetto dei trattati internazionali: un nuovo obbligo del legislatore statale, in

Quad. Cost., 2002, p. 606, il quale ritiene che la collocazione della disposizione «non è un reale fattore

ostativo […] in quanto ciò che rileva è la formula, nel contesto dei principi, non l’inserimento in una parte od in un’altra di un testo legislativo»; B. CARAVITA DI TORITTO, op. cit., p. 115 s., secondo cui non può attribuirsi «particolare rilievo […] al fatto che una disposizione destinata a disciplinare la potestà legisla- tiva statale è collocata nel Titolo dedicato alle Regioni e alle autonomie: […] mai la mera collocazione di

tenza n. 348/2007 (76). Ciò significa, tuttavia, rinunciare all’unico strumento interpreta- tivo, sinora rinvenuto in letteratura, in grado di sterilizzare in radice l’incidenza dell’art. 117, I sul sistema delle fonti e, per ciò stesso, l’operatività dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali quali limiti di costituzionalità delle leggi statali.

Bisogna, infine, ammettere che il principio di supremazia del Parlamento non è in grado di trovare validi punti d’appoggio in alcuno dei criteri ermeneutici sinora presi in considerazione, i quali si sono dimostrati inidonei ad arginare la portata – nei suoi con- fronti potenzialmente dirompente – dell’art. 117, I Cost. Ne deriva la necessità di accet- tare il presupposto da cui partono la dottrina dominante e la giurisprudenza costituzio- nale, allorché configurano i tre ordini di fonti non legislative ivi contemplati come al- trettanti limiti all’esercizio della funzione legislativa. L’effettiva tutela della supremazia parlamentare e della sua ratio garantista dipenderà, allora, dalle modalità di qualifica- zione dei rapporti che intercorrono tra i predetti limiti e che ciascuno di essi intrattiene con la fonte legislativa. Si tratterà, in particolare, d’individuare i criteri e i procedimenti formali attraverso i quali procedere alla risoluzione delle antinomie che insorgano tra la fonte legislativa e ciascuno dei suoi limiti, verificando altresì quale di essi debba preva- lere in caso di reciproco contrasto. Il principio di supremazia del Parlamento illuminerà l’analisi compiuta, conferendo preferenza a quella, tra le soluzioni astrattamente ipotiz- zabili, che si dimostrerà maggiormente rispettosa dell’autonomia parlamentare e meno intrusiva nei riguardi del pluralismo politico.

2.3. La fonte legislativa e i suoi limiti: qualificazione dei relativi rapporti ed incidenza

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