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3. Il limite degli obblighi internazional

3.3. La difficile ricostruzione della portata del limite; considerazioni alla luce del prin cipio di supremazia del Parlamento

3.3.3. Le norme di diritto internazionale derivato

Altra questione assai delicata è se il limite degli obblighi internazionali estenda la propria portata a favore degli obblighi che discendono da norme di diritto internazionale derivato. Al pari degli accordi in forma semplificata, questi precetti vincolano lo Stato sul piano dell’ordinamento internazionale, sì da farlo incorrere in responsabilità in caso di violazione; ma il coinvolgimento del Parlamento nella fase della loro elaborazione è

to) osservando che queste norme sulla produzione, «a motivo delle strutturali carenze denunziate dalla fonte che le contiene, risultano prive […] di quella capacità di vincolo che, invece, potrebbe essere e- spressa, in rapporto alle fonti a venire, dagli atti sulla loro base adottati». Diversamente, P. CARNEVALE,

Osservazioni sparse in tema di norme sulla normazione e su talune caratteristiche del loro regime giuri- dico, in Dir. Rom. Attuale, 2003, n. 9, p. 158, ritiene che «una qualsiasi norma di produzione non potrà

mai risultare capace di sostituire, modificare, abrogare, derogare la rispettiva norma sulla produzione, stante l’incommensurabilità dei reciproci campi applicativi: l’uno la produzione di quella norma appunto; l’altro, la sfera materiale dei rapporti su cui il suo contenuto prescrittivo va ad incidere. L’assenza, infatti, di interferenza di ambiti di applicazione tra norme genera un insormontabile ostacolo acché possa produr- si il fenomeno della successione di quelle norme nel tempo: l’impossibilità di qualificare quella relazione in termini di incompatibilità»; la conseguenza, ineccepibile in termini logici, sarebbe quella per cui la norma di produzione irrispettosa della rispettiva norma sulla produzione debba considerarsi – secondo la natura di quest’ultima – invalida ovvero inefficace. Sennonché, può ripetersi qui quanto detto supra, § 1.3., in relazione agli autovincoli legislativi: poiché essi si pongono, in quanto tali, in contrasto con il se- condo enunciato del principio di supremazia del Parlamento, la loro violazione potrà al più essere sanzio- nata laddove ridondi in violazione di ulteriori precetti di derivazione costituzionale, quale la tutela del le- gittimo affidamento.

(141) Cfr. Senato della Repubblica, Resoconto stenografico dell’Assemblea, seduta n. 396 del

15.05.2003, p. 5: queste le parole del relatore del Governo, on. Pastore: «nella sostanza, il principio rima- ne, perché sarebbe veramente un caso straordinario – nel senso etimologico del termine – che un trattato internazionale non soggetto a ratifica, e quindi non sottoposto a un intervento parlamentare possa, per ciò solo, essere vincolo alla legislazione interna dello Stato e delle Regioni». Cfr. altresì le parole dell’on. Bassanini in seduta n. 401 del 27.05.2003, p. 34: «quando è richiesta una legge di autorizzazione alla rati- fica, i trattati non entrano costituzionalmente a far parte dell’ordinamento se tale legge non è stata appro- vata. Quindi l’emendamento, di per sé, si potrebbe considerare del tutto superfluo». Per maggiori appro- fondimenti, Cfr. L. BARTOLOMEI, op. cit., p. 862 ss.

pressoché nullo, sicché una configurazione degli stessi come parametro di legittimità sul piano interno avrebbe importanti ricadute sul principio di supremazia parlamentare (143). La problematica parrebbe, dunque, assai simile a quella che si pone rispetto agli ac- cordi in forma semplificata. Anche in questo caso è il Governo (o suoi rappresentanti) l’organo nazionale che partecipa ai negoziati nelle sedi decisionali rilevanti: negoziati che, generalmente, sono condotti in segretezza o, comunque, con scarsa trasparenza e che si caratterizzano per il generale ricorso alla pratica del compromesso politico. Il Par- lamento può influire sugli stessi in modo soltanto eventuale ed indiretto: in via preven- tiva, esprimendosi politicamente a favore di determinate posizioni da sostenere in seno all’organizzazione internazionale; in via successiva, svolgendo un controllo sulla ri- spondenza dell’operato del Governo agli indirizzi politici espressi (144). Le indicazioni delle Camere hanno però mera valenza politica, non precludono la giuridica obbligato- rietà delle decisioni cui l’esecutivo abbia eventualmente partecipato in spregio delle stesse. L’analogia con la problematica degli accordi in forma semplificata consente di assumere le conclusioni raggiunte rispetto a tale tipo di accordi come punto di partenza per questa nuova analisi. Non è, peraltro, scontato che la soluzione delle due questioni debba essere identica, esistendo, anzi, numerosi elementi che indurrebbero a riconoscere al diritto internazionale derivato una protezione più intensa.

In primo luogo, le norme di diritto internazionale derivato costituiscono espressione della forma più avanzata d’integrazione internazionale, verso cui va sicuramente il favor delle norme costituzionali (145). Trattasi, infatti, di precetti emanati da organizzazioni

(143) Cfr. F.J LAPORTA, El imperio de la ley. Una visión actual, Madrid, 2007, p. 158, secondo cui la

tendenza ad attribuire potestà normative derivate ad organizzazioni internazionali sarebbe uno dei fattori che contraddistinguono l’attuale “crisi della legge”, a causa del difetto di sovranità dei soggetti cui queste potestà vengono attribuite: autorizzando la stipulazione dei relativi trattati istitutivi, la legge rinuncerebbe alla propria insostituibile funzione regolatrice, condannandosi alla «irrelevancia como pauta de guía de la conducta y de resolución de conflictos». Cfr. altresì L. MONTANARI, Giudici nazionali e Corte di Stra-

sburgo: alcune riflessioni tra interpretazione conforme e margine di apprezzamento, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2008, n. 3, p. XVIII, che rileva come, in un sistema “multilivello” caratterizzato dallo strati-

ficarsi di regole giuridiche non solo poste dal legislatore nazionale ma provenienti anche da ordinamenti stranieri nonché sovranazionali ed internazionali, il ruolo del Parlamento nazionale verrebbe a perdere progressivamente d’importanza, a vantaggio delle autorità giurisdizionali che sarebbero, al contrario, «chiamat[e] a svolgere necessariamente un’opera di sistematizzazione di fondamentale importanza».

(144) Cfr. R. DICKMANN, Parlamento e Governo nella diplomazia parlamentare, in Id., S. Staiano (a

cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo. L’esperienza italiana, Milano, 2008, p. 617 s.

(145) Cfr. A. CARRINO, Costituzione e sovranità. L’Italia e l’Europa prima e dopo Maastricht nel

recente dibattito giuspubblicistico, in Id., L’Europa e il futuro delle Costituzioni, Torino, 2002, p. 169 s.;

A. RUGGERI, Quale “sistema” delle fonti dopo la riforma del Titolo V?, cit., p. 4; V. ONIDA, La Costitu-

zione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionale, cit., p. 5 ss. Cfr. altresì Corte

internazionali non già in qualità di organi comuni a più Stati, bensì in via autonoma e indipendente, in forza di norme sulla produzione giuridica contenute nei rispettivi tratta- ti istitutivi, che attribuiscono loro l’esercizio in via esclusiva di specifiche competenze normative (146). La qualità dell’integrazione emerge anche dal tipo di meccanismi deli- berativi generalmente adottati: il criterio di maggioranza contraddistingue oggi la mag- gior parte delle organizzazioni di natura tecnica, finanziaria ed economica, mentre anco- ra fatica ad imporsi in quelle di natura politica (147).

In secondo luogo, va espandendosi – soprattutto presso le organizzazioni a carattere regionale presenti in Europa – la tendenza ad affiancare al circuito decisionale intergo- vernativo un parallelo circuito di tipo parlamentare. Vengono, così, create assemblee composte da delegazioni dei Parlamenti nazionali, rappresentati in modo proporzionale alla popolazione dei rispettivi Stati membri ed in maniera tale da riflettere la consistenza dei relativi gruppi parlamentari (148). Tali assemblee assumono generalmente decisioni a maggioranza semplice e, benché non siano in grado d’esercitare un autentico controllo politico sull’operato del circuito intergovernativo né d’influire sull’indirizzo politico

(146) Cfr. T. TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, cit., p. 115 s. e 137 ss.; P. I- VALDI, L’adattamento del diritto interno al diritto internazionale, cit., p. 133 ss.

(147) V. più approfonditamente infra, § 5.2.1. A titolo esemplificativo, nell’ambito dell’OMS (Orga-

nizzazione mondiale della sanità), l’Assemblea mondiale della sanità – composta da delegati degli Stati membri, scelti fra i rappresentanti dell’amministrazione sanitaria di ciascun paese (ovverosia dai ministri della sanità, o loro delegati) – adotta, deliberando a maggioranza dei due terzi dei propri componenti, ac- cordi e convenzioni, che dovranno entrare in vigore in tutti gli Stati membri entro diciotto mesi, a meno che questi non notifichino un atto in cui espongono le ragioni del mancato recepimento. La stessa Assem- blea adotta inoltre regolamenti nelle materie più delicate, che entrano in vigore automaticamente per tutti gli Stati membri a seguito della loro notificazione: Cfr. gli artt. 19 ss. del Trattato istitutivo dell’OMS. Po-

liticamente più sofisticato è il modello deliberativo affermatosi nella prassi più recente delle Nazioni Uni- te e di conferenze multilaterali, nonché adottato dall’OMC (Organizzazione mondiale del commercio): tali

organizzazioni internazionali assumono decisioni con la tecnica del consensus, che opera allorché nessu- no Stato membro consideri una decisione talmente inaccettabile da opporvi un’espressa obiezione.

La maggior flessibilità che implica il criterio maggioritario riduce proporzionalmente la possibilità di strumentalizzazioni, giacché atti adottati in precedenti sessioni, che non rispecchino più la volontà della maggioranza degli esecutivi statali, potranno essere emendati alla luce di un nuovo indirizzo politico suf- ficientemente condiviso, senza rischio di veti da parte di singoli Stati. Risulterebbe, allora, più difficile per il Governo utilizzare questi strumenti di diritto internazionale per imporre il proprio indirizzo sulle future maggioranze politiche interne. Al contrario, laddove si richieda l’unanime parere favorevole di cia- scuno Stato membro all’adozione degli atti internazionali di diritto derivato, si rischierebbe di paralizzare la successiva attività dell’organizzazione internazionale ed il difficoltoso raggiungimento dell’unanimità finirebbe per rendere l’indirizzo politico sotteso alle rare deliberazioni, in cui l’univocità di consensi sia stata raggiunta, sostanzialmente insuscettibile di emendamenti futuri. Non priva di risvolti negativi è, pe- raltro, anche l’adozione del criterio maggioritario, solo che si tenga conto di come gli atti emanati vadano a produrre effetti vincolanti anche in capo agli Stati membri i cui rappresentanti non si siano espressi po- sitivamente in ordine alle relative previsioni; e spesso si tratta di deliberazioni che non hanno importanza meramente secondaria o pretto carattere tecnico amministrativo, ma che involgono temi e materie di rile- vante importanza politica e che, in particolare, ai fini della loro esecuzione richiedono la predisposizione di strumenti interni di tipo legislativo.

dell’organizzazione, hanno nondimeno il pregio di garantire un costante flusso d’infor- mazioni verso i Parlamenti nazionali, consentendo loro di chiamare i rispettivi Governi a rispondere davanti ad essi, in sede nazionale, del proprio contegno mantenuto in seno all’organizzazione.

In terzo luogo, le organizzazioni internazionali possono adottare norme di diritto de- rivato soltanto nei limiti entro cui i rispettivi trattati istitutivi lo consentano. Si tratta, in- fatti, di soggetti “derivati” nel duplice senso per cui, da un lato, devono limitarsi a svol- gere le funzioni e ad esercitare i poteri loro specificamente affidati e, dall’altro, esistono ed operano nell’ordinamento internazionale solo fintanto che gli Stati membri non ne decidano (consensualmente) la cessazione. Il Parlamento, autorizzando con legge la ra- tifica del relativo trattato istitutivo, si pronuncia favorevolmente in ordine agli obiettivi verso cui l’organizzazione internazionale istituzionalmente tende, nonché – almeno im- plicitamente – sull’insufficienza dei mezzi interni a disposizione dello Stato per rag- giungere gli stessi obiettivi autonomamente. È pur vero che simili valutazioni vengono effettuate sulla base di parametri di tipo politico, talché la scelta se aderire o meno a un’organizzazione spetta, in definitiva, alla stessa maggioranza di governo. Tuttavia, diversamente da quanto avviene per gli accordi in forma semplificata, si riscontra qui una sorta d’autorizzazione preventiva del Parlamento alla successiva produzione di norme internazionali, alla cui puntuale elaborazione esso non parteciperà.

In considerazione di questi elementi, B. CONFORTI propone di superare la consolida-

ta prassi che condiziona l’efficacia interna anche del diritto internazionale derivato al- l’adozione di appositi strumenti normativi di recepimento: sarebbero all’uopo sufficienti le singole leggi di esecuzione dei trattati istitutivi, in cui si contemplino norme sulla produzione conferenti potestà normative alle organizzazioni internazionali istituite (149). Sennonché, giurisprudenza e dottrina dominanti ritengono tuttora applicabile al diritto internazionale derivato il principio d’irrilevanza sino al formale recepimento nell’ordi- namento interno (150). Fintanto che resti ferma la tradizione costituzionale che impone il

(149) Diritto internazionale, cit., p. 296 ss.

(150) Cfr. P. IVALDI, op. cit., p. 133 ss.; C. PANARA, Il diritto internazionale nell’ordinamento inter-

no, cit., p. 11 s.; Corte cost., sent. n. 18 del 11.01.1989, in Giur. Cost., 1989, I, p. 62 ss., C.i.d. n. 11: «le

statuizioni contenute nelle risoluzioni dell’ONU[…] non costituiscono fonti di diritto, pur potendo avere

influenza nella formazione di consuetudini e di accordi conformi al loro contenuto». L’argomento gene- ralmente utilizzato per respingere la tesi dell’adattamento immediato al diritto internazionale derivato è quello secondo cui non sarebbe possibile, attraverso una semplice legge ordinaria (di esecuzione del trat- tato istitutivo dell’organizzazione internazionale dotata di potestà normativa), istituire nuove fonti concor- renziali alla legge stessa. Contro questa obiezione, B. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 298, ribat-

mantenimento di un’impostazione dualista nei rapporti interordinamentali, questo prin- cipio potrà essere superato solo attraverso limitazioni della sovranità nazionale consen- tite dall’art. 11 Cost., a condizione che ne ricorrano tutti i requisiti (151).

Già s’è detto che l’art. 117, I Cost. non ha incidenza diretta sulla complessiva con- figurazione delle relazioni con l’ordinamento internazionale, sicché esso non è in grado di alterare lo stato della questione (il cui approfondimento, pertanto, esula dagli obiettivi del presente scritto) (152). Tuttavia, in ragione delle conclusioni cui già si è giunti in me- rito ai trattati non ancora recepiti, se la portata della copertura costituzionale dovesse e- stendersi a favore delle norme di diritto internazionale derivato, la stessa dovrebbe per coerenza riconoscersi anche a favore di quelle norme che, emanate dalle competenti or- ganizzazioni internazionali e già vincolanti lo Stato nell’ordinamento d’origine, non ab- biano ancora trovato formale esecuzione nell’ordinamento interno. Poco importa, per- tanto, che gli atti normativi di recepimento rivestano spesso la forma non già di leggi formali, emanate dal Parlamento, bensì di atti normativi dell’esecutivo: regolamenti o decreti legislativi (153).

La dottrina non ha dedicato alla questione in esame il necessario approfondimento teorico. Tra i pochi Autori che vi si sono effettivamente intrattenuti, C. PANARA non

ravvisa motivi che possano indurre a precludere agli atti interni di adattamento al diritto internazionale derivato la possibilità di essere assunti a parametro interposto di legitti- mità costituzionale (sul punto, per completezza, è d’obbligo rilevare che tale Autore ri- tiene in generale non vincolanti i trattati internazionali non ancora recepiti) (154). Que-

te che «in tal modo [si] finisce col condannare tutte le norme di legge ordinaria che rinviano ad ordina- menti stranieri o estranei, ad es. le norme di diritto internazionale privato»: ciò che all’A. parrebbe «un non senso».

(151) Cfr. P. IVALDI, op. cit., p. 134. Sui requisiti stabiliti dall’art. 11, V. supra, § 3.2. (152) Per un approfondimento, Cfr. C. PANARA, op. cit., p. 12.

(153) Cfr. B. CONFORTI, op. ult. cit., p. 297: quando si tratta di decisioni reiterate, la prassi è quella

del recepimento mediante regolamenti governativi (sempre che non esista una precedente disciplina legi- slativa della materia) o mediante decreti legislativi, previamente autorizzati dalla stessa legge di esecu- zione del trattato istitutivo.

(154) Il diritto internazionale nell’ordinamento interno, cit., p. 11 s. Nella letteratura antecedente, un

accenno alla questione era stato avanzato da B. CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione ita-

liana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, cit., c. 229, secondo cui la disposizio-

ne di cui all’art. 117, I Cost. «è importante ed innovativa per la parte in cui impegna il legislatore statale al rispetto di tutti gli obblighi internazionali e quindi anche di tutti gli obblighi derivanti dai trattati e dalle fonti derivanti dai trattati»: l’A. lasciava in tal modo intendere di considerare del tutto equiparabili, quan- to a copertura costituzionale, le norme di diritto internazionale derivato a quelle direttamente espresse dei trattati. Della medesima opinione, Cfr. altresì V. STARACE, Obblighi comunitari e internazionali e rap-

porti tra Stato e Regioni nel nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in P. Ziccardi Capal-

st’opinione appare meritevole d’essere condivisa, malgrado la significativa compressio- ne del principio di supremazia parlamentare che essa comporta.

Nonostante la rilevata analogia tra accordi in forma semplificata e normazione in- ternazionale derivata, per il ruolo di primo piano in entrambe le fattispecie ricoperto dal Governo e per la generale esclusione del coinvolgimento parlamentare nelle fasi dei ne- goziati e dell’approvazione dei relativi precetti, nessuno degli argomenti spesi al fine di escludere la vincolatività dei primi ai sensi dell’art. 117, I pare, in realtà, essere estensi- bile alla seconda. Non quello della mancanza di una legge di autorizzazione alla ratifica, giacché le norme derivate vincolano gli Stati membri dell’organizzazione internazionale in forza della ratifica del trattato istitutivo contenente le relative norme sulla produzione giuridica. Non quello del sovvertimento della logica sottesa agli artt. 70, 76 e 77 Cost., giacché la stessa autorizzazione alla ratifica di un trattato istitutivo contenente siffatte norme parrebbe, anzi, apparentabile ad una sorta di delega legislativa, con cui le Camere autorizzano l’esecutivo ad assumere ulteriori obblighi internazionali negli ambiti e con i limiti (anche temporali) contemplati dal trattato medesimo, attraverso i meccanismi de- liberativi ivi disciplinati. L’esercizio di simili potestà normative in sede extraparlamen- tare manterrebbe, quindi, carattere eccezionale, restando condizionato al puntuale rispet- to del principio di attribuzione delle competenze.

È ben vero che alla formazione delle norme di diritto internazionale derivato può concorrere soltanto la volontà governativa e che alle minoranze politiche non residua che una possibilità d’incidenza indiretta, mediante il controllo politico sull’operato del Governo (senz’altro più intenso laddove le organizzazioni internazionali contemplino un circuito assembleare, in cui trovano spazio le minoranze parlamentari nazionali); è ben vero, dunque, che uno sforzo ermeneutico teso esclusivamente a tutelare la ratio di garanzia sottesa al principio di supremazia del Parlamento imporrebbe di escludere in radice tali norme dalla portata della copertura costituzionale offerta dall’art. 117, I. Sen- nonché, darebbe luogo a un’insanabile contraddizione in termini un’interpretazione che, dopo aver accettato una limitazione della potestà legislativa interna a garanzia della fe- deltà dello Stato agli impegni assunti in seno alla comunità internazionale, rifiuti poi di ricomprendere in questa stessa garanzia le esperienze più intense e significative dei pro- cessi d’integrazione fra Stati.

l’era della comunità globale, Napoli, 2004, p. 140 s.; A. BONOMI, Il “limite” degli obblighi internaziona-

Sarebbe sufficiente ad evitare d’incorrere in questa contraddizione l’adozione di una meno ingessata applicazione dell’art. 11 Cost. (155). La Corte costituzionale ha sinora impedito d’estendere la relativa copertura costituzionale a favore dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali diverse dalle Comunità e dall’Unione europea, frapponen- do la necessità di non sempre chiari requisiti ricavati per via giurisprudenziale (156). Il riferimento è, in particolare, al requisito della sovranazionalità, per la cui soddisfazione non è ritenuto sufficiente il conferimento all’organizzazione internazionale di funzioni normative autonome – ciò che già di per sé integrerebbe, secondo parte della dottrina, una limitazione della sovranità interna (157) – ma occorrerebbe, altresì, la capacità della stessa organizzazione d’imporre l’immediata efficacia del proprio diritto derivato negli ordinamenti degli Stati membri, anche contro la diversa volontà normativa eventual- mente espressa da questi ultimi (158).

La riconduzione alla copertura costituzionale di cui all’art. 11 assicurerebbe al dirit- to internazionale derivato non solo la diretta applicabilità nell’ordinamento interno – ciò

(155) Cfr. B. CONFORTI, op. ult. cit., p. 298 s.

(156) V. supra, § 3.2.

(157) Cfr. C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei

diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione, cit.; R. DICKMANN, Corte costituzionale e di-

ritto internazionale, cit., p. 3594; A. GUAZZAROTTI, La Consulta “guarda in faccia” gli obblighi interna-

zionali e la CEDU, cit., p. 277; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2008, p. 217; M. LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale

in ordine ai rapporti fra diritto italiano e diritto internazionale, cit., p. 203; G. PILI, Il nuovo “smalto co-

stituzionale” della CEDU agli occhi della Consulta…, in www.forumcostituzionale.it, 2008, p. 2 s. Con- tra, G. TESAURO, Costituzione e norme esterne, cit., p. 215 s.

(158) Cfr. Corte cost., sent. n. 348/2007, cit., C.i.d. n. 3.3; sent. n. 349/2007, cit., C.i.d. n. 6.1. In sen-

so critico, Cfr. il commento di M.E. BARTOLONI, Un nuovo orientamento della Corte costituzionale sui

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