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I “vantaggi conseguiti e i vantaggi fondatamente prevedibili”

INTERESSE DI GRUPPO E VANTAGGI COMPENSAT

2.8. I “vantaggi conseguiti e i vantaggi fondatamente prevedibili”

La liceità delle operazioni infragruppo è rimessa a due differenti parametri di valutazione che tengono conto dei comuni interessi economici perseguiti dalle diverse società del gruppo nello svolgimento delle loro attività: l’uno oggettivo rapportato ad un dato storico certo e concretamente verificabile “i vantaggi conseguiti”; l’altro soggettivo riferito ad un atteggiamento interiore del soggetto attivo “i vantaggi fondatamente prevedibili”.

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BERSANI, Operazioni infragruppo e vantaggi compensativi nel diritto penale societario e fallimentare, in Fisco, 2004, p. 6630; MASUCCI, Vantaggi del gruppo e dell’impresa collegata nel governo penale negli abusi di gestione, in

Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 905; MUCCIARELLI, Il ruolo dei “vantaggi compensativi”nell’economia del delitto di

infedeltà patrimoniale degli amministratori, in Giur. Comm., I, 2002, p. 633.

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BELLACOSA, Obblighi di fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali, Milano, 2006, p. 141; nonché

MASUCCI, Vantaggi del gruppo e dell’impresa collegata nel governo penale negli abusi di gestione, in Riv. trim. dir.

pen. econ., 2003, p. 905.

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COCCO, I confini tra condotte lecite, bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice nelle relazioni economiche

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In relazione al momento cronologico della realizzazione dei vantaggi “conseguiti”, nel silenzio della legge, si potrebbe ritenere che il dato testuale si riferisse ad un vantaggio conseguito in virtù di operazioni precedenti a quella incriminata, dovendo all’uopo escludere la necessità di un nesso eziologico e psichico tra la successiva condotta pregiudizievole ed il ritorno di utilità per la società danneggiata.

In posizione contraria, ovvero nel caso in cui si interpretasse la locuzione “vantaggi conseguiti” in riferimento a benefici ottenuti in un momento cronologico successivo al compimento dell’operazione dannosa, riemergerebbe il problema in ordine alla “causa” del vantaggio stesso: se, cioè, sia sufficiente che il ritorno di utilità sia genericamente derivato dall’organizzazione dell’impresa in forma di gruppo, oppure se sia necessario, ai fini dell’esonero dalla responsabilità, che questo promani direttamente o indirettamente dallo stesso atto pregiudizievole187, o da una o più specifiche contro-operazioni a tal fine ordinate188.

La condivisione dell’una o dell’altra valutazione incide significativamente sull’iter di accertamento delle modalità di conseguimento del vantaggio: se, cioè, possa assumere funzione “giustificante” qualsiasi tipo di generico vantaggio già conseguito prima del compimento dell’atto dannoso in virtù della mera appartenenza al gruppo189, oppure se possaritenersi “vantaggio compensativo” solo quel beneficio ottenuto successivamente alla realizzazione dell’atto depauperativo.

Tuttavia il vero problema non attiene tanto al “prima” o al “dopo” del conseguimento del vantaggio rispetto all’atto dispositivo dannoso, quanto piuttosto alla necessità di un collegamento funzionale tra il pregiudizio subito dalla controllata, il beneficio di natura compensativa da questa conseguito, e la politica di gruppo.

Quindi, ai fini del giudizio in ordine alla liceità dell’atto dispositivo infragruppo, si dovrà prendere cognizione sia del danno cagionato, sia del contesto in cui questo si è materializzato, sia della funzione che tale atto ha assunto nell’ambito della politica economica generale del gruppo nel

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Come sembra lasciare intendere MASUCCI, Vantaggi del gruppo e dell’impresa collegata nel governo penale negli

abusi di gestione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 904 che afferma che il sistema andrebbe ricostruito nel senso che

“precluda la condanna (…) quando l’atto abbia avuto ricadute favorevoli all’impresa, che emergano con certezza nel processo”.

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NAPOLEONI, Geometrie parallele e bagliori corruschi del diritto penale dei gruppi(bancarotta infragruppo,

infedeltà patrimoniale e “vantaggi compensativi”, in Cass. Pen., 2005, p. 3798 il quale, in ordine a tale ultima ipotesi,

riporta l’esempio della società figlia che vende alla società madre dei semilavorati per somma inferiore al fair price, perché questa poi le fornisce il relativo know how.

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COCCO, I confini tra condotte lecite, bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice nelle relazioni economiche

all’interno dei gruppi di società, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2003, p. 1036, in cui si afferma che “occorre effettuare il

calcolo costi-benefici in capo alla singola società, che però per essere correttamente effettuato non può non tenere conto sia dei benefici da essa conseguiti in virtù della collocazione nel gruppo, prima dell’effettuazione dell’operazione

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medio e nel lungo periodo; valutando, altresì, i benefici preesistenti, contestuali o successivi di cui la singola ha goduto, gode o godrà grazie al collegamento societario.

Alla luce della circostanza che il bilanciamento tra beneficio e profitto non debba necessariamente esprimersi in termini di rigida proporzionalità quantitativa, il legislatore ha previsto, altresì, il richiamo ai vantaggi “fondatamente prevedibili”, che sono quei vantaggi non ancora conseguiti. La compensazione, infatti, deve essere calcolata sulla base della proporzione tra l’arricchimento del gruppo conseguito in virtù dell’operazione dannosa posta in essere dall’amministratore della controllata, ed il vantaggio ottenuto od ottenibile da quest’ultima per il fatto di appartenere al gruppo, in modo tale da poter escludere che il soggetto qualificato abbia agito nell’esclusivo interesse extrasociale di terzi.

Il profitto non sarà ingiusto quando, sulla base di calcoli certi e sicuri effettuati ex post (vantaggi conseguiti), o in virtù di prognosi calibrate su parametri di oggettiva ragionevolezza in una prospettiva ex ante (vantaggi fondatamente prevedibili), lo stesso risulterà proporzionato col beneficio ottenuto dalla controllata o, per essa, solo preventivato190.

Quindi, la congruità richiesta affinché il profitto conseguito non sia ingiusto deve essere ricostruita mediante un’analisi di natura globale, che tenga conto dei risultati economico-aziendali diversamente ricollocati (o ricollocabili) e ridistribuiti (o ridistribuibili) tra le varie entità del gruppo, anche nel medio e nel lungo periodo.

Il giudizio in ordine alla irrilevanza penale di determinati trasferimenti patrimoniali infragruppo sarà fondato sull’accertamento di un effettivo ristoro in seno alla società inizialmente impoverita, nonché sull’accertamento della ragionevolezza della previsione di un ritorno di utilità che di fatto può poi non realizzarsi per cause successive ed indipendenti dal volere o dall’agire dei protagonisti dell’operazione stessa.

Alla luce di quanto detto, si potrebbe con certezza ritenere che la previsione nella norma della prevedibilità del conseguimento di un vantaggio collocato nel futuro esclude la correttezza del calcolo in termini di esatto corrispettivo191.

L’utilizzo dell’avverbio “fondatamente”, che caratterizza l’atteggiamento psichico dell’agente in ordine alla previsione del vantaggio futuro, comporta che il contegno psicologico va ancorato a

parametri di tipo oggettivo, nel senso che l’aspettativa circa il ritorno di utilità deve essere ragionevolmente fondata, non potendo l’amministratore giustificarsi allegando una mera speranza

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Richiama il requisito della proporzione MASUCCI, Infedeltà patrimoniale e offesa al patrimonio nella disciplina penale dei gruppi di società, Napoli, 2006, p. 268 e ss.

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di guadagno futuro, adducendo personali previsioni ottimistiche di vantaggio per la società. In tal senso, il rischio di vie di fuga dalla responsabilità penale sarebbe eccessivamente elevato192.

La giurisprudenza, sottolineando correttamente l’esigenza di evitare di fondare il giudizio profitto/vantaggi su parametri meramente soggettivi, ha assunto una posizione piuttosto rigida e rigorosa, secondo la quale i “vantaggi fondatamente prevedibili” devono essere basati non già su una mera probabilità o speranza in ordine al ritorno di utilità, ma piuttosto su elementi sicuri, riconducibili ad una “quasi certezza”193.

Pur volendo condividere l’assunto della Corte di Cassazione secondo cui opera l’esigenza di attribuire tassatività e determinatezza ad un formula legislativa sicuramente poco chiara e di difficile interpretazione, sembra tuttavia discutibile il punto d’approdo: richiedere la “quasi certezza” rispetto al conseguimento di un vantaggio futuro, infatti, significa sostanzialmente disconoscere la natura fisiologicamente rischiosa dell’attività dell’impresa che, lungi dall’essere governata da regole di carattere scientifico, costituisce piuttosto l’estrinsecazione di operazioni di cui è impossibile garantire a monte, con assoluta certezza, il buon fine.

Pertanto, alla luce delle valutazioni esposte, si ritiene che l’interprete dovrà valutare caso per caso, sulla base della situazione specifica in cui l’operatore economico si è trovato ad agire, e tenendo conto degli elementi da lui conosciuti o conoscibili in quel momento storico se, secondo le massime d’esperienza desunte dall’osservazione dei mercati, in base alle regole giuridiche ed aziendali applicabili al caso concreto, ai principi economico-finanziari e statistici, nonché agli standard di avvedutezza imprenditoriale fosse ragionevolmente possibile conseguire per la società danneggiata un vantaggio futuro.

Il criterio della “ragionevolezza” del beneficio nell’ambito di una più generale politica economica di gruppoprescinde dal dato quantitativo e si fonda, piuttosto, sulla qualità della prognosi effettuata, cioè sulla sua logicità e credibilità razionale rispetto al dato empirico ed economico esistente al momento dell’azione.

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Sul punto v. MEZZETTI, L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario, in Riv. it. dir.

proc. pen., 2004, p. 237, secondo il quale “occorre recuperare la locuzione ad un’accezione ‘oggettiva’ di aspettative di

vantaggi mediamente e ragionevolmente auspicabili in base a valutazioni economico-finanziarie standard secondo parametri dettati dal mercato, considerando anche aspettative di redditività di medio e/o lungo periodo, specialmente se collocate in una ‘logica’ economica di gruppo, e tenuto conto dei margini di rischio insiti in alcune operazioni che risentono in misura maggiore delle reazioni del mercato”.

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Cass. Pen., Sez. V, 23.6.2003, n. 38110, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2004, p. 656 con nota di MASUCCI; in Giur.

comm., 2004, p. II, p. 599 con nota di CODAZZI; Cass. Pen., Sez. V, 18.11.2004, n. 10688, in Cass. Pen., 2005, p. 3781 con nota di NAPOLEONI; in Dir. pen. proc., 2005, p. 747 con nota di LEMME.

96 2.9. Il fenomeno del c.d. “bad companies”.

Il fenomeno delle “bad companies” rappresenta un fenomeno frequente nella realtà fattuale e ha come presupposto il compimento di operazioni di salvataggio di gruppi di imprese poste in essere mediante la separazione tra attività redditizie ed attività in perdita.

In particolare, in capo alla società priva di vitalità economica vengono attribuite attività in sofferenza, lasciando contemporaneamente una “good company” in grado di svolgere un’azione efficiente e profittevole (bad bank).

Trattasi di operazioni di ingegneria aziendale volte a creare una o più nuove società (nel gergo

newco) cui attribuire una parte delle attività sino a quel momento svolte dal complesso

imprenditoriale, così, separando i rami di azienda profittevoli o suscettibili di un risanamento dai rami di azienda per i quali non sussistono speranze di evitare il dissesto194.

Da punto di letterale detto termine veniva già utilizzato per il crack Parmalat ed è stato rispolverato in occasione della vicenda di privatizzazione di Alitalia.

Infatti un caso emblematico di questa tipologia di operazioni resterà quello legato alla vicenda di Alitalia che rappresenta uno storico episodio di salvataggio di una compagnia attraverso lo spezzettamento e la separazione delle attività buone da quelle cattive.

Tuttavia non sempre la creazione di un veicolo societario in cui far confluire gli asset “tossici” di una società suddividendo quest’ultima in due differenti compagnie, una “good company”, nella quale verranno convogliati tutti gli attivi (strutture, crediti), e una “bad company”, nella quale verranno convogliati solo i passivi, si traduce in un dissesto della “bad company” con successivo esito di bancarotta.

Si profila, quindi, come illecita l’operazione economica che scarichi tutte o in gran parte delle passività su una società, destinandola programmaticamente al fallimento.

Spesso detto fenomeno si realizza al fine di eludere il pagamento di imposte sui redditi di impresa: infatti società che hanno accumulato in passato rilevanti perdite di esercizio possono infatti, previa fusione per unione o per incorporazione con società in grado di generare forti utili, trasferire alla nuova società sorta dalla fusione tutti i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, compreso il diritto di riportare in diminuzione del proprio reddito le perdite fiscali ante fusione. Questa pratica, consentita se la fusione è ispirata da motivazioni aziendali lecite, è contrastata in numerosi Stati quando sia invece motivata esclusivamente dallo scopo elusivo dell’onere tributario. In Italia, in particolare, l’art. 172, 7 comma, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) precisa che la detraibilità delle perdite pregresse non è consentita se l’azienda apportatrice di queste

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ultime non supera un test di vitalità. Per superare tale test, l’azienda deve dimostrare, nell’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, sia un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica sia un ammontare di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 del c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. In caso di mancato superamento del test di vitalità, l’azienda si configura come una bara fiscale.

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