L’INQUADRAMENTO DEL DELITTO DI BANCAROTTA FRAUDOLENTA PER DISTRAZIONE
3.11. Il momento “finalistico” della distrazione.
L’esigenza di assicurare un’effettiva tutela del credito e la necessità di tutelare l’impresa e la libertà
di iniziativa economica lato sensu intesa richiedono una seria delimitazione delle condotte di bancarotta.
Affermare di essere in presenza di una operazione distrattiva allorquando l’imprenditore, anche in bonis, utilizzi i suoi beni in modo da porre in pericolo l’integrità della garanzia per
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i creditori che da essi è costituita, alla luce di un’analisi della situazione economica dell’impresa complessiva e non già legata alla singola operazione (e sempre che successivamente si realizzi il fallimento come richiesto dall’art. 216 l. fall.), per quanto convincente sul piano della tipicità oggettiva del fatto, non sembra da sola sufficiente a soddisfare le esigenze di necessaria delimitazione della condotta illecita.
Sul punto si ribadisce che l’attività posta in essere dall’imprenditore è per sua natura rischiosa, atteso che la scelta di compiere operazioni potenzialmente pericolose per l’integrità del patrimonio, quale fonte di garanzia per i creditori, può, talvolta, risultare necessitata o, comunque, sorretta dalla volontà o dall’auspicio (anche eventualmente colpevole, si pensi ai casi di bancarotta semplice) di “migliorare” la situazione generale dell’impresa.
Al di fuori dei movimenti di denaro consistenti in operazioni di pura sorte o, comunque, riconducibili ad una gestione gravemente o manifestamente imprudente dell’impresa, che ricadono nella fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217 L.F., sono riscontrabili nella prassi delle “zone grigie” in cui, nonostante la pericolosità concreta ed effettiva di talune scelte gestorie, la condotta sembra rimanere al di fuori della sfera di operatività dell’art. 216, primo comma, n.1 L.F.245.
Il discrimen in questi casi non sarebbe più rinvenibile sul piano oggettivo dell’offesa, ma su quello soggettivo della volontà.
Infatti per poter incriminare l’imprenditore per bancarotta fraudolenta, oltre alla necessaria influenza negativa che le sue scelte aziendali devono aver determinato sul quantum del patrimonio posto a tutela dei creditori ai sensi dell’art. 2740 c.c., risulta di fondamentale rilievo la direzione finalistica della condotta stessa246.
L’art. 216 L.F., infatti, non è finalizzato a punire qualsiasi impoverimento dell’imprenditore che si configuri di fatto come pericoloso o dannoso per i creditori, ma solo quel
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L’insufficienza del mero riferimento alla tipicità oggettiva come elemento di discrimine tra bancarotta fraudolenta e semplice ovvero tra bancarotta e fatto lecito è acutamente evidenziata da PAGLIARO, Il delitto di
bancarotta, Palermo, 1957, p. 56, il quale rileva come la stessa dottrina dominante riconosca che “al
medesimo fatto materiale, commesso con coscienza e volontà può, di volta in volta, corrispondere bancarotta fraudolenta o un altro delitto, o addirittura, un fatto non costituente reato. Ad esempio, il fatto materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale può in molti casi essere identico a quello della bancarotta semplice per spese eccessive o per operazioni imprudenti al fine di ritardare il fallimento”.
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Sulla teoria dell’azione finalistica nella letteratura italiana si vedano, tra le altre, le opere di GALLO, La
teoria dell’azione finalistica nella più recente dottrina tedesca, Milano, 1967; LATAGLIATA, La situazione
attuale della dottrina finalistica dell’azione, in Riv. pen. ec., 1991; SANTAMARIA, Prospettive del concetto
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depauperamento lesivo della garanzia patrimoniale che sia finalisticamente orientato a tale risultato.
La distrazione, quindi, comprenderebbe tutte quelle operazioni che causano una deviazione del bene al suo scopo in presenza della volontà finalistica dell’agente verso la sottrazione dei beni alla funzione di garanzia dei creditori complessivamente considerati.
Il contenuto della volontà colpevole contribuisce alla precisazione dei caratteri del fatto tipico.
Sulla base dell’analisi sinora svolta si può agevolmente affermare che, in ambito fallimentare, col termine “distrarre” si richiama un contesto indeterminato e di scopo: non si sanziona il mero distacco del bene dall’azienda, bensì la destinazione ingiustificabile dello stesso, parametrata sugli interessi dei creditori dell’impresa, con un ambito di applicazione ritagliato sul caso concreto, e con accezione prettamente economica. In questo senso il dolo può dirsi meramente generico, contenendo in sé la consapevolezza dello speciale disvalore economico dell’atto dispositivo e delle sue inaccettabili finalità.
Quindi, nel contesto esaminato in tale lavoro, le operazioni infragruppo non sorrette da adeguato corrispettivo in caso di fallimento della società depauperata integrano il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in quanto non rileva che siffatte operazioni siano poste in essere al fine di salvaguardare l'avviamento economico e la capacità occupazionale, trasferendo beni e risorse verso altre società ritenute maggiormente operative, poiché la salvaguardia delle risorse sociali va attuata all'interno del perimetro del soggetto proprietario nell'interesse dei creditori e dei terzi che hanno fatto affidamento sul patrimonio e sulla capacità operativa della singola società.
Dal punto di vista soggettivo il dolo è generico e deve essere individuato nella consapevolezza del distacco del patrimonio sociale di beni che, destinati a finalità estranee, determinano il depauperamento dell'impresa in danno dei creditori. Ne consegue che sull'elemento soggettivo non ha alcuna incidenza la finalità perseguita dall'agente. La garanzia dei creditori è data dal patrimonio sociale, che viene depauperato allorché vengano effettuati trasferimenti di beni ad altra società. Al creditore della società fallita è, infatti, precluso di inseguire i beni sociali su cui rivalersi, una volta usciti dalla disponibilità della società debitrice, pur se diretti verso altra società del gruppo.
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