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Il trasferimento della sede legale in Bulgaria e l’insolvenza bulgara.

L’INSOLVENZA NEI GRUPPI DI SOCIETA’: COMPARAZIONE CON L’ORDINAMENTO BULGARO

4.9. Il trasferimento della sede legale in Bulgaria e l’insolvenza bulgara.

Negli ultimi decenni si è assistito ad una sempre più crescente trasmigrazione (per lo più strumentale) di società italiane all’estero (ed in particolar modo in Bulgaria) al solo fine di sottrarsi alla dichiarazione di fallimento all’interno dell’ordinamento Italiano.

In Bulgaria la normativa fallimentare è contenuta nel codice del commercio e disciplina la procedura di insolvenza applicabile a tutte le società commerciali e alle imprese individuali. Invece la procedura concorsuale per le banche e per le assicurazioni prevede tuttavia particolari condizioni e requisiti ed infatti essa è contenuta nel codice delle banche e nel codice delle assicurazioni.

La finalità della procedura fallimentare è quella di assicurare un’equa soddisfazione dei creditori. L’iter procedurale inizia con la valutazione da parte del giudice della domanda del creditore, fondata su fondati motivi sostanziali, con cui chiede l’apertura della procedura di insolvenza275. Successivamente il giudice deve emettere un provvedimento di rigetto della detta domanda o di accoglimento dichiarando l'insolvenza del debitore e l’apertura della procedura di insolvenza. A seguito dell’apertura della procedura di insolvenza e a seguito della nomina del comitato dei creditori e di un soggetto preposto a condurre la detta procedura in ausilio del giudice definito “amministratore fiduciario”, devono essere valutate le attività e le passività della società.

Successivamente sono previste due modalità di prosecuzione della procedura di insolvenza.

In primo luogo si può dar seguito ad un piano di riorganizzazione della società, approvato dal comitato dei creditori, finalizzato alla soddisfacimento degli stessi creditori.

In secondo luogo, qualora la società non abbia conseguito l’approvazione del piano di riorganizzazione o qualora questo non sia stato presentato dal debitore, si procede alla liquidazione del patrimonio fallimentare e alla conseguente soddisfazione dei creditori attraverso la distribuzione dell’attivo realizzato.

Le difficoltà economiche del debitore tali da integrare lo stato di insolvenza non possono essere temporanee ma devono essere oggettive e permanenti.

Con l'apertura della procedura di insolvenza il debitore continua la sua attività sotto la supervisione del fiduciario e nel rispetto delle norme previste dalla procedura di fallimento. Tuttavia il tribunale potrà privare il debitore del diritto di gestire e di disporre dei suoi beni,

274 Cfr. Cass. Civ., S.U., 26 maggio 2016, n. 10925.

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concedendo tali diritti al fiduciario, qualora constati che le azioni debitore possano ledere gli interessi dei creditori. Il tribunale svolge sia attività giudiziaria, volta a dirigere ed a autorizzare l’attività del fiduciario, sia attività di gestione della procedura di fallimento.

Infatti il giudice convoca e presiede la riunione dei creditori, nomina e revoca il fiduciario, autorizza il fiduciario ad eseguire determinate azioni e autorizza la vendita dei beni acquisiti alla massa fallimentare.

In relazione ai poteri del comitato dei creditori, all’assemblea dei creditori spettano i seguenti poteri: eleggere e revocare il fiduciario, determinare il compenso del fiduciario e determinare le modalità di vendita dei beni fallimentari. la dimensione della sua remunerazione corrente.

Il comitato dei creditori può essere composto da almeno tre e non superiore a nove componenti. Il comitato sostiene e controlla la gestione fallimentare del fiduciario, comunicando al tribunale la cattiva gestione del fiduciario qualora lo stesso non esegua correttamente le sue funzioni o ponga in essere azioni lesive degli interessi dei creditori.

Anche ai singoli creditori spettano rilevanti poteri.

Ogni creditore può ricorrere in modo indipendente a tutti gli atti di tribunali, può proporre una persona per la nomina del fiduciario, può presentare un piano di riorganizzazione, può pagare in anticipo i costi iniziali della procedura.

Con l'apertura della procedura di insolvenza sono sospesi i procedimenti giudiziari civili, ad eccezione di controversie di lavoro aventi ad oggetto le richieste di condanna al pagamento di somme di denaro, i procedimenti di esecuzione di beni rientranti nella massa fallimentare, ad eccezione dei beni posti a garanzia di crediti dello Stato prima dell’apertura della procedura di insolvenza.

Il provvedimento di apertura della procedura di insolvenza viene iscritta nel registro del commercio. La decisione è immediatamente esecutiva e può essere impugnata dinanzi alla Corte di Appello da parte del debitore, creditore e terzi.

Al debitore spetta un ruolo di collaborazione e di ausilio nella gestione della procedura.

Infatti il debitore è tenuto entro il termine di 14 giorni dall'apertura della procedura di insolvenza, a fornire al giudice e al fiduciario le informazioni necessarie sul patrimonio della società e sulla gestione contabile della stessa, essendo tenuto a produrre un elenco di pagamenti in contanti o di bonifici bancari superiori a 1200 Levs.

In relazione alla soddisfazione dei creditori, vengono soddisfatti in primo luogo i creditori i cui diritti sono assistiti da garanzie. Regole speciali sono previste per i crediti vantati dai lavoratori

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dipendenti in quanto gli stessi sono inseriti automaticamente dal fiduciario nella lista delle domande di credito accettate.

Il codice del commercio prevede norme per la protezione dei creditori fallimentari rispetto ad azioni poste in essere dal debitore che mirano a ridurre la massa fallimentare e a danneggiare gli interessi dei creditori.

A tal fine, la legge stabilisce una presunzione assoluta che vi è un danno ai creditori se alcuni tipi di azioni o transazioni hanno avuto luogo durante questo periodo. A seconda del tipo di operazione la legge indica un periodo sospetto.

Per alcuni tipi di operazioni il periodo sospetto decorre dalla data di insolvenza e si conclude con la decisione di aprire una procedura di insolvenza, per alcune operazioni il periodo sospetto abbraccia tre o due anni prima della data di apertura della procedura fallimentare.

Sono considerate dannose anche alcune azioni poste in essere dopo la data di apertura della procedura fallimentare senza il preventivo consenso del fiduciario276.

Non sono considerate nulle quelle operazioni effettuate dal debitore dopo la data di insolvenza, dirette a soddisfare debiti pubblici o crediti privati la cui raccolta obbligatoria venga svolta in pubblico.

Il tribunale dichiara il debitore fallito se nel termine di legge il piano di riabilitazione non è stato accettato o approvato. La decisione del tribunale fallimentare comporterà la dichiarazione di fallimento del debitore con successiva privazione del diritto di gestire e disporre di beni inclusi nella massa fallimentare e provvederà a ordinare la vendita dei beni inclusi nella massa fallimentare con successiva liquidazione degli stessi.

In relazione ai reati fallimentari in ragione dell’inasprimento delle pene previste dall’ordinamento italiano in tema di bancarotta fallimentare semplice e fraudolenta, si assiste spesso al trasferimento della sede all’estero di società italiana al fine di sottrarsi alla giurisdizione dei giudici italiani.

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Le operazioni dannose, che sono nulle rispetto ai creditori concorsuali, sono tassativamente indicati dalla legge e sono divise in due categorie: 1) esecuzione di un obbligo sorto prima della data di apertura di procedure concorsuali e costituzione di pegno o ipoteca sui beni dal patrimonio fallimentare dopo l’apertura della procedura; 2) esecuzione di un obbligo monetaria, indipendentemente dalle modalità di attuazione; donazioni di beni inseriti nella massa fallimentare; pegno, ipoteca o altra garanzia del diritto di proprietà della massa fallimentare.

Possono essere inefficaci rispetto ai creditori concorsuali le seguenti operazioni: donazioni eseguite entro 3 anni precedenti l'apertura della procedura di fallimento; donazioni in favore di un terzo fatte nei 2 anni precedenti l'apertura della procedura di fallimento; il pagamento di una obbligazione pecuniaria trasferendo la proprietà di beni commessi entro 3 mesi prima della data di insolvenza se il recupero comporterebbe una maggiore soddisfazione dei creditori; un mutuo, pegno o altro titolo, che viene costituito entro un anno prima dell'apertura di una procedura di fallimento a favore del debito non garantito in precedenza; operazione che viene effettuata entro due anni prima dell'apertura della procedura di insolvenza che danneggia i creditori in base al quale il paese è collegato con l'entità debitore.

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Tale fenomeno, pur avendo creato incertezze sulla possibilità di dichiarare il fallimento secondo la normativa italiana, è stato chiarito dalla Corte di Cassazione.

Infatti la Suprema Corte ha stabilito che in caso di trasferimento della sede all’estero di società italiana opera la giurisdizione dei giudici italiani.

La vicenda processuale trae origine dall’istanza di fallimento presentata da alcuni creditori nei confronti di una società con sede in Italia che, pochi giorni prima della presentazione dell’istanza di fallimento, si era iscritta nel Registro delle società della Bulgaria.

I motivi che hanno spinto la Cassazione a ritenere competente il Tribunale Italiano per la dichiarazione di fallimento sono i seguenti: 1) il trasferimento della sede della società all’estero aveva preceduto di meno di un anno la prima istanza di fallimento. 2) il conferimento alla compagna dell’amministratore della società fallita, da parte dell’amministratore della società estera, di una procura generale ad agire sia in Italia sia all’estero in nome e per conto di tale società estera; 3) l’assenza di concreta ed effettiva operatività all’estero.

In base a questi tre motivi, la Suprema Corte ha ritenuto fittizio il trasferimento della sede all’estero, nel caso specifico in Bulgaria, da parte della società fallenda, poiché il centro degli interessi di tale società continuava a trovarsi in Italia e non in Bulgaria.

La questione è stata anche sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha confermato, seppur su diverse basi, la decisione della Corte Suprema di Cassazione.

Infatti anche per la CGUE il trasferimento della sede in un altro Stato membro come la Bulgaria, con la permanenza in Italia del centro degli interessi principali dell’attività, non blocca la procedura di fallimento e la competenza dei giudici italiani.

La CGUE afferma e ricorda che l’articolo 3 del Regolamento 1346/200 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza fissa le regole per la determinazione del giudice competente.

La norma a cui sia i Giudici Italiani che Bulgari devono conformarsi è la seguente:

Art. 3 . 1 Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria;

Art. 3 . 2 Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato

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membro. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio.

I giudici europei hanno confermato la competenza dei giudici italiani in caso di fallimento, in base alla determinazione del luogo in cui si realizzano degli interessi principali che, nel caso in esame si trovavano ancora in Italia e non in Bulgaria.

Il centro degli interessi principali coincide sostanzialmente con il luogo di amministrazione della società. Ciò sulla base di elementi oggettivi riconoscibili da terzi.

In buona sostanza occorre prendere in conto i luoghi in cui la società debitrice esercita l’attività economica, i luoghi in cui detiene i beni, l’esistenza di contratti di gestione finanziaria gestiti in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria.

Dalla valutazione globale degli elementi rilevanti sopra descritti, e’possibile determinare la competenza dei giudici dello stato di origine, superando pertanto la presunzione di competenza dei giudici dello stato membro ove è stata fissata la sede statutaria.

Conseguentemente il trasferimento fittizio della sede legale dall’Italia alla Bulgaria, utilizzato da alcuni, non ha retto all’esame della vicenda processuale sia in Italia, con il pronunciamento della Cassazione sulla base della legislazione nazionale, che per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha chiaramente delineato la giurisdizione applicabile277.

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Conclusioni

Il fenomeno dei gruppi di società pone al diritto penale fallimentare il problema della possibile rilevanza, anche indiretta, degli interessi del gruppo nella valutazione dell’ipotizzabile natura distrattiva di operazioni economiche poste in essere dalle singole società facenti parte del gruppo. Lo svolgimento dell’attività di impresa è diretto al conseguimento dell’oggetto sociale così come descritto nell’atto costitutivo e qualsiasi deviazione da tale scopo, da cui risulti una illegittima lesione al valore della partecipazione sociale o all’integrità del patrimonio, comporta la responsabilità diretta degli amministratori nei confronti della società, dei soci e dei creditori.

Per verificare se sussista o meno un danno rilevante ai sensi dell’art. 2497 c.c., ovvero per determinare se gli amministratori delle controllate, in esecuzione delle direttive della holding, agiscano in maniera contraria o difforme rispetto all’interesse sociale che sono chiamati a perseguire, l’interprete dovrà guardare non già alla singola operazione depauperativa isolatamente considerata, ma sarà tenuto ad estendere la sua analisi al più ampio contesto del gruppo ed alla sua politica economica globale.

La valutazione della dannosità dell’operazione, infatti, avviene non solo sulla base dell’analisi del bilancio della singola controllata, ma tenendo altresì in considerazione le operazioni infragruppo precedenti, contestuali o successive che abbiano pareggiato il conto o comunque riequilibrato l’iniziale perdita. Valutazione che andrà fatta in una prospettiva ex post.

Spostandosi sul fronte penale il quadro normativo muta notevolmente: come già ribadito, il D. Lgs. n. 61 del 2002 muove dai medesimi presupposti che hanno ispirato il legislatore civile.

Tuttavia, il carattere necessariamente frammentario e sussidiario della normativa penalistica porta il legislatore ad utilizzare delle tecniche descrittive del fatto tipico inevitabilmente diverse rispetto a quelle che contraddistinguono le previsioni civilistiche.

Così, la scelta di collegare la responsabilità penale al carattere ingiusto del profitto piuttosto che alla sussistenza di un danno lascia intendere come l’ambito di intervento punitivo sia volutamente più ristretto: non si guarda solo al disvalore di evento, in termini di effettiva lesione al patrimonio, ma anche al particolare modus operandi dell’agente, che deve essere connotato dai crismi dell’infedeltà.

La condotta dell’agente deve essere letta in chiave soggettiva attraverso la ricostruzione delle finalità che hanno spinto l’amministratore a realizzare determinati atti dispositivi, e, quindi, dovrà essere valutata la sussistenza o meno del dolo specifico di ingiusto profitto o di altro vantaggio per sé o per altri: mentre l’art. 2497 c.c. collega la responsabilità civile al pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore delle partecipazioni sociali (tutela dei soci), o alla lesione dell’integrità del

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patrimonio della società (tutela dei creditori sociali), l’art. 2634 c.c. non punisce qualsiasi operazione che abbia cagionato un danno patrimoniale all’ente, ma solo quella che sia stata realizzata dall’amministratore nell’esclusivo interesse proprio o di terzi, mediante una condotta di abuso.

La clausola di esonero prevista dall’art. 2634 , terzo comma, c.c. il cui ambito di operatività si presenta più esteso di quello di cui all’art. 2497 c.c. , ritiene rilevante la compensazione del profitto e non già del danno, anche quando questa sia solo “fondatamente prevedibile”, come nei casi in cui dall’arricchimento del gruppo possa ragionevolmente discendere un vantaggio anche alla società inizialmente impoverita.

Il calcolo assume, allora, natura qualitativa ed il giudizio assolutorio potrà promanare anche a seguito di una mera valutazione prognostica, senza che l’effettivo conseguimento del vantaggio, ovvero il concreto azzeramento del danno, possa minimamente incidere sulla legittimità dell’operazione contestata.

La natura distrattiva del trasferimento patrimoniale infragruppo può naturalmente escludersi allorquando emerga che la finalità che muove l’agente non sia indirizzata a pregiudicare i creditori sociali.

Ai fini dell’esclusione della tipicità della distrazione nelle operazioni patrimoniali e finanziarie infragruppo, assume rilievo dirimente anche l’analisi dell’animus dell’agente.

In ultimo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32131/16 ha precisato che, in tema di bancarotta fraudolenta, qualora il fatto contestato si riferisca a rapporti intercorsi tra società appartenenti al medesimo gruppo, l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società fallita può essere ritenuta legittima in virtù dei vantaggi compensativi solo laddove il saldo finale delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo sia positivo, la cui dimostrazione grava sull’imputato.

In particolare, la Suprema Corte stabilisce che la disposizione di cui all’art. 2634,comma 3, c.c. può trovare applicazione nei soli casi in cui gli autori delle operazioni siano società facenti parte di un “gruppo” ovvero collegate. Pur in assenza di una specifica definizione normativa del “gruppo di società” (e di un’armonica disciplina del fenomeno), la Corte individua l’elemento minimo e caratterizzante di tale struttura nell’attività di direzione e coordinamento, al quale vanno poi a sommarsi le forme pubblicitarie prescritte dall’art. 2497-bis c.c. e rappresenta che per invocare efficacemente la teoria dei cd. vantaggi compensativi l’imputato è tenuto ad indicare gli elementi formali legittimanti l’applicazione delle norme relative alla direzione e coordinamento di società. Nella medesima pronuncia la Corte aggiunge che l’art. 2634, comma 3, c.c. nell’escludere la

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responsabilità penale in caso di vantaggi compensativi ha ampliato l’ambito operativo del concetto di cui all’art. 2497, comma 1, c.c. facendo riferimento ai “vantaggi fondatamente prevedibili”. Tale clausola richiede che i vantaggi compensativi dell’appropriazione e della dissipazione del patrimonio sociale siano concreti e cioè “basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa”.

Nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazioni infragruppo, i vantaggi compensativi possono dunque escludere la rilevanza penale della condotta solo in quanto sia dimostrato uno specifico vantaggio a favore della società “sacrificata”, idoneo a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione, il cui onere dimostrativo grava sull’amministratore imputato.

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