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Il movimento cooperativo in Europa e in Italia

IL CREDITO COOPERATIVO: VERSO UNA STRATEGIA ORIENTATA ALLA SODDISFAZIONE DEL SOCIO

4.1 Il movimento cooperativo in Europa e in Italia

4.2 L’impresa cooperativa e le sue caratteristiche distintive __________________________________________99 4.3 Le specificità del Credito Cooperativo ed il particolare modo di fare banca__________________________104 4.3.1 Il Credito Cooperativo: attualità e storia________________________________________________109 4.3.2 Il socio come particolare tipologia di cliente e i vantaggi derivanti dal suo “status” ______________113 4.3.3 L’organizzazione del Credito Cooperativo: la rete nazionale ed internazionale__________________115 4.4 La Banca di Credito di Montecorvino Rovella come oggetto specifico di indagine: storia, caratteristiche,

contesto e prospettive ___________________________________________________________________ 154

4.1 Il movimento cooperativo in Europa e in Italia

In questo capitolo l’intento specifico è quello di presentare l’oggetto di studio dell’analisi empirica che sarà presentata nel prosieguo della trattazione. L’analisi accurata dell’oggetto di studio è necessaria al fine di giungere ad una generalizzazione del progetto presentato per una particolare tipologia di impresa, ovvero la banca aderente al movimento del Credito Cooperativo. Risulta fondamentale compiere alcuni passaggi: sarà necessario capire cos’è un’impresa cooperativa per poi addentrarsi nelle specificità della cooperativa bancaria. Una disamina compiuta per gradi è certamente opportuna. L’assunto di base è che se si conosce perfettamente l’oggetto di studio e le problematiche connesse ad esso allora sarà certamente più semplice il tentativo empirico e la sua eventuale generalizzazione. Iniziamo dal tema della cooperazione.

L’esperienza cooperativa nasce nella prima metà dell’Ottocento in Europa. In alcuni paesi iniziarono a svilupparsi le prime imprese con modello cooperativo in diversi settori. In Inghilterra, in una cittadina del Lancashire, nacque la prima cooperativa di consumo il 21 dicembre 1844, ad opera di 28 operai (noti come “Pionieri di Rochdale”) allo scopo di migliorare la propria condizione per l’acquisto di generi alimentari. L’intento era quello di difendere il valore reale del salario creando uno “spaccio cooperativo” che avrebbe migliorato le condizioni familiari e sociali dei soci cooperatori. Dal punto di vista storico ed ideologico l’esperienza cooperativa prese le mosse da questo evento, promosso e guidato da Robert Owen, considerato uno dei padri del socialismo. Il principio ispiratore dell’esperienza dei Pionieri era il seguente: lavorare non solo per sé, ma anche per gli altri, risparmiare, guadagnare e accumulare i profitti non per il soddisfacimento dei propri bisogni immediati, ma per quelli della comunità futura. È alla luce di questo principio che venne sancita la regola dell’assegnazione di parte degli utili all’educazione; da cui la creazione di scuole, biblioteche, corsi universitari, centri tecnologici, collegi cooperativi, gabinetti fisici e chimici171.

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La cooperativa di Rochdale segnò una svolta nello scenario dei sistemi assistenziali allora esistenti. Il funzionamento era basato sulla vendita dei prodotti al prezzo di mercato, o al prezzo migliore esistente sul mercato (prezzo non gravato da rendite speculative e monopolistiche). La vendita al mero prezzo di costo, non avrebbe infatti consentito alcuno

Nel contesto europeo l’esperienza di Rochdale rispondeva ad una delle visioni più radicali del cooperativismo, la visione integralista, proposta non solo da Owen, ma anche da Fourier172 e Gide173. Questa visione vede la soluzione cooperativa come la strada da percorrere per creare un sistema sociale giusto e solidale, in opposizione alle logiche capitalistiche e speculative174. Il sistema cooperativo deve intervenire per cambiare radicalmente la società, eliminando il capitalismo e riorientando l’economia sociale verso un modello fondato su giustizia ed equità. Altra visione che ebbe respiro ed influenza internazionale fu la visione liberale democratica di Fauquet, alla quale corrispose in origine l’esperienza francese della cooperativa di produzione e lavoro

Atelier social di Clichè che produceva gli indumenti per la guardia nazionale. Qui i lavoratori si

unirono per garantire a tutti un eguale salario e guadagni equamente distribuiti. La visione liberale vede la cooperazione come una soluzione per riequilibrare il sistema economico, correggendo gli eccessi dovuti all’azione delle imprese capitalistiche attraverso iniezioni di mutualità e solidarietà e supportando gli individui per il superamento dei disagi sociali. Nello stesso periodo prendeva piede anche la visione classista di Marx, che riconosceva alla cooperazione il ruolo di tramite per la difesa degli interessi della classe lavoratrice, senza intaccare tuttavia la struttura del sistema capitalistico.

Queste tre visioni che imperversarono in Europa contribuirono fortemente alla diffusione del movimento cooperativo, facendo nascere le più disparate sperimentazioni cooperative in tutti i settori economici. Per portare ancora qualche esempio di interesse ai fini di questo studio in Germania nacquero le prime banche cooperative nella valle del Reno per facilitare gli investimenti e modernizzare il settore agricolo attraverso l’accesso al credito e alla finanza e la lotta contro l’usura in favore anche di piccoli commercianti e artigiani. L’idea fu sviluppata da Friedrich Wilhelm Raiffeisen nelle aree rurali sulla scia dell’esperienza maturata dalle cooperative tra piccoli imprenditori nelle aree urbane per l’assicurazione contro morte e malattie promossa da Hermann Schulze-Delitzsch. Lo scopo di queste prime banche cooperative fu quello di far accedere al credito artigiani e contadini attraverso la raccolta dei risparmi fra gli stessi. La Danimarca invece fu la culla del cooperativismo nel settore agro-alimentare. Qui si svilupparono imprese cooperative della filiera alimentare quali latterie, caseifici, mulini, salumifici, macelli, secondo strutture che ancora oggi fanno scuola nel mondo della cooperazione.

A proposito di quel che resta oggi delle tre originarie concezioni del cooperativismo diffusesi in Europa si può dire che la visione integralista e quella classista sono state progressivamente

spazio per investire, innovare, ampliare l’attività e crescere. Ciò consentiva alla cooperativa di ricavare un profitto che a fine anno, dopo aver sottratto tutti i costi sostenuti, veniva in parte accantonato per vantaggi collettivi e quel che rimaneva era distribuito fra i soci non in proporzione alle quote possedute da ciascuno, bensì in proporzione agli acquisti che ciascuno aveva fatto presso la cooperativa. Si trattava in sostanza di una restituzione di quel che ognuno aveva pagato in più rispetto al prezzo di costo, cioè di un premio alla ”fedeltà” dimostrata nei confronti della cooperativa.

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Francois Marie Charles Fourier fu un socialista utopista ed un filosofo, apprezzato per la sua satira verso la miseria morale e materiale del mondo borghese. Egli auspicava alla nascita di un modello di comunità, denominato “falange”, in cui il lavoro è vissuto come un ideale e gli interessi dei singoli vengono assimilati agli interessi collettivi dell’intera comunità, retta dal principio dell’aiuto reciproco e del volontariato. Il movimento fourierista riscosse discreto successo anche fuori dai confini francesi, in Algeria, in Spagna, in Russia e soprattutto in America, ove diverse comunità sperimentarono (senza successo) il modello della falange.

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Charles Gide fu un leader francese, economista e storico del pensiero economico, nonché grande sostenitore del movimento cooperativo. Il suo libro “Cooperation et economie sociale”, pubblicato in Francia nel 1904 e tradotto in inglese nel 1921, è considerato un classico nella letteratura sulla cooperazione. Cfr. GIDE C. (1904), Cooperation et

economie sociale, L’Harmattan edizioni. 174

Per una analisi accurata sulle differenti visioni dell’impresa cooperativa si veda VENDITTI M. (1995), Caratteri

economici delle imprese cooperative, Torino, Giappichelli; VELLA M. (2010), Oltre il motivo del profitto, Maggioli

Editore. Quest’ultimo testo è decisamente interessante soprattutto sul piano della ricostruzione del tema della cooperazione in tutti i suoi aspetti ed è in grado di mostrare come la cooperazione non riguarda semplicemente la sfera del sociale, come molti pensano, bensì anche e soprattutto quella economica. La differenza sta nel modo in cui la cooperativa interviene nella sfera economica: mentre nell’impresa capitalistica il capitale controlla il lavoro (e gli altri stakeholder), nella cooperativa è il lavoro (e gli altri stakeholder) a controllare il capitale. Il testo è utile a chiarire molti dubbi sulla natura delle imprese cooperative e sulla loro storia, anche in termini normativi.

abbandonate perché decisamente utopistiche mentre la visione liberale-democratica conserva ancora la sua attualità ed è sostenuta anche in Italia, anche se il nostro paese conserva nella molteplicità delle sue visioni sul cooperativismo elementi tipici della sua cultura e tradizione, specialmente di matrice religiosa. Infatti volendo entrare nello specifico delle visioni italiane sul movimento cooperativo si possono nominare:

- la visione liberale mazziniana, che si colloca sulla scia della visione integralista in ambito europeo e ha trovato esponenti non soltanto nella figura di Mazzini, ma anche in Viganò, Luzzatti, Rabbeno, Pareto, Basevi, Ranieri, Pantaloni, Buffoli175. Essi pensavano alla possibilità di una gestione democratica dell’impresa. Mazzini in particolare sosteneva che capitale e lavoro sarebbero dovuti appartenere allo stesso soggetto, ovvero al lavoratore (“capitale e lavoro nelle stesse mani”) per sviluppare una società che cresce seguendo il principio della equa distribuzione della ricchezza;

- la visione socialista, sostenuta fra gli altri da Costa, Prampolini, Massarenti, Baldini, che si colloca sulla scia della visione classista in ambito europeo. Questa visione sosteneva l’idea che la cooperativa poteva intervenire a sconfiggere la borghesia e pertanto rappresentava un ottimo strumento per la diffusione degli ideali socialisti;

- la visione cattolica, sviluppatasi inizialmente ad opera di Toniolo176 e animata successivamente da pensatori quali Sturzo177 e Chiri (fondatore di Confcooperative), che ebbe grande influenza soprattutto nello sviluppo delle esperienze cooperative nel settore del credito, alimentata dalle encicliche papali che diffusero i principi della dottrina sociale della chiesa. Ad aprire la stagione della cooperazione di ispirazione cattolica fu l’impatto della prima enciclica sociale di Leone XIII, la Rerum Novarum, nel 1891178. Il primo campo di applicazione fu proprio quello del credito, con il grande successo delle casse rurali179 e a seguire anche di esperienze della filiera alimentare come latterie e cantine sociali, e poi affittanze collettive e cooperative di consumo. Storicamente la prima esperienza cooperativa in Italia si fa risalire al 1853, anno in cui l’Associazione generale degli operai di Torino aprì un primo “magazzino di previdenza”, uno spaccio alimentare per la vendita dei generi di prima necessità. A seguire molteplici esperienze tra cui nominiamo la nascita della prima società di mutuo soccorso dei tipografi, costituitasi a Modena nel 1855. Negli anni ’60 e ’70 nacquero le prime cooperative di produzione e lavoro, sulla scia dell’esempio fornito dall’Associazione artistico-vetraria di Altare, in provincia di Savona, nata per

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Luzzatti, insieme a Leone Wollemborg, fu uno dei principali studiosi della cooperativa per la gestione del credito; Rabbeno approfondì lo studio dell’associazionismo cooperativo; Buffoli fu un convinto sostenitore dell’indipendenza della cooperazione dalla politica e dalla religione; Ranieri fu sostenitore dell’associazionismo cooperativo e consortile in agricoltura; Basevi si preoccupò dell’inserimento della cooperazione nel contesto legislativo nazionale; Pantaloni fu il primo a trattare il tema della cooperazione sotto il profilo economico-aziendale nei suoi “Erotemi di economia” del lontano 1898.

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Giuseppe Toniolo (1845 – 1918) fu economista di fama internazionale. Fondò L’Unione Cattolica per gli Studi Sociali nel 1889. Lo studioso riteneva che il cattolicesimo potesse competere efficacemente con le più moderne ideologie sociali.

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Don Luigi Sturzo (1871 – 1959), prete di Caltagirone, compì un’intensa opera di azione sociale, passando a concretizzare la dottrina sociale attraverso la fondazione di una Cassa Rurale.

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L’enciclica aprì per la Chiesa la strada della riflessione in merito al rapporto tra capitale e lavoro. Il periodo storico in particolare imponeva una disamina della condizione operaia: l’ambiente lavorativo riduceva l’operaio a semplice strumento di produzione senza che emergesse la dignità della persona. In questo contesto i vecchi strumenti di solidarietà non potevano risolvere i nuovi problemi sociali. La Rerum Novarum diede una grossa scossa per far emergere nuove soluzioni e far nascere una attenta ed approfondita riflessione. Il papa portò l’attenzione in particolare sulla dignità dell’individuo, sul suo essere uomo con valori, speranze e famiglia e non semplicemente fattore di produzione. Soltanto attraverso l’instaurazione di un rapporto nuovo, fatto di cooperazione, tra imprenditore e lavoratore può emergere la dignità della persona e può essere intrapresa la strada del cambiamento, supportata da una nuova morale dell’economia e del lavoro e dalla costituzione di leggi e collegamenti tra lo Stato e gli operai.

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Le Casse Rurali non rappresentano un mero esempio di fraternità cristiana, bensì un impulso all’educazione e al risparmio finalizzato a favorire l’acquisizione del diritto di proprietà e allo sviluppo dell’associazionismo cattolico, secondo un modello che si contrappone a quello delle allora nascenti organizzazioni operaie socialiste. Cfr., LEONE XIII, Rerum Novarum, Lettera enciclica del 15 maggio 1891, nn. 35 e 42-43.

la difesa del lavoro e del mestiere artigiano in particolare. L’Italia ha conosciuto poi esperienze cooperative nel settore agro-alimentare, come forma di garanzia ed “autoassicurazione” tra i partecipanti, ma si sono successivamente sviluppate cooperative anche in molti altri settori, quali il settore socio-assistenziale, del credito (con le casse rurali), dei servizi, dell’immobiliare, le cooperative di lavoro e della distribuzione commerciale.

Nel primo quindicennio del XX secolo la cooperazione fiorì assieme all’economia italiana: dalle quasi duemila cooperative del 1902 si passò alle oltre settemila del 1914, senza contare alcune migliaia di banche popolari e casse rurali, con circa due milioni di soci. Tra il 1904 e il 1911, inoltre, vennero approvate leggi molto importanti che permisero la formazione di consorzi fra cooperative allo scopo di concorrere ad appalti di opere pubbliche. Fino all’avvento del fascismo la cooperazione visse un periodo d’oro in Italia.

Con il fascismo ed il secondo dopoguerra la cooperazione subì però un lungo periodo di "congelamento". I principi ed i valori della cooperazione rimasero latenti per riemergere al termine del secondo conflitto mondiale. Caduto il fascismo le cooperative cominciarono a riappropriarsi della loro autonomia, fiorirono nuove imprese cooperative nei settori della produzione e del consumo.

Sull’onda del progresso economico negli anni Cinquanta e Sessanta la cooperazione iniziò godere di un forte sviluppo dimensionale e qualitativo attraverso aziende sensibilmente più moderne e strutturate. La cooperazione maturò una cultura imprenditoriale e una consapevolezza delle proprie possibilità che la spinsero a confrontarsi proficuamente con il mercato.

A partire dagli anni Settanta si aprì un periodo di rinnovamento economico e produttivo. Il contesto economico, divenuto ormai sempre più globalizzato e competitivo, spinse il mondo cooperativo a studiare la propria risposta a cambiamenti sempre più rapidi e profondi: in un periodo di lenta ripresa dell’economia la cooperativa si dimostra capace di creare lavoro e nuovi servizi, di difendere produzione e capacità reale d’acquisto dei consumatori, di tutelare la qualità dei consumi e dell’ambiente.

L’ennesima svolta si ebbe alla fine degli anni Ottanta, quando la crescita rallentata della popolazione, il suo progressivo invecchiamento, la disoccupazione femminile fanno barcollare il sistema di welfare state, che non è in grado, con gli strumenti di cui dispone, di affrontare il nuovo contesto sociale. Emersero nuovi bisogni sociali che l’organismo pubblico non riusciva a soddisfare. In questa realtà la cooperazione sociale fornì un forte contributo al fianco dell'autorità pubblica. La cooperazione, durante gli anni Settanta e Ottanta, è stata in grado di conseguire la maturità per svolgere nel Paese una funzione importante come strumento sociale, economico e produttivo, capace di aggregare interessi di molte categorie, facendole partecipi della conquista di sbocchi occupazionali e produttivi nel loro interesse e in quello della crescita generale del Paese.

Negli Novanta lo Stato perde il ruolo di protagonista nel quadro delle politiche e delle azioni di sviluppo del welfare state e la cooperazione sociale svolge sempre più un ruolo da protagonista, impegnandosi a fornire servizi alla persona e opportunità di inserimento lavorativo, spesso in modo più efficiente rispetto all’Ente Pubblico.

Attualmente il nostro paese continua a collocarsi fra i paesi in cui l’esperienza cooperativa è più diffusa. Il fenomeno cooperativo resta radicato nel settore primario in quanto la produzione e trasformazione delle derrate agro-alimentari richiede bassi livelli di capitalizzazione. Nel settore manifatturiero le cooperative si ritrovano nei settori ad alta intensità di manodopera specializzata (es. ceramico, metalmeccanico). Nel settore dei servizi permangono esempi nel credito, nella distribuzione commerciale, nel comparto assicurativo, dei trasporti, delle attività immobiliari, nell’educazione, nelle attività dell’arte e della cultura, in ambito socio-sanitario ed assistenziale. La presenza delle cooperative è oggi una concreta alternativa al business tradizionale in molti settori dell’economia. Per avere un’idea della portata del fenomeno cooperativo in termini di fatturato realizzato, occupazione prodotta e soci, si propone una sintesi di dati riferiti al 2005.

Tavola 37 Le cooperative per settore in relazione al loro numero, ai soci, al fatturato

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