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Il prestigio nazionale

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 139-142)

L’ANALISI DELL’OPPRESSIONE

4.2 L’oppressione statale

4.2.4 Il prestigio nazionale

Attraverso l’analisi attenta dello scenario politico a ridosso del secondo conflitto mondiale, Weil comprende che l’agitazione bellica cresceva grazie all’influenza di potenti idee astratte come quella di prestigio nazionale.

Il tema del prestigio nazionale viene scandagliato da Simone Weil in Ne recommençons pas la guerre de Troie (1937). Questo saggio sulla guerra di Troia si presenta come una meditazione sull’incommensurabilità tra forza, violenza e guerra da un lato, e gli scopi che vi attribuiscono i loro artefici dall’altro.

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Nell’articolo la metafora del prestigio nazionale è rappresentata da Elena, che simboleggia la posta indefinibile e inesistente della guerra: il prestigio. Lottare senza un obiettivo significa per Simone Weil lottare senza misura, proporzione o equilibrio. L’unico criterio per determinare l’importanza di un conflitto diventa, quindi, il suo costo.

L’idea del prestigio nazionale è alimentata da ogni parola che riesce a chiamare a raccolta le passioni collettive e a far versare sangue senza che nessuno capisca a cosa la parola corrisponda. Weil annovera in questo lessico parole come “nazione”, “ordine”, “democrazia”, “comunismo”, “dittatura”, che si assumono come assolute, prive di significato ed indipendenti da ogni modo di agire, e che necessitano di essere chiarificate274.

Termini come “democrazia” e “dittatura” per Simone Weil non hanno sostanza in quanto non esistono in assoluto. Un meccanismo sociale può essere definito, infatti, solo in base ai rapporti tra le sue parti e alle condizioni in cui opera, e questi rapporti e condizioni sono sempre in mutamento. La stessa distinzione tra fascismo tedesco e comunismo russo è “senza sostanza”, perché nella pratica sono entrambi statalismi portati a un militarismo estremo, a una forzata unità di pensiero e al dominio di un partito unico. Dietro queste “parole fantasma” si cela un potere detenuto sempre in maniera più o meno arbitraria e che si ammanta del prestigio per fomentare l’illusione che sia assoluto.

Tenere in piedi questa facciata è costoso e assurdo, soprattutto nelle relazioni internazionali, dove interi sistemi di prestigio entrano in competizione. Weil afferma, infatti, che nessuna nazione può permettersi di mostrare che desidera la pace, perché darebbe un’impressione di debolezza stimolando così l’aggressività del suo vicino.

Depuis qu’il y a des nations, on parle de prestige national. On en parle beaucoup aujourd’hui, dans tous les milieux. Une humiliation nationale est – paraît-il – quelque chose de très grave, et quand elle est trop forte, on ne peut la laver que par la guerre. On lira peut-être un de ces dimanches de grands en-tête: «Hier, Hitler a occupé militairement le Tanganyika». Personne de nous ne sait où cela se trouve, mais il y aurait humiliation nationale, et peut- être le pays envisagerait-il la guerre pour un pareil motif275

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Un disarmo universale, spiega Weil, segnerebbe la fine del gioco, ma si tratta di una soluzione utopica perché alla base dei meccanismi politici vige una pesante

274 Weil S., Écrits historiques et politiques, II, 3, cit., pp. 51-54. 275

contraddizione: ogni società, per essere in equilibrio, da un lato ha bisogno di un’ordinata distribuzione del potere, dall’altro, però, proprio questo potere si nutre di un prestigio che non ammette limiti276.

Uno degli effetti che il prestigio porta con sé è il pervertimento psicologico che la Francia subisce nei mesi che precedono Monaco. L’aspetto dominante di questo periodo è la dissoluzione della vita privata di ognuno nella vita pubblica, cosa che avviene non per un slancio rivoluzionario ma per le dure condizioni di vita che impediscono di trovare nella realtà quotidiana risorse morali indipendenti dalla situazione politica e sociale. La Francia perdeva a poco a poco le illusioni di sicurezza in cui si era cullata fino a quel momento e le andava sostituendo con una paura generalizzata della guerra.

Il maggiore effetto di Monaco – denuncia Weil – era che la guerra, che pure non c’era, sembrava un fatto, mentre la pace, che pure continuava, non lo sembrava più. In poche parole, il segno distintivo della crisi d’anteguerra era la paralisi mentale.

La nonviolenza come politica governativa in risposta alla guerra non era più sufficiente. Weil propone, perciò, una completa trasformazione del metodo militare, sulla scia della proposta sindacale di un completo decentramento della vita politica, economica e sociale della Francia. Anche la resistenza armata avrebbe dovuto decentrarsi, e scatenare una guerriglia che bersagliasse di attacchi i tedeschi e li demoralizzasse, che tagliasse le comunicazioni e ottenesse vittorie piccole ma psicologicamente importanti.

Pur riconoscendo che la Francia era probabilmente troppo indebolita spiritualmente per compiere uno sforzo di questo genere, Weil auspica che il suo paese si metti alla prova, agisca coerentemente con la propria tradizione libertaria e favorisca l’indipendenza delle sue colonie277.

Nella primavera-estate del 1939 la paralisi mentale che Weil indica come “l’eredità di Monaco” raggiunge le dimensioni di un’ossessione collettiva. Spinta dalla previsione di una guerra imminente, la filosofa raccoglie le idee che stava sviluppando dopo l’esperienza in Spagna nelle Réflexions en vue d’un bilan (1939),

276 Ivi, pp. 63-65.

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Ivi, p. 65. Questa argomentazione, pur rivelandosi profetica, giunge troppo tardi per ricev ere sufficiente attenzione. I francesi sono troppo preoccupati per la salvezza della loro nazione per darsi la pena di rivedere la politica coloniale e arrivano a riflettere su questi temi solo anni p iù tard i, nel 1940, nel 1954 e nel 1962.

saggio in cui denuncia la situazione disperata in cui versa l’Europa dinanzi alla minaccia della Germania.

Con il suo statalismo la Germania si arrogava il diritto sovrannaturale a colonizzare altri popoli ed era chiaro ormai che l’obiettivo di Hitler di dominare il mondo non era più follia.

Nella Germania nazista Weil vede ripresentarsi l’esempio di Roma, con la sua distruzione di Cartagine e il soffocamento della Grecia. Le democrazie europee erano state ridotte a perseguire l’obiettivo più elementare di ogni guerra, la sopravvivenza. Con Hitler trionfante e la Francia prostata davanti a lui, Weil cerca di incitare i suo i lettori a una controffensiva invocando il naturale amore degli uomini per la libertà.

Rendendosi disponibile alla guerra, la Francia si era trasformata in un simulacro dei suoi nemici: «Mancano alcuni tratti specifici del fascismo (il partito unico, la violenza fisica nelle piazze) ma l’atmosfera non differisce più molto da quella dell’Italia»278: a chiunque facesse discorsi che ferivano il morale della nazione potevano, infatti, essere comminati dieci anni di prigione, si stavano istituendo tribunali militari, e i prefetti governativi potevano internare nei campi i sospettati di crimini politici279. Dal punto di vista psicologico e politico la vera guerra, quella contro lo statalismo, è per Simone Weil già perduta.

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 139-142)