ANALISI E RICOSTRUZIONE DEL REALISMO POLITICO
3.1 La genesi della categoria della forza
3.1.6 Réflexions en vue d’un bilan (1939)
L’analisi del paradigma della forza prosegue nelle Réflexions en vue d’un bilan del 1939, in cui Weil attinge sorprendentemente al paradigma del realismo politico esposto da Tucidide ne La guerra del Peloponneso del V secolo a.C. per dimostrare come la forza costituisca una “regolarità” della politica, un fatto che si è imposto nel tempo e che, a suo avviso, si continuerà ad imporre. Era stato Tucidide, infatti, a rendersi conto studiando la guerra del Peloponneso che la forza costituisce un dato storico ineliminabile, destinato ad imporsi all’infinito secondo il processo della reversibilità delle parti.
162 Così Simone Weil defin isce la libertà ne La prima radice: «Un nutrimento indispensabile all’anima
umana è la libertà. La libertà, nel senso concreto della parola, consiste nella possibilità di scelta. Si tratta, beninteso, di una possibilità reale. Ovunque c’è vita co mune, è inevitabi le che regole imposte dall’utilità comune limitino la scelta. Ma la libertà non è più o meno grande a seconda che i limiti siano più o meno ampi. Giunge alla sua pienezza in condizioni meno facili da misurare» [Weil S.,
L’enracinement. Prélude à une déclaration des devoirs envers l’être humain, Éditions Gallimard,
Così, in una pagina delle sue Réflexions en vue d’un bilan del 1939, al fine di comprendere le dinamiche politiche di quell’anno in cui, ricordiamo, le truppe tedesche invadono il territorio cecoslovacco, Weil riprende il famoso dialogo di Tucidide e lo riassume nel testo dell’articolo, preceduto da una breve ma eloquentissima spiegazione. Ecco quanto scrive la filosofa francese:
La brama di dominio, anche universale, è una follia solo se le possibilità di dominio mancano; chi vede aprirsi davanti a sé la strada verso il dominio non si trattiene dall’avanzare, anche se deve mettere in gioco la sua esistenza e quella del suo paese, sia che si tratti di un santo o di un uomo di piccola levatura. Se procede, anche se calpesta, per passare, la morale, gli impegni da lui assunti e tutto quanto merita rispetto, non si ha il diritto di concludere che è un barbaro, un pazzo o un mostro. Gli ateniesi, questi creatori di tutta la nostra civiltà occidentale, dissero alle persone di una piccola isola sfortunata che invocavano l’aiuto degli dei contro la loro aggressione ingiusta: «Noi abbiamo nei confronti degli dei la credenza, e nei confronti degli uomini la conoscenza certa, che sempre, per una necessità assoluta della natura, ognuno comanda ovunque ne ha il potere». Dissero loro anche: «Voi sapete come noi in quale modo è fatto l’animo umano: ciò che è giusto è preso in considerazione solo se vi è una eguale necessità da una parte e dall’altra; se c’è un forte e un debole, ciò che è possibile è compiuto da uno e accettato dall’altro». Queste frasi, veramente mirabili per la loro chiarezza, erano così lontane dall’essere solo battute che gli ateniesi uccisero nella piccola isola tutti gli uomini in età da portare le armi e vendettero tutti gli altri come schiavi163
.
In questo passo, di chiaro taglio realista, la morale viene descritta come appartenente ad una sfera del tutto estranea alle dinamiche politiche, contraddistinte dall’onnipresenza della forza e dal ferreo impulso a dominare iscritto in qualsiasi assetto sociale164. È per questo motivo che chiunque veda aprirsi davanti a sé la strada verso il dominio, se nell’avanzata fosse costretto a calpestare persino la morale, non è per questo motivo da considerarsi un barbaro, un pazzo o un mostro, ma semplicemente un elemento di cui la forza si serve.
Weil prosegue la sua trattazione mettendo in guardia il lettore contro il principio dell’«equilibrio europeo» che, rispondendo al meccanismo tucidideo della reversibilità delle parti, impone ad ogni Stato di essere sempre più forte rispetto a quello nemico. Già in un articolo pubblicato l’anno prima su «Feuilles libres de la
163 Weil S., Riflessioni in vista di un bilancio, in Sulla guerra, cit., p. 103.
164 Rimando in partico lare al principio del cap itolo XVIII del Principe, dedicato al conflitto tra legge
morale e necessità politica: «Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e v ivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede, per es perien za ne’ nostri tempi, quelli principi avere fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli delli uomini; et alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà» [Machiavelli N., Il principe, cit., p. 85].
Quinzaine» e intitolato L’Europa in guerra per la Cecoslovacchia? Weil aveva mostrato come sotto la maschera del principio dell’equilibrio europeo si nascondesse in realtà un principio di guerra che, se non un evento bellicoso nell’immediato, implica comunque una crescente militarizzazione della vita civile. Ecco quanto Weil esprime efficacemente nell’articolo apparso il 25 maggio del 1938 su «Feuilles libres de la Quinzaine»:
Il grande principio dell’«equilibrio europeo» è, un principio di guerra. In base a tale principio, un paese si sente privo di sicurezza, posto in una situazione intollerabile quando è il più debole rispetto a un possibile avversario. Ora, poiché non esiste una bilancia per misurare la forza degli Stati, un paese o un blocco di paesi ha un solo mezzo per non essere il più debole: essere il più forte165.
L’unico modo che uno Stato ha per impedire che l’altro eserciti la sua egemonia è, perciò, esercitare ulteriormente la propria egemonia. Nelle Réflexions en vue d’un bilan Weil riprende con cura questo tema, descrivendo il principio dell’equilibrio europeo come il principio di un circolo vizioso, di un processo ad infinitum166 che trova nella crescita della potenza di uno Stato la sua naturale ragion d’essere.
Come Weil spiega nel corso del suo articolo, è sempre l’accrescime nto di potere da parte di uno Stato ad innescare naturalmente nuove guerre, alimentando il sottofondo conflittuale entro cui si giocano le relazioni politiche. Ancora una volta, il riferimento di Weil è a Tucidide che, nel tentativo di ricostruire l’eziolo gia della kinesis che aveva sconvolto il mondo greco, scrive:
La motivazione più profonda [della guerra], sebbene anche la più inconfessata, io credo fosse un’altra: la crescita della potenza ateniese ed il timore che ormai incuteva agli Spartani resero inevitabile il conflitto167.
In tal senso la guerra è generata da un sistema in cui gli Stati sono sensibili alle minacce alla sicurezza derivanti dalla crescita non uniforme di altri Stati. Ne consegue uno stato perenne di guerra – «forma specifica della lotta per la potenza quando sono in competizione gli Stati»168 – la cui gravità non è data dalla sua
165
Weil S., L’Europa in guerra per la Cecoslovacchia? in Sulla guerra, cit., p. 77.
166 Cfr. Weil S., Lettera a G. Bergery, in Sulla guerra, cit., p. 90. Sul principio dell’equilibrio europeo
cfr. Morgenthau H., Politics among nations, cit., pp. 261-274.
167 Tucidide, La guerra del Peloponneso, cit., p. 31. 168
ineliminabilità dalle dinamiche politico-sociali, ma dal fatto che non ci sia un obiettivo definibile.
Nelle Réflexions en vue d’un bilan, riprendendo quanto aveva già scritto nel ’37 in Ne recommençons pas la guerre de Troie, Weil sottolinea come oggi l’unico but de guerre di uno Stato sia la garanzia della sua stessa esistenza. Ciò costituisce per la filosofa un fatto politico molto grave in quanto, per uno Stato che abbia assunto la sua esistenza come obiettivo primario, la vittoria coincide con la garanzia della sua sicurezza ed implica la soppressione automatica del pericolo che l’ha costretta alla guerra, pericolo che è a sua volta un’altra nazione o molteplici nazioni169.
Weil spiega come, stando così le cose, anche la negoziazione, strumento un tempo utilizzato per evitare gli scontri bellici o ridurne gli effetti, perde il suo valore. La più piccola concessione comporterebbe, infatti, una perdita di prestigio per lo Stato che l’ha acconsentita e, con questo, una diminuzione delle possibilità di difendere la propria esistenza170.
Le Réflexions en vue d’un bilan dipingono a tinte forti l’arena politica come un regime di guerra costretto ad auto-divorarsi continuamente, in quanto qualsiasi conquista, qualsiasi possibile rivolta deve appoggiarsi, dopo il successo, sugli elementi che l’hanno combattuta ed eliminare quelli che l’hanno favorita. Secondo Simone Weil non è possibile eliminare il pericolo della guerra finché si mantiene vivo il prestigio, l’essenza della forza.
Dal momento in cui si verifica una situazione come questa, non si potrebbe rimproverare ai governanti la loro preoccupazione di prestigio; perché il prestigio è in realtà una forza, è forse in ultima analisi l’essenza della forza; e una grande nazione che avesse fatto tutte le concessioni possibili, al punto da non avere altro che la propria esistenza da difendere, sarebbe
probabilmente divenuta per questo motivo incapace di difendersi171.
Ogni Stato ha un bisogno di prestigio così vitale e così imperioso, che costantemente è indotto ad acquisire livelli più alti di potenza, tali da consentirgli di imporre la propria volontà sugli Stati nemici. Nell’attuazione di questi meccanismi Weil non manca di rimarcare il ruolo non indifferente esercitato dalla paura, “istinto principale” che cospira a creare la razionalità, pragmatica e amorale, dell’azione
169 Weil S., Riflessioni in vista di un bilancio, in Sulla guerra, cit., p. 100. 170 Ivi, p. 99.
171
politica e che cerca di preservare l’integrità statale ad ogni costo. Se la posta in gioco nell’arena politica è, infatti, la lotta per la sopravvivenza, la paura è la sua emozione fondamentale, in quanto sentimento indispensabile alla sopravvivenza e al fragile equilibrio su cui ogni ordine politico si fonda172.