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Ne recommençons pas la guerre de Troie (1937)

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 84-90)

ANALISI E RICOSTRUZIONE DEL REALISMO POLITICO

3.1 La genesi della categoria della forza

3.1.3 Ne recommençons pas la guerre de Troie (1937)

Weil riprende e approfondisce le intuizioni presentate in Méditations sur un cadavre sul solido legame tra forza e immaginazione in un altro saggio dello stesso anno, Ne recommençons pas la guerre de Troie (1937).

L’articolo, composto nelle prime due settimane dell’aprile del ’37, viene pubblicato immediatamente nei Nouveaux Cahiers, la rivista di Auguste Detoeuf, Boris Souvarine e Guillaume de Tarde, alla quale Weil collabora non solo con contributi scritti, ma anche partecipando assiduamente alle commissioni di studio sui temi del lavoro, della disoccupazione, del sindacato, della riforma dell’insegnamento, dell’educazione operaia e del pacifismo138.

In Ne recommençons pas la guerre de Troie è evidente il richiamo di Weil al dramma in due atti di Jean Giraudoux139, La guerre de Troie n’aura pas lieu, messo in scena il 21 novembre 1935 al teatro Athénée di Parigi. L’opera teatrale di Giraudoux denunciava il cinismo e le manipolazioni compiute dai politici sullo sfondo della minaccia che pesava sulle relazioni franco-tedesche degli anni ’30, in un contesto storico segnato dalla salita al potere di Hitler e dalla rivalità tra Francia e Germania.

Prendendo spunto dall’opera di Giraudoux, in Ne recommençons pas la guerre de Troie Weil dimostra come la pericolosità degli eventi bellici – espressioni dirette del giogo della forza – non derivi soltanto dagli strumenti di distruzione fornitici dalla tecnica, quanto soprattutto dal loro “fondo immaginario”, poiché la maggior parte delle guerre non ha un obiettivo ben definibile.

Ciò, agli occhi della filosofa, non fa che rendere i conflitti ancora più minacciosi perché, se in presenza di un obiettivo di guerra ognuno può valutare i costi probabili della lotta e decidere fino a che punto varrà la pena sforzarsi o trovare un

dal 13 marzo al 10 aprile 1938. È Capo del Governo provvisorio della Repubblica francese dal 16 dicembre 1946 al 22 gennaio 1947. A l ritorno dal fronte spagnolo (25 settembre 1936), Weil appoggia la politica di Blu m, in particolare sostenendo le iniziative in favore della Spagna repubblicana, pur rimanendo contraria – per il rischio di una guerra internazionale – ad un intervento armato della Francia.

138 L’obiettivo del gruppo di Detoeuf, attivo dal 1937 al 1940, è operare un risanamento politico ed

economico della società francese attraverso la diffusione di un pensiero critico e libero in grado di sostituirsi a solu zioni vio lente e reazionarie, direzione intellettuale, questa, che non può non trovare il naturale appoggio di Simone Weil.

139 Weil prova ammirazione e simpatia per le opere di Giraudou x. Su l rapporto tra Weil e lo scrittore

francese si veda la lettera di Weil a Giraudoux tra la fine del 1939 e gli in izi del 1940, in cu i Weil esprime profondo disaccordo nei confronti della visione della questione coloniale dello scrittore.

compromesso, quando una lotta non ha obiettivo, non c’è alcun confronto possibile, né tanto meno si può pensare a un compromesso. L’importanza della battaglia si misura allora unicamente in base ai sacrifici che essa esige. Sacrifici che richiedono continuamente nuovi sacrifici, senza alcuna ragione di cessare di uccidere e di morire, se non perché le forze umane sono comunque limitate140. Secondo Weil questo paradosso, talmente violento da sfuggire ad ogni tentativo di spiegazione, trova la sua manifestazione più palese nella guerra di Troia, alla quale la pensatrice francese si riferisce in questi termini:

Un tempo, greci e troiani si massacrarono tra loro per dieci anni a causa di Elena. Nessuno di loro, tranne l’amante guerriero Paride, teneva minimamente a Elena; tutti erano d’accordo nel rammaricarsi che fosse mai nata. C’era una sproporzione così evidente tra la sua persona e quella gigantesca battaglia, che, agli occhi di tutti, Elena costituiva semplicemente il simbolo del vero obiettivo; ma il vero obiettivo, nessuno lo definiva e non poteva essere definito perché non esisteva. E così non lo si poteva misurare. Se ne immaginava semplicemente l’importanza dalle uccisioni compiute e dai massacri attesi. Quindi questa importanza superava qualunque limite potesse essere indicato. Ettore presentiva che la sua città sarebbe stata distrutta, che suo padre e i suoi fratelli sarebbero stati massacrati, e che sua moglie sarebbe stata degradata da una schiavitù peggiore della morte; Achille sapeva di abbandonare suo padre alle miserie e alle umiliazioni di una vecchiaia indifesa; la gente in massa sapeva che le sue case sarebbero state distrutte da una così lunga attesa; nessuno riteneva che questo fosse un prezzo troppo alto, perché tutti perseguivano un niente, il cui valore si misurava unicamente con il prezzo da pagare. Per spingere gli uomini verso le catastrofi più assurde, non c’è bisogno né di dei né di congiure segrete. La natura umana basta141

.

La nozione di forza investe, dunque, il concetto di limite. L’obiettivo di uno scontro bellico, infatti, non può essere misurato, la sua portata supera qualunque livello possa essere indicato. Secondo Simone Weil ciò è dovuto al fatto che all’origine delle guerre si annidi il desiderio dell’uomo di possedere l’illimitato, desiderio che, naturalmente, incontra l’opposizione degli altri individui che nutrono lo stesso desiderio. Come scrive nei Quaderni:

Io ho diritto ad impossessarmi di tutto, mentre gli altri mi ostacolano. Allora devo impugnare le armi per rimuovere l’ostacolo142

.

140 Weil S., Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit., pp. 55-56. 141 Ivi, p. 56-57.

142

Questo passo è straordinariamente vicino alle idee esposte da Machiavelli nei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio (1531) e costituisce un’ulteriore prova dell’adesione di Weil al realismo politico. Come scrive Machiavelli:

La natura ha creati gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa e non possono conseguire ogni cosa; talché, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione d’esso. Da questo nasce il variare della fortuna loro, perché disiderando gli uomini parte di avere più, parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alle inimicizie e alla guerra143.

Sendo, oltra di questo, gli appetiti umani insaziabili perché, avendo dalla natura di potere e volere desiderare ogni cosa e dalla fortuna di potere conseguitarne poche, ne risulta continuamente una mala contentezza nelle menti umane e uno fastidio delle cose che si posseggono144.

All’unisono con la posizione machiavelliana, Weil intende la guerra come il prodotto naturale di un desiderio illimitato destinato a scontrarsi con il limite costituito dal desiderio di potenza dell’altro e dal potere effettivo che è possibile conquistare. Qui si annida gran parte del carattere irreale di tutti i conflitti che Weil denuncia in Ne recommençons pas la guerre de Troie ricorrendo all’espediente storiografico della battaglia troiana. La guerra di Troia ha visto Greci e Troiani massacrarsi per dieci anni attorno al «simbolo» di un obiettivo inesistente, analogo alla posta in gioco dei conflitti emergenti.

Quando si fa la guerra è per conservare o per accrescere i mezzi utili per farla. Tutta la politica internazionale ruota attorno a questo circolo vizioso. […] Una nazione che si rispetti è pronta a tutto, ivi compresa la guerra, piuttosto di un’eventuale rinuncia a farla. Ma perché bisogna poter fare la guerra? Non lo si sa145

.

Gli scontri che animano la realtà politica attuale sono, a parere di Weil, ancora più immaginari e fittizi della battaglia di Troia. Mentre quest’ultima, infatti, si gioca attorno ad un motivo dalle sembianze concrete, una donna appunto, dietro ai conflitti attuali si nascondono «parole con la minuscola»146 .

Rientrano in questa espressione-valigia tutti quei termini che, nel momento in cui vengono elevati al rango di ideali e, quindi, assolutizzati, danno vita a dottrine prive di significato. Parole come “comunismo”, “fascismo”, “ordine”, “autorità”,

143 Machiavelli N., Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1531), cit., pp. 139-140. 144 Ivi, p. 291.

145 Weil S., Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit., p. 60. 146

“proprietà”, “democrazia”, “nazione”, “capitalismo”, “sicurezza”, vengono messe al vaglio da Weil ed etichettate come «astrazioni impossibili da definire»147.

Queste formule astratte – spiega la pensatrice francese – nel corso della storia si sono incarnate nelle reali strutture che detengono il potere. A Troia, per esempio, dietro il fantasma di Elena, c’era l’esercito greco. Analogamente, dietro le altre «entità avide di sangue umano»148 troviamo gli Stati, che muovono le fila della macchina del potere tramite i loro uffici, le prigioni, gli arsenali, le caserme e le dogane.

Secondo Simone Weil questo meccanismo è la dimostrazione che il cuore del potere è l’illusione e, in particolar modo, il prestigio. È proprio da quest’ultimo che deriva la natura altamente instabile e contraddittoria del potere. Instabile perché il prestigio non ammette limiti e, al tempo stesso, ogni tentativo di accrescere la propria reputazione da parte di uno Stato corrisponde ad un attentato al prestigio altrui. Come scrive Weil in Non ricominciamo la guerra di Troia:

Ogni potere è fragile nella sua essenza; deve dunque difendersi, altrimenti come potrebbe esserci un minimo di stabilità nella vita sociale? […] La contraddizione essenziale della società umana è che ogni situazione sociale si basa su un equilibrio di forze, un equilibrio di pressione analogo a quello dei fluidi; ma il prestigio non raggiunge l’equilibrio, il prestigio non ammette limiti, ogni soddisfazione di prestigio è un attentato al prestigio o alla dignità altrui. Ora, il prestigio è inseparabile dal potere. Sembra di trovarsi di fronte a un vicolo cieco da cui l’umanità potrebbe uscire solo per miracolo. Ma la vita umana è fatta di miracoli149.

L’importanza accordata al prestigio in politica costituisce un carattere che Weil condivide con il realismo politico contemporaneo e, in particolare, con il politologo tedesco Hans Morgenthau che, in Politics among Nations (1948), definisce il prestigio come una “reazione psicologica” fra ineguali derivante dall’aspettativa di benefici e dalla paura di possibili svantaggi. Le minacce, gli ordini, la persuasione o il carisma costituiscono per Morgenthau come per Weil tutte emanazioni del prestigio150 che confermano come il potere, per dirsi stabile, sia

costretto ad apparire come qualcosa di intangibile ed assoluto.

In termini machiavelliani, il prestigio non è altro che un meccanismo di dissimulazione allo scopo di instillare nello Stato nemico l’impressione della disfatta

147 Ivi, p. 67. 148

Ivi, p. 70.

149 Weil S., Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit., pp. 72-73.

150 Il prestigio costituisce per più di tre quarti la forza. Weil S., L’Iliade ou le poème de la force,

Cahiers du Sud, Paris 1943, trad. it. L’Iliade o il poema della forza, a cura di A. Di Grazia, Asterios Ed itore, Trieste 2012, p. 63.

qualora scoppi un conflitto che li coinvolga entrambi. In tal modo lo Stato conserva la capacità di fare la guerra e camuffa l’interesse nazionale con il falso movente della sicurezza.

Secondo Weil l’interesse nazionale si declina oggi nella capacità degli Stati di fare la guerra151:

Non è naturale che ogni Stato definisca l’interesse nazionale attraverso la capacità di fare la guerra, dal momento che è circondato da altri Stati in grado, se lo vedono debole, di soggiogarlo con le armi? […] Il disarmo generale eliminerebbe queste difficoltà solo se fosse totale, cosa che è a malapena concepibile. D’altra parte, uno Stato non può apparire debole di fronte al nemico, senza rischiare di dare anche a coloro che gli obbediscono la tentazione di scuotere un po’ la sua autorità. Se Priamo e Ettore avessero restituito Elena ai greci, avrebbero rischiato di suscitare ulteriormente il loro desiderio di saccheggiare una città in apparenza così mal preparata a difendersi; avrebbero rischiato anche una rivolta generale a Troia: non perché la restituzione di Elena avrebbe indignato i troiani, ma perché questi avrebbero pensato che gli uomini cui obbedivano non erano poi così potenti152

.

Anticipando quanto scriverà più tardi Hans Morgenthau, Weil dimostra come la capacità di fare la guerra sia il metro di misura dell’interesse nazionale: così, essendo circondato da altri organismi politici capaci di soggiogarlo al minimo segno di debolezza, ogni Stato deve agire sempre in modo tale da far prefigurare al nemico la sconfitta in caso di minacce nei suoi confronti.

Questo paradigma verrà ampiamente ripreso da Morgenthau in Politics among Nations (1948), in cui l’autore afferma che la vita politica, lungi dal presupporre un’eterna armonia di interessi, è radicata nella brama di potere comune a tutti gli uomini ed è inseparabile, per questo motivo, dalla vita sociale.

Basandosi su una concezione agostiniana della natura decaduta dell’essere umano e citando Martin Lutero, Morgenthau sostiene che la concupiscenza è insuperabile e che l’avida brama per il potere, onnipresente nella condizione umana, si traduce in una politica internazionale malvagia, in quanto attività condotta da Stati che hanno alle loro spalle esseri umani altrettanto malvagi.

Non è un caso, quindi, che l’interesse nazionale nei confronti del quale Weil dirige la sua attenzione in Ne recommençons pas la guerre de Troie, costituisca la chiave interpretativa dell’analisi del comportamento statale e delle relazioni internazionali nel programma del realismo politico. È, infatti, proprio guardando alle tecniche

151 Weil S., Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit., p. 71. 152

differenti con cui gli Stati promuovono l’interesse nazionale – il quale è composto sia da “requisiti minimi” permanenti correlati alla sopravvivenza dello Stato, sia da una gamma di altri significati variabili in base alle coordinate spazio-tempo – che il realismo politico contemporaneo ha potuto individuare tre modelli diversi di politica:

- la politica dello status quo, volta al mantenimento del potere; - la politica dell’imperialismo, tesa ad accrescere il potere;

- la politica del prestigio, finalizzata all’acquisizione di un’alta reputazione e alla dimostrazione del proprio potere.

Uno Stato propenderà per una politica anziché un’altra in base agli esiti politici reali. Così, ad esempio, incentivi a scegliere politiche di tipo imperiale sono dati o da “guerre vittoriose”, “perse” o da “debolezza”, ove ciascuna di tali spiegazioni è derivata da eventi storici. Analogamente, la storia fornisce le basi per poter affermare che non tutti gli imperialismi sono simili153.

Un dato che testimonia la malvagità della politica e che fa dire a Weil che «la forza si accompagna alla menzogna»154, è il fatto che l’interesse nazionale venga nascosto dagli Stati dietro una falsa idea di sicurezza fondata sul terreno della forza. Weil dimostra come la nozione di sicurezza in nome della quale gli Stati si fanno la guerra sia abitata da una contraddizione interna: se l’unica sicurezza possibile per uno Stato è, infatti, quella di essere più forte di un altro; d’altra parte, però, sapere l’altro Stato più potente priva automaticamente lo Stato nemico della medesima sicurezza. A quel punto lo Stato più debole è costretto a rispondere, nel migliore dei casi, con una crescente militarizzazione. È interessante, a questo proposito, menzionare quanto scrive Weil nella lettera del 1938 a G. Bergery, direttore della rivista pacifista «La Flèche»:

C’è una contraddizione interna nell’idea di sicurezza; infatti, sul piano della forza, quello sul quale si pone la questione della sicurezza, non c’è altra sicurezza che quella d’essere un po’ più forte del popolo che si ha di fronte, il quale ne è, allora, privato; così, subordinare l’organizzazione della pace a una sicurezza generale […], significa dichiarare impossibile la pace. Anche se il circolo vizioso insito nella dottrina dell’equilibr io europeo non comporta necessariamente la guerra, implica in ogni caso una crescente militarizzazione della vita civile155

.

153 A questo proposito si noti che in Politics among Nations (1948) Morgenthau passa al vaglio i

diversi tip i d i imperialis mo in base alla natura dei loro scopi – “impero mondiale”, “continentale” e “predomin io locale” – e ai metodi usati per ottenerli – “militare”, “economico” e “culturale”.

154 Weil S., Écrits historiques et politiques, II, 2, cit., p. 132.

155 Weil S., Lettre à G. Bergery, in Sulla guerra, cit., p. 90. Cfr. a questo proposito Machiavelli N., Il principe, cit., pp. 71-72. Qui il Segretario fiorentino scrive: «Perché da uno armato a uno disarmato

Secondo Weil, questa dinamica impedisce non solo di individuare i termini del problema, ma soprattutto di comprendere che sono le entità vuote ed astratte, attraverso le quali la forza si esercita, a determinare la realtà effettuale della politica. Weil denuncia, perciò, l’urgenza di condurre «la caccia alle entità» in tutti i domini della vita pubblica e sociale. Un’operazione affatto semplice che deve portare alla sostituzione dell’attuale vocabolario artificiale della politica con uno nuovo, in grado di “sgonfiare” le cause immaginarie dei conflitti. Tale dizionario comprenderà tutte quelle espressioni atte a restituire il senso di misura, di limite e di relazione tra i nomi e le cose, come nella misura in cui, per tanto che, a condizione che, in confronto a. Solo così il linguaggio politico attualmente svuotato di senso, verrà riempito di un contenuto vero di pensiero, allo scopo di discriminare il reale dall’immaginario.

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 84-90)