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Il problema della legittimità Il dialogo con Ortega y Gasset

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 129-134)

L’ANALISI DELL’OPPRESSIONE

4.2 L’oppressione statale

4.2.2 Il problema della legittimità Il dialogo con Ortega y Gasset

La disamina dello statalismo e del ruolo in esso rivestito dall’illusione occupa una parte cospicua della riflessione dei realisti. Su queste tematiche si innesta uno dei grandi problemi della teoria politica, quello della legittimazione del potere.

Il problema della legittimazione del potere è stato posto in maniera drammatica dalla rivoluzione francese e successivamente radicalizzato dalla rivoluzione bolscevica. Il 1989 e l’Ottobre sono state le due più grandi manifestazioni della crisi di consenso che ha accompagnato il processo di modernizzazione. Ad eccezione di quei pochi Paesi – gli Stati Uniti in particolare – dove lo Stato liberal-democratico si è sviluppato in condizioni sperimentali che possiamo definire “pure” – senza dover entrare in guerra con gli interessi delle classi dominanti dell’Antico Regime – la transizione dalla società chiusa alla società aperta in cui consiste il processo di modernizzazione è stata accompagnata da processi che hanno prodotto l’intensificazione e la moltiplicazione dei conflitti di classe.

Il passaggio dal modo di produzione feudale al modo di produzione capitalistico ha prodotto nella società europea delle fratture tali da generare una situazione d’illegittimità permanente del potere sovrano. È così iniziata l’era delle rivoluzioni, intravista da Rousseau e lucidamente diagnosticata dai padri fondatori della sociologia, quali Saint-Simon, Comte, Tocqueville, Proudhon, Marx.

Nonostante sia assente nella sua riflessione una “teoria dell’illegittimità”, in Economia e società (1921) Weber sottolinea che la disposizione a obbedire all’imposizione di ordinamenti da parte dei singoli o di più individui presuppone la credenza in un dominio legittimo e che ogni dominio cerca di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità. La dialettica del comando e dell’obbedienza si poggia, perciò, sulla nozione di credenza, a tal punto che, se la fede nella legittimità si sgretola, tutta quanta la vita di una società viene sconvolta255.

Il sociologo che affronta magistralmente il problema della legittimità e che chiarisce la natura delle credenze e le funzioni che esse svolgono nell’esistenza storica di una società è Ortega y Gasset.

Per Ortega y Gasset il potere pubblico è legittimo quando, e solo quando, esso è «l’emanazione attiva, energetica dell’opinione pubblica, nella quale galleggiano tutti gli altri usi che di essa si nutrono»256. In caso contrario è forza bruta, violenza

arbitraria.

Da ciò discende logicamente che, se esiste un’opinione pubblica compatta, effettivamente e indiscussamente vigente, v’è anche potere legittimo; ma, se l’opinione pubblica si frantuma in una serie di opinioni divergenti, l’esercizio del comando non può mai essere legittimo. La legittimità, pertanto, non è altro che l’espressione dell’accordo generale esistente nel seno della società circa chi deve detenere il potere e come deve esercitare il suo diritto a comandare. Essa è strettamente correlata al grado d’armonia esistente fra le istituzioni imperative, le credenze e i valori dominanti. Tale armonia garantisce che i governati non trovino arbitrari gli ordini del soggetto detentore del potere, anche se talvolta tali ordini possono essere esperiti come penosi.

La sociologia orteghiana del potere è l’esatto rovesciamento di quella marxiana. Secondo quest’ultima, tutta la vita sociale è strettamente collegata agli strumenti di produzione, che sono l’asse attorno al quale ruota il panorama della storia. Coloro che li posseggono controllano la vita collettiva e quindi anche il potere, che è lo strumento specifico per conservare l’ordine esistente. Ora, dato che fra i proprietari dei mezzi di produzione e i proletari è sempre in atto una guerra

255 Cfr. Pellicani L., Ferrero, Ortega e il problema della legittimazione del potere in Aspetti del realismo politico italiano. Gaetano Mosca e Guglielmo Ferrero, a cura di L. Cedroni, Aracne editrice,

Ro ma 2013, pp. 437-450.

256 Ivi, p. 439. Cfr. Ortega y Gasset, Sul fascismo, in Scritti politici di José Ortega y Gasset, a cura di

civile più o meno occulta, ne discende che il potere è nella sua essenza uno strumento di lotta nelle mani della classe dominante: la sua funzione specifica è quella di opprimere le masse lavoratrici e di garantire il dominio di classe dei proprietari.

Ortega rifiuta questa sociologia del potere, la quale, a suo parere, non è assolutamente in grado di spiegare perché i governati obbediscono ai comandi dei governanti. Come ha osservato acutamente Simone Weil, è già abbastanza stupefacente che milioni di individui si sottomettano a una minoranza per il timore di essere uccisi, ma che essi accettino di andare a morire dietro ordine di questa è cosa veramente inesplicabile, se non si ricorre a un principio diverso dalla mera coazione fisica257.

Dato che l’obbedienza spesso comporta tanti rischi quanti la ribellione, perché i governati continuano a seguire i capi? Vi sono molte mete collettive proposte dalle élites del potere il cui conseguimento richiede un’intensa e generale mobilitazione delle risorse materiali e morali della società, il che può verificarsi solo se i governati danno il massimo sostegno alle imprese proposte dalle autorità costituite. È logico, quindi, credere che gli ordini del potere trovino pronta obbedienza non solo perché esso minaccia sanzioni negative particolarmente severe, ma anche, e soprattutto, perché i governati riconoscono ad esso il diritto di comandare, esigere, imporre.

Il potere legittimo ottiene abituale obbedienza non tanto perché usa la violenza, quanto perché è sostenuto dal consenso dei sudditi. Anzi, è proprio questo consenso diffuso che permette al potere di minacciare con la coazione fisica i devianti. Pertanto, ogni teoria del potere che tende a ridurre questo a nuda forza non può spiegare l’essenziale, e cioè l’obbedienza spontanea, e in certi casi persino entusiastica, dei governanti.

Il materialismo storico tende polemicamente a ridurre il potere alla pura forza materiale e a sottolineare che esso è oppressione e sfruttamento.

La società per i materialisti è il luogo in cui si scontrano volontà e interessi non sempre conciliabili. Il che spiega perché il potere ha, come Giano, due facce:

È sempre, dovunque e nello stesso tempo, lo strumento di dominazione di certe classi sulle altre, utilizzato dalle prime a loro profitto e a sfavore delle seconde, e un mezzo per assicurare un certo ordine sociale, una certa integrazione della collettività per il bene comune. La propensione dell’uno o

257

dell’altro varia secondo le epoche, le circostanze e i paesi: ma i due volti coesistono sempre258.

Influenzato da Numa Fustel de Coulanges, Ortega introduce una rigorosa distinzione fra le idee-invenzioni e le idee-istituzioni. Queste ultime sono le credenze, che egli definisce anche “vigenze collettive”: si tratta d’invisibili realtà onnipresenti che plasmano dall’interno, inconsciamente, la vita umana e la sostengono.

Le credenze sono idee che abbiamo cessato di pensare e che, per questo motivo, si confondono con la realtà stessa. Sono il terreno sul quale si svolge la nostra vita sociale. Il nostro comportamento, compreso quello intellettuale, dipende dal sistema delle nostre autentiche credenze. A ciò si deve aggiungere che le credenze hanno un carattere collettivo: non crediamo da soli, bensì insieme agli altri. È proprio questo “credere insieme” ciò che rende una società tale, distinguendola da un semplice aggregato di individui privi di legami. Scrive a questo proposito Ortega:

La credenza, precisamente perché non è una mera opinione, una idea, una teoria, è normalmente un fatto collettivo. Non si crede normalmente per proprio conto, ma insieme agli altri: si crede in comune. La credenza agisce in quanto istallata nel nostro contorno sociale, come «vigenza» collettiva, il che significa che non ha bisogno di essere difesa e sostenuta da alcun individuo o gruppo determinato259.

Le credenze sono, quindi, “fatti sociali” da cui scaturiscono i principi morali e politici che operano nella vita sociale. Da ciò deriva che, solo grazie alla piena vigenza di un sistema di credenze – e dei principi etico-politici in esso impliciti – può nascere la legittimità, essendo questa la corrispondenza del potere con la credenza diffusa che chi governa non è un usurpatore.

La credenza della legittimità del potere pubblico non si costituisce da sola. Essa presuppone la vigenza di un’opinione pubblica che abbia acquistato la solidità e l’autoevidenza del “senso comune”. Ortega sostiene che il potere pubblico legittimo sia «l’emanazione attiva ed energetica dell’opinione pubblica». Se l’opinione pubblica è compatta ci sarà corrispondenza tra le aspettative dei cittadini e le istituzioni: in questo caso – spiega Ortega – si può parlare di potere legittimo, intendendolo come uno Stato che si modella sul corpo sociale “come la pelle sul nostro corpo” e in cui le cui istituzioni vengono percepite come “naturali” dai

258 Pellicani L., Ferrero, Ortega e il problema della legittimazione del potere, cit., p. 439. 259

governati e quindi spontaneamente accettate260. Al contrario, il potere diventa pura forza quando l’opinione pubblica fa evaporare il consenso sui principi che devono regolare l’esercizio della sovranità.

Di conseguenza, con la frammentazione dell’opinione pubblica e l’assenza di consenso sui principi che regolano l’esercizio della sovranità, lo Stato non ammette collaborazione, ma semplice resa. Il suo potere è illegittimo, in quanto non può appoggiarsi all’opinione pubblica poiché questa si è disintegrata.

È bene precisare, tuttavia, che anche la piena vigenza del principio di legittimità non neutralizza dalla scena sociale i conflitti tra le classi.

Ortega, da realista quale è, parla di “concordia degli ordini”, ma sottolinea come la società resti sempre una realtà costitutivamente malata e conflittuale. Come Schmitt, egli arriva a sostenere che «la lotta di classe… è il presupposto di ogni perfezionamento e di ogni sviluppo politico»261 e che «le lotte politiche non sono

sempre e senz’altro patologia sociale e accadere negativo, al contrario solo mediante certe lotte si crea uno Stato migliore»262. Il conflitto garantirebbe, dunque, la vitalità produttiva dell’ordine politico.

Perciò, da un lato abbiamo la tesi secondo cui la piena vigenza di un principio di legittimità garantirebbe la concordia degli ordini e, dall’altro, quella secondo cui la lotta di classe è il principale fattore di sviluppo politico. Ortega concilia le due tesi specificando che:

il corpo delle opinioni che alimentano la vita di un popolo [è] costituito da una serie di strati. Divergenze d’opinione negli strati superficiali e intermedi producono dissensi benefici, poiché le lotte che promuovono si muovono sulla terra ferma della concordia che esistente negli strati più profondi. La divergenza alla sommità non fa se non confermare e consolidare l’accordo esistente alla base della convivenza. Queste contese mettono in discussione certe cose, ma non mettono in discussione tutto263

.

Così, grazie alla legittimità, i conflitti d’interesse si mantengono entro gli alvei istituzionali e non avranno una natura rivoluzionaria. Essi saranno conflitti inseriti nel sistema, ma che non riguarderanno l’accordo sul sistema. Quando, infatti, si assiste alla frammentazione dell’opinione pubblica, alla lotta di classe subentra la guerra di classe scatenante la rivoluzione e la guerra civile.

260 Ivi, p. 1018. 261 Ivi, p. 989. 262 Ibidem. 263 Ivi, p. 990.

L’oppressione è, quindi, insita in ogni ordine politico, in quanto se è vero che il potere ha la primaria funzione di imporre con la forza la pace e l’ordine e di difendere dai nemici esterni la comunità, nulla garantisce che esso sia sempre assecondato.

Ogni potere è cosciente che la rivolta dei governati è una minaccia latente e che essa può esplodere all’improvviso. L’ordine è sempre precario, poiché la dialettica del comando e dell’obbedienza su cui esso si appoggia può essere spezzata, con la conseguenza che la società precipiti nell’anarchia e nella guerra civile. E questo perché, da una parte, i governati hanno paura del potere cui sono soggetti e, dall’altra, il potere ha paura dei governati che possono, da un momento all’altro, ammutinarsi264.

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 129-134)