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L’Iliade ou le poème de la force (1941)

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 102-106)

ANALISI E RICOSTRUZIONE DEL REALISMO POLITICO

3.1 La genesi della categoria della forza

3.1.8 L’Iliade ou le poème de la force (1941)

Ne L’Iliade ou le poème de la force (1941), sfruttando l’espediente del commento al poema omerico, Weil conduce una lucida meditazione sulla natura della forza nella rappresentazione estrema della guerra.

La filosofa inizia a scrivere il saggio tra il 1936 e il 1939, per consegnarlo alle stampe dei Cahiers du Sud a Marsiglia nel gennaio del 1941 con lo pseudonimo di Emile Novis. L’interesse della filosofa per Omero si ritrova, però, già nelle lezioni di filosofia proposte a Roanne nel 1933-34 e nel programma scolastico del 1937 redatto per il liceo di Saint-Quentin, dove è insegnante di filosofia185.

Nel saggio del 1941 Weil descrive l’Iliade come un’opera segnata dall’onnipresenza della forza, che ne costituisce la protagonista oggettiva. È la force, intesa come guerra, conflitto, a costituire il cuore della realtà politica, il nutrimento che le dona linfa. Scrive la filosofa francese:

Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade è la forza. La forza usata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae186

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Weil parte dal presupposto realista che il bene e il potere (declinazione della forza) costituiscano due sfere fra loro assolutamente distanti187. Il bene non è rappresentabile dal potere, anzi è l’Irrappresentabile per eccellenza, e il potere, dal suo canto, non può tradurre dialetticamente il male in bene. Confondere il piano del bene, della verità e della giustizia con quello del potere equivale, per Simone Weil, a commettere idolatria. È chiara, dunque, la volontà di Weil di scandire una divisione netta tra le due sfere: da un lato la politica, costituita dai fatti che si realizzano hic et nunc, in questo mondo e, dall’altro, la morale e tutto ciò che attiene alla spiritualità, propria di un avvenire ultraterreno.

L’individuazione di una “politicità” da parte di Weil la avvicina inevitabilmente al realismo politico: a Niccolò Machiavelli, il primo che sia riuscito

185 Le lezioni d i filosofia d i Simone Weil si basano principalmente su testi letterari che non su testi

prettamente filosofici. Con questa strategia didattica la filosofa voleva attirare l’attenzione delle allieve su casi concreti p iuttosto che su concetti universali che risch iavano di rimanere astratti. Rifuggire dalla speculazione astratta e non perdere di vista la realtà effettuale resta uno dei costanti obiettivi di Simone Weil.

186 Weil S., L’Iliade o il poema della forza, cit., p. 39.

187 Sull’assoluta distanza fra la natura della necessità e quella del bene cfr. Weil S., La prima radice,

nell’impresa di distinguere la politica dalla morale, dal diritto e dalla religione facendone un capitolo di riflessione totalmente autonomo; e a Carl Schmitt, colui che ha portato a termine l’operazione compiuta da Machiavelli.

Ne L’Iliade, ou le poème de la force il conflitto è rappresentato come il sottofondo ineliminabile della politica, la quale è essenzialmente una guerra tras ferita nella polis e che reca in sé il marchio costitutivo della distruzione. La guerra di Troia narrata nel poema omerico non rappresenta per Simone Weil un semplice episodio importante della storia ellenica, bensì l’evento inaugurale del tempo della politica, la sua origine188.

Attraverso la guerra di Troia, Weil mette in luce l’antinomia costitutiva della politica, la quale è tutta contenuta, fin dai suoi arbori, in un conflitto che reca in sé il marchio costitutivo della distruzione. Una guerra che, non a caso, non si conclude con la resa di una delle due parti, né con un trattato di pace, ma con la resa al suolo della polis per cui si combatte.

È qui evidente il riferimento di Simone Weil al filosofo politico realista Carl Schmitt (1888-1985) che, attraverso la teoria del “politico” esposta ne Le categorie del politico (1927), sottolinea come la politica sia sempre polemica, proprio perché nasce dal conflitto, dalla lotta, di per sé ineliminabile.

A differenza della “politica” – termine che designa l’architettura istituzionale mediante la quale si crea un ordine e si organizza l’esistenza umana – il “politico” è un’energia conflittuale che trova linfa nel binomio fondativo della politica “amico- nemico”. Schmitt ritiene, infatti, che come la morale operi distinguendo fra il bene e il male, l’estetica fra il bello e il brutto, l’economia fra l’utile e il dannoso ; allo stesso modo il “politico” consiste nel riconoscere e nel distinguere l’amico dal nemico189, quest’ultimo inteso come l’hostis pubblico con cui realmente si può entrare in lotta e, eventualmente, uccidere.

La contrapposizione “amico-nemico”, però, non solo è la più intensa ed estrema di tutte le coppie conflittuali ma, soprattutto, segna l’inizio del tempo della politica e ne sancisce l’assoluta specificità.

In modo del tutto analogo a quanto fa Schmitt, Weil mostra l’origine conflittuale della politica attraverso le sue riflessioni sull’Iliade, opera che a suo

188 Cfr. Esposito R., L’origine della politica. Hannah Arendt o Simone Weil? Roma, Donzelli editore,

1996, p. 25.

189 Sch mitt C., Le categorie del “politico”. Saggi di teoria politica (1927), Bologna, Il Mulino, 1972,

parere ha il merito di sottrarre all’oblio l’atto di fondazione della politica e, in generale, di tutto l’Occidente.

Troia inaugura il tempo della politica in quanto rappresenta la prima di una serie infinita di città invase e distrutte dalla guerra in cui la forza domina incontrastata190. Troia è la città che ricorda come la politica porti dentro di sé il marchio del conflitto e come, nella sua essenza, costituisca una guerra trasferita nello spazio del politico.

Eppure, nonostante la fondazione dell’Occidente sia segnata dalla forza e dal potere, nel corso della storia la civiltà, spiega Weil, ha perso il senso stesso della guerra narrata nel poema greco: gli uomini sono precipitati in un sonno angoscioso, ipnotizzati dall’illusione di poter governare la forza191.

Da qui l’importante funzione attribuita da Weil all’Iliade di Omero che, secondo la filosofa, è lo strumento in grado di risvegliare gli uomini, in quanto mostra lo spirito umano continuamente modificato dalle sue relazioni con la forza. Tutti i personaggi nel poema omerico sono consumati dalla forza che li riduce a cose192 e che si presenta non solo come quel massacro orribile che accompagna tutto il poema ma, soprattutto, come una violenza che si esercita nell’asservimento del vivente193.

La forza annienta tanto impietosamente, quanto impietosamente inebria chiunque la possiede o crede di possederla. Nessuno la possiede veramente. Nell’Iliade gli uomini non sono divisi in vinti, schiavi, supplici da un lato e in vincitori, capi dall’altro; non vi è un solo uomo che non sia in qualche momento costretto a piegarsi alla forza194.

La potenza reificante della forza non risparmia neppure i vincitori: non solo chi subisce la forza, ma anche chi la esercita, la impone, la infligge ne è ugualmente dominato. Vincitore e vinto sono piegati dalla necessità della forza che li identifica, li riduce a identità morta e ne elimina brutalmente l’individualità. La forza annienta tutti indifferentemente195 e li precipita nella sventura (“malheur”), termine che Weil

190 Weil S., L’Iliade o il poema della forza, cit., p. 39. 191

Ivi, p. 51. La forza «annienta tanto impietosamente, quanto impietosamente inebria chiunque la possiede o crede di possederla».

192 Cfr. Ben Coleridge, Tales from the kingdom of force, Volume 20 Issue: 16, 27 August 2010, 2010

EurekaStreet.co m.au, pp. 50-51.

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A questo proposito è evidente l’influenza su Simone Weil del suo maestro Émile-Auguste Chartier – comunemente noto come Alain – il quale per primo aveva insistito nei Propos del ’34 e del ’35 sulla reificazione dell’uomo operata dalla forza.

194 Weil S., L’Iliade o il poema della forza, cit., p. 51. 195

userà per indicare specificatamente “la subordinazione dell’animo umano alla forza” e, ancora, “la costrizione a piegarsi alla forza” .

Così, i vincitori che mostrano di possedere la forza sono gli stessi che a loro volta sperimenteranno la medesima condizione di sventura che hanno inflitto ai vinti, proprio perché «l’uomo si limita a subire la forza e non la maneggia mai, qualunque sia la situazione. L’esercizio della forza è un’illusione. Nessuno la possiede»196.

Weil ritiene che il grande merito di Omero sia proprio quello di aver rappresentato in modo del tutto impersonale le conseguenze della lotta che accomuna vincitori e vinti, equamente assoggettati alla forza. A tal proposito, non è un caso, sottolinea la filosofa, che Omero non sia uno storico, ma un tragico.

Riprendendo parte delle considerazioni contenute nelle Réflexions sur la barbarie (1939) circa la responsabilità degli storici di aver narrato la storia unicamente dalla prospettiva dei vincitori, Weil evidenzia come Omero sia stato in grado di immortalare la guerra non dal punto di vista della Grecia vittoriosa, ma da quello di Troia che muore. Egli ha guardato al conflitto da entrambe le parti in lotta senza contrapporle e ridando dignità ai vinti. È per questo motivo, scrive Weil, che l’Iliade è «una cosa miracolosa»197, in quanto le sue pagine rappresentano con imparzialità l’imperio della forza e la sua realtà eterna:

Chi aveva sognato che, grazie al progresso, la forza appartenesse ormai al passato, ha potuto scorgere in questo poema solo un documento; chi invece, oggi come allora, individua nella forza il centro di ogni storia umana, trova qui il più bello, il più puro degli specchi198

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Weil sceglie perciò di riattualizzare l’Iliade perché essa ritrae il cuore della forza, presentandocela come una regolarità dell’universo politico destinata a reiterarsi e riprodursi in tempi e contesti diversi. Con L’Iliade ou le poème de la guerre Weil porta a compimento il ritratto della categoria della forza, lente d’ingrandimento privilegiata della quale si servirà, a partire da questo momento, per decifrare la realtà politica199.

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Weil S., Cahiers, III, Librairie Plon, Paris 1974, trad. it. Quaderni, III, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1988, p. 198. Cfr. Weil S., Cahiers, I, cit., p. 301.

197 Weil S., L’Iliade o il poema della forza, cit., p. 81. 198 Ivi, p. 39.

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CAPITOLO IV

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 102-106)