OLTRE IL REALISMO POLITICO DI SIMONE WEIL
5.2 Da una politica realista ad una politica etica: i testi politici propedeutici al progetto weiliano dell’Enracinement
5.2.2 La preoccupazione pe r le colonie
Weil decide di fare appello alla coscienza della nazione parlando di libertà e consenso non solo entro i limiti della politica interna francese, ma anche in un altro contesto largamente trascurato, quello del colonialismo francese, tema che testimonia l’interesse di Weil per la politica internazionale, osservata da una prospettiva etica.
Con il programma espansionista di Jules Ferry del 1880 la Francia era entrata nella partita coloniale del nazionalismo, rivaleggiando con l’Inghilterra e la Germania.
La preoccupazione per la dura realtà delle colonie francesi risale all’Esposition Coloniale Internationale organizzata a Parigi nel 1931, quando Weil si rende conto che i benefici portati nelle colonie nel campo dell’educazione, delle infrastrutture e della salute non compensano la violenza inflitta dai funzionari francesi alle popolazioni assoggettate.
Il fondamentale aspetto negativo del colonialismo è, per la filosofa, il terrorismo continuato esercitato sui coloni e di cui i francesi in patria sono del tutto ignari e indifferenti. Per questo motivo, ritiene che il problema coloniale debba essere inserito indubbiamente nel processo di autotrasformazione della Francia387.
La colonizzazione, lungi dall’essere occasione di contatto con le civiltà orientali, […], impedisce questo tipo di contatti. […] Per degli inglesi che vivono in India, per dei francesi che vivono in Indocina, l’ambiente umano è formato dai bianchi. Gli indigeni fanno parte dello sfondo388
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L’impiego di operaia alla Alsthom e alla Renault le avevano insegnato che per rendersi conto di una sofferenza bisogna andarle incontro e viverla389. Weil parte da questo presupposto per denunciare l’indifferenza verso la sofferenza dei coloni, che pervade sia la sinistra che la borghesia: quest’ultima, infatti, fa finta che il tormento fisico e morale degli operai non esista, mentre la sinistra, analogamente, impone ai lavoratori delle colonie la medesima spietata costrizione, giustificando e minimizzando la servitù coloniale390.
Au fond, nous – et par nous j’entends tous les adhérents au Rassemblement populaire, sans exception – nous avons la même mentalité que la bourgeoisie. Les bourgeois ne sont nullement insensibles à la misère; ils peuvent s’émouvoir d’un mendiant rencontré sur leur chemin; seulement la distance des Champs-Élysées à Billancourt dépasse la puissance de leur imagination, comme pour nous la distance de Paris à Saïgon. De plus ils considèrent les ouvriers comme des êtres d’une autre espèce, née pour la fatigue, les privations, l’obéissance et ils trouvent la preuve qu’un tel régime
387 Weil, S., La questione coloniale e i suoi rapporti con il destino del popolo francese (1943), in Una costituente per l’Europa. Scritti londinesi, a cura di D. Canciani e M.A. Vito, Castelvecchi, Roma
2013, p. 141.
388
Ivi, p. 150.
389 Weil S., La condition ouvrière, cit., p. 260.
390Weil S., Le sang coule en Tunisie (1937), in Écrits historiques et politiques, II, 3, Éd itions
Gallimard, Paris 1960, pp. 128-131. Sul problema colon iale cfr.: Robert Chenavier, Simone Weil.
convient au peuple dans le fait que le peuple se tait, alors qu’eux-mêmes imposent ce silence par la contrainte la plus brutale et traitent avec une rigueur impitoyable ceux qui osent élever la voix. Les choses se passaient ainsi, en France, avant juin391
.
La compiacenza della sinistra si rivela per Simone Weil più colpevole di quella borghese: le concessioni che Bloom aveva ottenuto per i sindacati avevano alla base non solo anni di organizzazione concretizzati in una serie di scioperi ma, soprattutto, un senso di giustizia violata che era andato perduto proprio quando milioni di stranieri versavano nella sventura. La sinistra era occupata a denunciare l’oppressione dei lavoratori in patria senza vedere che fuori si perpetrava un’identica oppressione:
Et nous aussi, Français de « gauche », nous faisons peser sur les indigènes des colonies la même contrainte, la même terreur qu’ils subissent depuis tant d’années; et nous croyons trouver dans le silence que nous leur imposons, et qu’ils observent par force, une excuse suffisante pour ne pas penser à eux392.
Dopo il 1937 Weil diventa più critica di fronte ai presupposti benefìci dell’amministrazione coloniale francese e spera che la Francia, con l’incombere della crescente minaccia nazista, rivendichi l’eredità degli ideali di libertà e fratellanza della rivoluzione.
Purtroppo, però, si rende subito conto che non è possibile alcuna politica coloniale illuminata.
In diversi scritti ripete che si vergogna dello sfruttamento francese delle colonie e dell’indifferenza della sinistra per i fatti che le riguardano. La Francia, medita la filosofa, ha un debito enorme verso le popolazioni straniere che le hanno insegnato la sua stessa storia di liberazione. Un esempio lampante è il caso degli operai algerini che avevano rivestito un ruolo importante nell’occupazione delle industrie metallurgiche parigine nel giugno 1936, nonostante il disprezzo razzista dei loro compagni francesi.
Inoltre, sottolinea Simone Weil, alcuni popoli coloniali possono vantarsi di avere culture antiche molto nobili, che non hanno nulla da invidiare a quelle europee. Il Vietnam, ad esempio, attraverso l’influenza cinese, induista e buddista aveva appreso la dottrina del karma, la legge universale della misura che, come la nemesi
391 Ivi, p. 129.
392
greca, punisce l’eccesso. Al contrario, l’imperialismo era la dimostrazione che l’Europa aveva completamente dimenticato quella legge.
A ridosso della Seconda Guerra Mondiale gli scritti di Weil sulle colonie assumono una perspicacia legata all’urgenza. La filosofa si rende conto che la possibilità che la Francia avvii delle riforme miranti all’autonomia delle colonie si fa sempre meno concreta393.
L’alternativa possibile era lo scoppio in qualche colonia di una rivoluzione dittatoriale. Soprattutto se la Francia fosse entrata in guerra con la Germania, la contrazione delle forze armate impegnate nel conflitto bellico avrebbe potuto facilitare la lotta per l’emancipazione delle colonie. In alternativa, le colonie che versavano in una condizione d’impotenza e passività sarebbero cadute immediatamente nelle mani di aggressori più potenti della Francia. Molto meglio, quindi, concedere alle colonie di avere una parte attiva nella loro vita politica ed economica prima di vedere realizzate queste possibilità.
Spogliandosi della propria veste imperiale, la Francia avrebbe permesso ai popoli coloniali di ottenere una libertà degna di essere difesa contro ogni forma di oppressione. Di fronte alle ambizioni espansionistiche della Germania e del Giappone, liberare le colonie dal dominio straniero le sembra, perciò, una questione della massima importanza: la Francia doveva rendersi conto che la libertà e la felicità dei popoli lontani dell’Asia e dell’Africa avrebbero indirettamente favorito la sua stessa sicurezza nazionale.
Weil si sente coinvolta nei crimini coloniali della Francia e paragona la spietatezza dell’oppressione coloniale francese a quella della Roma imperiale. Nel frattempo, in quanto ebrea, lei stessa vive la riduzione a una condizione semicoloniale grazie agli statuti di Vichy che limitano drasticamente o negano del tutto la partecipazione degli ebrei a ogni ambito della vita professionale della Francia394. Con questa degradazione irrimediabile del suo status di cittadina francese, Weil va in esilio nel 1942. Non a caso redige il suo scritto più importante dedicato al problema coloniale – Thoughts on The Colonial Problem (1942) – in una lingua straniera, l’inglese, che considera la lingua franca dei popoli sottomessi di tutto il mondo.
393 Ivi, p. 135.
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I suoi Thoughts on The Colonial Problem rispondono alla necessità di dire con franchezza che cosa sia la lotta per la libertà.
Weil mette in luce come l’impero francese sia stato edificato senza che nessuno si rendesse conto che avrebbe messo i francesi nella condizione di “schiavi inconsapevoli”, rendendo il popolo vittima dei meccanismi di potere internazionali per il controllo delle colonie e minacciando la sicurezza del paese.
La maggior parte dei francesi – spiega Weil – pensa che la cosa migliore, dopo essere cittadini francesi, sia l’essere sottomessi alla Francia ed i popoli che la Francia ha conquistato devono essere grati di questo privilegio.
Al contrario, i francesi dovrebbero conoscere le crudeltà compiute dallo Stato: la Francia ha imposto il lavoro forzato in Africa per costruire strade e ferrovie e, peggio ancora, le autorità coloniali in ossequio a interessi economici hanno disboscato la terra395.
Privando i popoli della loro tradizione, del loro passato, e di conseguenza della loro anima, la colonizzazione li riduce allo stato di materia umana. Le popolazioni dei Paesi occupati non sono altro […]. Eppure, è innagabile che la maggior parte dei coloniali ha lo stesso comportamento nei confronti degli indigeni. Il lavoro forzato è stato assolutamente micidiale nell’Africa nera francese e il metodo delle deportazioni di massa è stato messo in atto allo scopo di popolare la regione dell’ansa del Niger. In Indocina, il lavoro forzato viene praticato nelle piantagioni con dei pretesti fin troppo palesi; i fuggiaschi sono riportati indietro dalla polizia e a volte, per castigo, esposti alle formiche rosse396
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Weil cita nel suo articolo i resoconti di Albert Londres e André Gide sull’Africa e conclude i suoi Thoughts on The Colonial Problem cercando negli Stati Uniti una promessa di libertà e un riscatto dallo sradicamento forzato vissuto dai popoli colonizzati.
395 Ivi, pp. 359-361.
396 Weil, S., La questione coloniale e i suoi rapporti con il destino del popolo francese (1943), cit., p.
5.3 La ricostruzione della società post bellica: una nuova concezione di