• Non ci sono risultati.

Le fondame nta del realismo politico: Tucidide e la Guerra del Peloponneso

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 48-51)

ANALISI E RICOSTRUZIONE DEL REALISMO POLITICO

2.1 Identità e sviluppi del realis mo politico tradizionale

2.1.1 Le fondame nta del realismo politico: Tucidide e la Guerra del Peloponneso

Tucidide getta le fondamenta del realismo politico nelle Storie55 del V secolo a.C., in cui definisce per la prima volta il paradigma del realismo politico, trasformando l’ampia indagine sulla guerra del Peloponneso e le sue cause in uno studio sul governo politico e sul comando militare.

Interessato a documentare i modelli dinamici del conflitto e della contesa per come questi si rapportano allo sviluppo e al declino degli Stati egemoni nella politica mondiale, Tucidide è uno dei primi teorici ad essersi occupato del proble ma dell’uso della forza e della possibilità di controllarla, nonché uno dei primi analisti scientifici delle relazioni internazionali56.

Le Storie di Tucidide si presentano come una forma classica di scritto epico in cui la descrizione dei fatti si intreccia alla riflessione filosofica. Dal versante narrativo, l’opera descrive la guerra (kinesis, ovvero “sconvolgimento”) che avviene in Grecia fra il 431 a.C. e il 404 a.C. e, in particolare, le cause e le conseguenze dell’imperialismo ateniese sulla politica interna di Atene e sulle relazioni esterne con le altre città-Stato; mentre, dal versante filosofico, essa costituisce una riflessione sulla natura della decadenza politica e della dissoluzione morale. Il risultato è un’analisi profonda della dimensione politica della natura umana che parte da un dettagliato resoconto osservativo dei sintomi dello sconvolgimento in questione, per arrivare induttivamente alla comprensione dell’essenza universale del disordine.

Per Tucidide la guerra del Peloponneso, lungi dall’essere un casuale incidente politico, costituisce un contributo all’interpretazione del futuro, un caso capace di fornire una comprensione universalmente valida dei fatti politici. Ciò deriva non solo dalla credenza dello storico greco che il futuro somiglierà al passato ma, soprattutto, dalla convinzione che la guerra del Peloponneso sia un conflitto così gra nde e memorabile la cui verità avrebbe il valore di un’acquisizione perenne.

Le prove dell’importanza esemplare dello sconvolgimento narrato (kinesis) sono, agli occhi dello storico greco, molteplici. In primo luogo, tutti i partiti in guerra

55 All’opera è attribuito anche il titolo d i Guerra del Peloponneso, dal conflitto omonimo in essa

analizzato.

56

sono greci e tutte le etnie elleniche sono coinvolte nella contesa. Perciò, se un intero sistema politico come quello greco, così avvantaggiato per i suoi ris ultati e impegnato nell’ottenere un buon ordine politico, si trova al limite di un devastante crollo politico e morale, allora tale kinesis non può essere uno fra i tanti eventi casuali della storia.

In secondo luogo, la grandezza dell’evento è confermata dal fatto che la guerra del Peloponneso coinvolge non solo l’ordine umano, quello cioè delle relazioni politiche interne ed esterne della polis, ma anche l’ordine cosmico manifesto nei disordini della natura e dell’universo. Come Tucidide spiega nell’Archeologia contenuta nel primo libro delle Storie, agli sconvolgimenti politici corrispondono delle catastrofi naturali che avvengono per rappresentare la memoria cosmica di questo evento politico. A ciò si aggiunge che lo scontro ha luogo quando Atene e Sparta sono al culmine delle loro forze e del loro talento, il che conferisce un valore perenne alla battaglia e permette a Tucidide di cogliere le città-stato nelle loro caratteristiche eminenti57.

Chiarite le motivazioni della scelta della kinesis peloponnesiaca quale oggetto d’analisi, ciò che rende Tucidide il primo analista scientifico della politica è, innanzitutto, l’identificazione di eventi fino ad allora apparentemente sconnessi e privi di un filo logico in un’unica unità di analisi, appunto la guerra del Peloponneso. Fino al 404 a.C., anno in cui l’opera di Tucidide viene pubblicata, i Greci sono infatti testimoni di una serie di conflitti confusi iniziati con le spedizioni dei Medi contro gli Elleni nel 490 a.C. e culminati con la sconfitta di Sparta e la nascita dell’egemonia tebana a Leuttra nel 371 a.C.

È Tucidide che per primo seleziona e unifica quattro momenti storici avvenuti fra il 431 e il 404 a.C. – rispettivamente la guerra archidamica, quella deceleica, la pace di Nicia e la spedizione in Sicilia – per creare un nuovo evento su cui riflettere. Non a caso, egli descrive la sua opera non utilizzando il termine historia, bensì ricorrendo alla locuzione syngraphe ton polemon che tradotta significa “elaborazione” della guerra del Peloponneso58.

Ancora di più, dunque, l’uso del termine syngraphe sottolinea il fatto che le Storie di Tucidide, lungi dal rappresentare una narrazione cronistica dei fatti,

57 Tucidide si sofferma a lungo, nell’Archeologia contenuta nel libro I, sui motiv i che rendono la

guerra del Peloponneso una kinesis che non ha paragoni per grandezza all’interno della storia.

58

costituiscono una costruzione volta a rintracciare cause ed effetti al livello storico della politica.

L’opera di Tucidide è, inoltre, permeata da un insieme di idee filosofiche sull’inevitabilità della decadenza dominante anche un ordine perfetto come quello rappresentato dall’Atene di Pericle. Questa metafisica della necessità trova la sua massima esplicazione nel famoso discorso tra gli Ateniesi e i Meli contenuto nel libro V e assurto oggi a paradigma del realismo politico.

Durante il sedicesimo anno del conflitto che oppone per quasi trent’anni le due principali città-stato greche, Atene e Sparta, gli Ateniesi organizzano una spedizione contro l’isola di Melo, colonia spartana che era rimasta neutrale. Prima di passare alle armi, gli Ateniesi propongono agli abitanti di Melo di sottomettersi senza combattere, data la loro forza maggiore e l’impossibilità per Sparta di intervenire per tempo in loro aiuto. I Meli rifiutano e l’isola viene conquistata dopo un lungo assedio, nel 416 a.C.

Queste le parole che gli ambasciatori ateniesi rivolgono ai governanti dell’Isola di Melo prima dell’intervento militare (V, 105):

Non solo tra gli uomini, come è ben noto, ma, per quanto se ne sa, anche tra gli dei, un necessario e naturale impulso spinge a dominare su colui che puoi sopraffare. Questa legge non l’abbiamo stabilita noi né siamo stati noi i primi a valercene; l’abbiamo ricevuta che già c’era e a nostra volta la consegneremo a chi verrà dopo, ed avrà valore eterno. E sappiamo bene che chiunque altro, ed anche voi, se vi trovaste a disporre di una forza pari alla nostra, vi comportereste così59.

Gli Ateniesi giustificano la loro posizione imperialistica con un argomento di tipo naturalistico: la legge della forza non può essere ridotta a un sopruso, bensì è inscritta nella natura, per cui a comandare è il più forte e lo fa per necessità di natura. La forza costituisce un dato ineliminabile, destinato ad imporsi all’infinito secondo un processo di totale reversibilità delle parti, cosicché quando colui che è minacciato riesce a respingere la minaccia, egli diventa a sua volta la fonte di una nuova minaccia.

Tucidide ritrae magistralmente questo processo in uno dei rovesciamenti di situazione più sofisticati contenuti ne la Guerra del Peloponneso (V, 8):

Brasida a sua volta, appena vide muoversi gli Ateniesi, subito scese dal Cerdilio ed entrò in Amfipoli. Ma non effettuò alcuna sortita né si schierò

59

contro gli Ateniesi perché non era sicuro delle proprie truppe e le riteneva inferiori non per il numero (giacché in qualche modo si bilanciavano) ma per il valore: in quanto gli Ateniesi del corpo di spedizione erano uomini scelti, e i soldati di Lemno e di Imbro i più valorosi. Si preparò invece ad attaccarli con uno stratagemma. Se infatti avesse mostrato ai nemici il numero e l’equipaggiamento appena sufficiente dei suoi uomini, non pensava che avrebbe avuto maggiori possibilità di farcela che se i nemici non li avessero visti e non li avessero a ragione disprezzati. Scelti dunque centocinquanta opliti per sé e affidati gli altri a Clearida, decise di attaccare all’improvviso prima che gli Ateniesi si ritirassero, ritenendo che non avrebbe più avuto un’altra occasione come questa di sorprenderli isolati se fossero arrivati loro i rinforzi60.

In un capovolgimento di ruoli che si manifesta con il procedere della guerra, lo spartano Brasida, che incarna la passività e la politica dello status quo, diventa l’emblema del vigore, mentre l’ateniese Nicia, emblema dell’attività e del revisionismo ateniese, diviene il simbolo della moderazione. La narrazione ritrae intenzionalmente tale rovesciamento di ruoli, per mostrare che le parti del tiranno e del liberatore non corrispondono ad alcuna qualità permanente degli Stati, ma costituiscono semplicemente dei ruoli che si scambiano quando si altera la bilancia dei poteri.

Non sussiste, perciò, alcuna differenza tra dominati e dominatori. Entrambi sono governati dalla forza che, quando raggiunge certi limiti, genera una necessaria reazione da parte di chi ne teme gli effetti. Si tratta di una ferrea necessità che vede nel conflitto inscritto nelle vicende del potere la normale conseguenza della vitalità di un organismo politico.

Nel documento Oltre il realismo politico di Simone Weil (pagine 48-51)