Premessa
Il quinto allargamento rappresenta sicuramente un traguardo di cui, noi europei ed “europeisti”, dobbiamo andare fieri, ma è altrettanto vero che esso ha comportato e comporta, oggettivamente, la nascita di altri e di nuovi problemi. Infatti, ha già creato un confine verso l’esterno ancora più netto rispetto a quello precedente.
Per vari aspetti, tale allargamento appare molto diverso dai quattro antecedenti e sicuramente più complesso. Una motivazione risiede nell’alto numero dei Paesi che sono entrati a far parte dell’Unione, sono appunto dieci; una seconda motivazione è da attribuire al fatto che tali Paesi sono reduci da un regime politico illiberale di lunga durata e dalla soggezione a una potenza straniera, l’ex Unione Sovietica, l’antagonista strategico-militare e ideologico del blocco euro-atlantico. Inoltre, in tutti i nuovi Stati membri sono in atto
vaste e radicali trasformazioni, quali la riappropriazione della sovranità nazionale e la ricostruzione dello Stato dalle fondamenta. Ciò fa si, che la nuova Unione Europea assorba Stati multietnici, con popolazioni in cui la componente europea è assolutamente varia e, a volte, piuttosto esigua che portano con loro gravi problemi di transizione: ordinamenti costituzionali quasi inesistenti, economie dissestate, crisi politiche con trascinamenti autoritari, società divise, situazioni postbelliche153.
Eliminati gli Stati con i quali sono in corso le trattative per l’adesione, nei confronti di tutto ciò che è destinato a restare esterno all’Unione, la stessa Unione non possiede più lo strumento principe della politica estera europea. Dunque, l’Unione europea, secondo Parsi, “non ha più l’incentivo costituito dalla promessa di entrare: comportatevi bene e diventerete membri dell’Unione”154.
È da rilevare, in questo senso, che l’identità dell’Unione Europea è, fin dalle sue origini, stata legata alla questione dei confini. Il progetto di unificazione europea nasce, appunto, allo scopo di sanare il più sanguinoso confine della storia europea, cioè il confine franco-tedesco, che si era rivelato, negli anni, non solo per l’Europa, un notevole fattore di instabilità.
Inoltre, si è posto il problema riguardo alla qualificazione di Stato europeo. In quanto, è evidente che manca una delimitazione geografica dei confini dell’Europa. In questo senso, si è fatto riferimento ai confini della CE- UE, per cui si è ritenuto che l’Europa comunitaria sia costituita dal complesso dei Paesi membri e dai potenziali aderenti. Infatti, con la caduta del muro di Berlino e la fine dei due blocchi, la qualificazione di Stato europeo è stata estesa ai Paesi dell’Europa centrale e orientale, alle Repubbliche baltiche, ai
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Cfr. F. FENUCCI, “L’allargamento dell’Unione europea: i requisiti politici, giuridici ed economici.”, in R. ORRU’- L. G. SCIANNELLA, (a cura di), Limitazioni di sovranità e
processi di democratizzazione, Atti convegno Associazione di diritto pubblico comparato ed
europeo, Teramo, Università degli Studi, 27 – 28 giugno 2003, Torino, 2004, p. 147 ss.
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Cfr. V. E. PARSI, “L’idea e i (provvisori) confini della nuova Europa”, in A.A.V.V.,
Paesi dell’ex Jugoslavia. Ma, la delimitazione geografica è meglio precisata e integrata da una qualificazione politica, per cui si è ritenuto che l’identità europea dovesse corrispondere a istituzioni, a principi fondamentali e a valori comuni.
Le tappe dei vari processi di allargamento della Comunità europea, si sono succeduti dalla nascita della stessa fino al 1° maggio 2004, data in cui si è profilato, appunto, il quinto e più importante allargamento della storia dell’Unione. Il percorso di quest’ultimo processo di allargamento è stato piuttosto lungo e faticoso, proprio perché ci si è trovati in presenza di Stati diversi per tradizioni, per formazione e per cultura.
In realtà, l’obiettivo di porre le fondamenta di una Unione sempre più stretta fra i popoli europei, si è sviluppato di pari passo, fin dalle origini, con l’obiettivo di rendere tale Unione aperta ad altre nazioni. È indubbio, che le esperienze dei Paesi dell’est presentino elementi di innovazione rispetto a quelli dei Paesi occidentali, in quanto, a causa delle condizioni storiche e del periodo in cui hanno visto la luce i nuovi ordinamenti costituzionali, il contributo del diritto comunitario ha assunto un ruolo certamente rilevante.
A seguito delle modifiche poste in essere dal Trattato di Nizza, come rilevato nel capitolo precedente del presente lavoro, la nostra attenzione è stata rivolta, in particolare, al ruolo delle istituzioni politiche dell’Unione. Nello specifico, la Commissione, ha agito nel tentativo di porre freno all’aumento del numero dei membri rispettivi e di preservarne, in tal modo, le capacità operative e la natura collegiale; sulle regole di funzionamento della Commissione e del Consiglio; sulle procedure interistituzionali per l’adozione degli atti dell’Unione, ed ha inteso a migliorarne, sotto due distinti aspetti, l’efficacia.
Dunque, abbiamo avuto modo di constatare che alla base del Trattato di Nizza vi è un compromesso fra la posizione degli Stati membri favorevoli ad un allargamento, incondizionato, dell’Unione e quella degli Stati preoccupati nel ritenere che detto allargamento, in qualche modo, potesse essere causa di
un rallentamento, o addirittura, che potesse rappresentare un fattore determinante, tale da mettere in discussione tutto il processo di integrazione europea avvenuto in più di cinquant’anni.
Il processo di allargamento ha modificato, senza ombra di dubbio, l’identità europea, in particolare ha segnato il passaggio dalla vecchia identità, di tipo economica e, forse in qualche modo anche culturale, alla nuova identità, essenzialmente politica155.
La dialettica, a lungo coltivata, tra sostenitori di un rafforzamento dell’integrazione e sostenitori dell’allargamento, se non ha condotto ad una assolutizzazione delle rispettive posizioni, ha dato magari, e nel corso del tempo, alcuni risultati.
Le questioni che erano rimaste insolute già ad Amsterdam, non sono state risolte, neanche, con il Trattato di Nizza e, perciò, sono state demandate ad un’ulteriore decisione sia politica quanto giuridica. In realtà, il problema della maggiore o minore integrazione, a nostro avviso, è in parte vincolato alla cessione di sovranità da parte dagli Stati membri e in parte legato al deficit democratico delle istituzioni comunitarie, un deficit che si alimenta della volontà degli Stati membri di restare ‘signori dei trattati’, non solo in sede ‘costituente’, ma anche nell’applicazione di questi ultimi nella sede privilegiata del Consiglio dei Ministri156.
Infatti, come sostiene autorevolmente Habermas157, “il motivo delle aspettative economiche non è sufficiente a mobilitare nella popolazione il sostegno politico necessario per il rischioso progetto di un’Unione che meriti
155
Cfr. A. COLOMBO, “I confini dell’Europa e l’identità europea”, in M. GANINO – G. VENTURINI, (a cura di), L’Europa di domani: verso l’allargamento dell’Unione. Europe
tomorrow: towards the enlargement of the Union, atti del Convegno, Milano, 15-17 febbraio
2001, Milano, 2001, p. 89.
156
Cfr. C. AMIRANTE, Unioni sovranazionali e riorganizzazione costituzionale dello Stato, Torino, 2001, p. XI.
157
Cfr. J. HABERMAS, “Perché l’Europa ha bisogno di una Costituzione?”, in G. ZAGREBELSKY, (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Bari, 2005, p. 94 ss.
questo nome. A questo scopo sono necessari orientamenti comuni sui valori. Ma un’innovazione politica quale la costruzione di uno Stato di Stati nazionali necessita di una mobilitazione politica per fini che facciano appello non solo agli interessi, bensì anche ai sentimenti”.
Una volta approfondito il concetto di sovranità, sia relativamente alla ‘sovranità’ dell’Unione europea e sia riguardo le limitazioni della sovranità degli Stati membri, ripercorreremo, seppure in modo descrittivo, le tappe dei vari processi di allargamento, dalle origini fino al quinto allargamento, esaminando le implicazioni che ha prodotto, sia nell’ambito comunitario quanto negli ordinamenti giuridico-costituzionali degli Stati membri, vecchi e nuovi.