L’allargamento dell’Unione europea a nuovi Stati, e in particolare agli Stati dell’Europa dell’est, è stato da sempre uno dei nodi cruciali per la storia dell’integrazione europea. Infatti, l’allargamento ad est ha presentato, senza
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Politica Estera e di Sicurezza Comune: è il secondo pilastro dell’UE e designa un sistema, unico a livello mondiale, di collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea nelle questioni di politica estera internazionale.
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Politica Europea di Sicurezza e di Difesa: con il Trattato di Amsterdam è stata affiancata alla PESC. Ciò rappresenta un ulteriore evoluzione della volontà dell’Unione di dotarsi di un’autonoma politica estera di difesa.
dubbio, problematiche differenti rispetto a quelle che si sono manifestate nella graduale formazione dell’Unione a quindici.
Una motivazione politica imponeva che si procedesse all’allargamento per realizzare una Europa senza più divisioni. Tuttavia, l’adesione dei nuovi Stati, molto spesso con un livello di sviluppo molto distante dagli Stati membri, in una Unione in crisi a seguito della politica economica e monetaria europea, non rendeva il processo di facile attuazione.
È proprio la disomogeneità degli Stati di nuova adesione, a causa delle condizioni socio-economiche, sia rispetto agli Stati membri, sia tra loro stessi, a caratterizzare il presente allargamento quale evento senza precedenti. Infatti, questi Stati erano, e lo sono tutt’ora, molto diversi l’uno dall’altro, anche perché sono privi di un’esperienza di collaborazione reciproca, tipo la Comunità europea o, quanto meno, una esperienza di tipo associazionistico come l’EFTA.
L’allargamento ha posto problemi di grande rilevanza e ha richiesto profonde modifiche istituzionali. Considerato che, in una Unione allargata, le decisioni sarebbero risultate più difficili da prendere e gli stessi meccanismi istituzionali sarebbero stati inevitabilmente più complessi e avrebbero potuto rischiare di incepparsi.
A nostro parere era necessario, probabilmente, che le modifiche istituzionali fossero apportate prima di fare entrare i nuovi Stati nell’Unione europea.
Riguardo le modifiche istituzionali, in dottrina è stato sostenuto che l’allargamento in questione ha posto l’esigenza del “voto unanime degli Stati membri, che si pronunciano non già per consensus, bensì uti singuli, e le difficoltà di raggiungere un compromesso si accrescono in modo esponenziale con l’aumento dei partecipanti ai negoziati209”. In altri termini, per evitare che
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Cfr. B. NASCIMBENE, “La procedura di adesione all’Unione europea”, in M. GANINO – G. VENTURINI, (a cura di), L’Europa di domani: verso l’allargamento dell’Unione.
l’ allargamento geografico conducesse a un indebolimento della Comunità, veniva stabilito, quale elemento necessario, che parallelamente ad ogni nuova adesione doveva corrispondere un rafforzamento delle strutture.
Nonostante ciò, e senza nessun tipo di modifica istituzionale, il Consiglio europeo, del dicembre 1997, prese una decisione storica, che è stata considerata quale “pietra miliare per il futuro dell’Unione”210. Decise, invero, di aprire l’Unione europea ai Paesi che avevano presentato, fino a quel momento, domanda di adesione, pur ribadendo che fosse necessario migliorare il funzionamento delle istituzioni comunitarie. Si avviarono così i primi negoziati bilaterali, inizialmente, con solo sei Stati, in particolare Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica ceca e Slovenia, in quanto apparivano potenzialmente più pronti a vincolarsi a tale organizzazione. Successivamente, si proseguì verso la realizzazione dell’Unione a venticinque.
Un’ Unione europea a venticinque membri ha rispecchiato per molti versi l’Unione dei quindici, ma per altri versi ha generato un’Unione anche molto diversa. Sono cambiate e continueranno a cambiare, certamente, le relazioni che essa ha stabilito e stabilirà in futuro con i vicini e con il resto del mondo. All’indomani dell’allargamento, infatti, le relazioni che l’Unione è andata a stipulare sono state considerate su tre livelli: l’impatto sui Paesi europei che sono entrati a far parte dell’Unione; i Paesi vicini alle nuove frontiere esterne dell’Unione europea211; i rapporti con il resto del mondo, ossia l’impatto dell’ampia zona commerciale dell’Unione europea sulle relazioni con i partner commerciali di un’economia mondiale organizzata.
Inoltre, è risultato evidente il cambiamento nei rapporti tra piccoli e grandi Stati all’interno dell’Unione stessa, che fino a questo momento non era stato mai un problema centrale e di rilevanza nella storia dell’integrazione
Europe tomorrow: towards the enlargement of the Union, atti del Convegno, Milano, 15-17
febbraio 2001, Milano, 2001, p. 4.
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In questo senso Cfr. G. STROZZI, Diritto dell’Unione europea, Torino, 2005, p. 16 ss.
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europea. Nella nuova Unione, su venticinque Stati, diciannove hanno una popolazione compresa tra i quattrocentomila e i sedici milioni di abitanti, mentre sei Stati, i cosiddetti grandi, non in termini di cultura, ma in termini di peso demografico, hanno una popolazione compresa tra quaranta milioni, come la Polonia e la Spagna, e gli ottantadue milioni, come la Germania. Dunque, i sei grandi Stati riuniscono i tre quarti della popolazione totale della nuova Unione212.
In ogni caso, il primo obiettivo dell’Europa a venticinque è quello di fare in modo che, la Bulgaria e la Romania, gli attuali paesi candidati, che non sono stati dichiarati pronti per l’adesione nel 2004, possano entrare nell’Unione europea nel 2007. La Bulgaria e la Romania il 25 aprile 2005, a Lussemburgo, hanno firmato il Trattato di adesione. Inoltre, in un documento politico della Commissione europea, del marzo del 2003, intitolato Un’Europa
allargata , viene espresso un obiettivo ambizioso che consiste nel proporre ai
vicini orientali e a quelli della regione mediterranea legami sempre più stretti con l’Unione europea, in cambio di progressi verso il rispetto dei valori democratici e l’attuazione delle riforme politiche, economiche ed istituzionali213.
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Cfr. P. PONZANO, “La sindrome di Lilliput: grandi e piccoli Stati membri nella nuova Europa”, in A. A. V. V., L’allargamento da 15 a 25 paesi rafforzerà l’Unione Europea?, Milano, 2005, p. 15 ss.
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Sempre nello stesso documento sono previsti i vantaggi offerti dall’UE, questi comprendono: la partecipazione al mercato interno e alle strutture normative dell’UE; relazioni commerciali preferenziali ed apertura dei mercati; una cooperazione transfrontaliera agevolata e maggiori scambi people-to-people nei settori della scienza, della cultura e dell’istruzione; una più stretta cooperazione contro le minacce alla sicurezza comune e nella prevenzione dei conflitti; l’integrazione nelle reti UE di trasporti, energia e telecomunicazioni, nei programmi di ricerca ecc.; nuovi strumenti per la promozione e la tutela degli investimenti; una maggiore assistenza finanziaria.