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Il ruolo delle istituzioni nel Trattato di Amsterdam: stasi o cambiamento? Gli effetti del Trattato prodotti negli ordinamenti degl

Stati membri.

Il Trattato di Maastricht disponeva che, nel 1996, sarebbe stata convocata una conferenza intergovernativa (CIG), con l’intento di rivedere i Trattati istitutivi dell’Unione Europea e delle Comunità europee, ex art. N, par. 2 (ora art. 48) TUE, una revisione annunciata e programmata fin dall’inizio. I lavori della CIG si aprirono a Torino il 29 marzo 1996 e si conclusero ad Amsterdam, in occasione del Consiglio europeo del 16 – 17 giugno 1997.

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Cfr. A. APOSTOLI, Op. cit., p. 27.

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Il 2 ottobre del 1997, i ministri degli affari esteri degli Stati membri dell’UE hanno firmato il Trattato di Amsterdam e stabilito, che, qualora tutti gli Stati membri avessero ratificato per tempo il Trattato, questo sarebbe entrato in vigore il primo gennaio del 1999. In realtà, quest’aspettativa è rimasta delusa, infatti, i processi di ratifica si sono conclusi nei primi mesi dell’anno, e il Trattato è entrato in vigore il primo maggio del 1999.

Il Trattato di Amsterdam si caratterizza, rispetto agli altri Trattati comunitari, come un Trattato minore53. Ciò non deriva solo dal fatto che la sua finalità è la revisione di alcune parti del Trattato di Maastricht, con conseguenti modifiche parziali del Trattato CE, del Trattato CECA e del Trattato CEEA, ma trae origine, altresì, dalla crisi generalizzata che ha investito, seppure in modo diverso, gli Stati membri.

Il Trattato si presenta diviso in tre parti, per un totale di 15 articoli, con un allegato, 13 protocolli e 58 dichiarazioni comuni, uni, o plurilaterali. La prima parte è costituita dalle ‘modifiche di merito’ che sono state apportate ai Trattati esistenti. Il Trattato, pur continuando a mantenere la sua struttura a pilastri, formalizza e disciplina, in modo nuovo, la cosiddetta “cooperazione rafforzata54”, sia nell’ambito comunitario che in quello dell’Unione. Infatti, il Trattato di Amsterdam pone la cooperazione in oggetto in un titolo apposito, il VII.

Il Trattato valorizza i principi generali, mettendo in rilievo in particolare i diritti fondamentali, introduce qualche miglioramento nella PESC, modifica in modo rilevante il Terzo pilastro sia riguardo alle materie che rimangono sostanzialmente in detto pilastro, ossia la cooperazione di

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Cfr. J. V. LOUIS, “Le Traité d’Amsterdam: une occasion perdue?”, in Revue du Marché

Unique Européen, 1997, p.9 ss.; secondo il quale il Trattato in questione è ricco di

dichiarazioni prettamente simboliche.

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Per cooperazione rafforzata si intendono quelle forme avanzate di integrazione europea che inizialmente sono limitate solo ad alcuni Stati membri e nonostante ciò restano, anche se sono soggette a determinate condizioni, sotto l’egida dell’UE e della CE.

polizia e giudiziaria in materia penale, sia per le materie che vengono comunitarizzate.

In altre parole visti, asilo, immigrazione nonché cooperazione giudiziaria e giuridica in materia civile, prevedendo anche l’incorporazione degli accordi di Schengen. Introduce, poi, all’interno del Primo pilastro, un nuovo capitolo sull’occupazione e sulla riforma della politica sociale sia inserendo nel Trattato CE “l’Accordo sociale” e sia cercando di migliorare le politiche previste da tale pilastro.

Il Trattato di Amsterdam non ha apportato riforme istituzionali, ma, in compenso, ha innovato il sistema decisionale e il sistema di voto nel Consiglio e, infine, ha ampliato, anche se non in maniera del tutto appagante, le competenze della Corte di giustizia. In realtà, i cosiddetti leftovers di Amsterdam, ossia le questioni fondamentali, contenute nel Protocollo55 sulle istituzioni nella prospettiva dell’ allargamento dell’Unione, allegato al Trattato di Amsterdam, erano sostanzialmente tre: la composizione della Commissione, la ponderazione dei voti in seno al Consiglio e l’estensione del campo di applicazione del voto a maggioranza qualificata.

La seconda parte accoglie le disposizioni che mirano ad ottenere la semplificazione dei Trattati, abrogando testi, oramai, superati e i conseguenti adattamenti verificatesi nel tempo. Attraverso questa opera di semplificazione, si sono potute eliminare delle norme vecchie e superflue, e, nello stesso

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Il Protocollo sulle istituzioni nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione europea, allegato al Trattato di Amsterdam, che è stato poi abrogato con il Trattato di Nizza, all’art. 1 dispone che alla data dell’entrata in vigore del primo allargamento dell’Unione europea la Commissione sarebbe stata composta da un cittadino per ogni Stato membro, a condizione che entro tale data la ponderazione dei voti o un sistema di doppia maggioranza fossero accettabili per tutti gli Stati membri e fosse prevista in particolare una compensazione per gli Stati membri che avessero rinunciato alla possibilità di nominare un secondo membro della Commissione. Ai sensi, poi, dell’ art. 2, inoltre, almeno un anno prima che il numero degli Stati membri fosse stato superiore a venti, sarebbe stata convocata una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri allo scopo di procedere a un riesame globale delle disposizioni dei Trattati concernenti la composizione e il funzionamento delle istituzioni. In questo senso Cfr. S. GOZI, “Il Consiglio e la Commissione”, in S. GUERRIERI, A. MANZELLA, F. SDOGATI, (a cura di), Dall’Europa a quindici alla

tempo, se ne sono potute modificare molte altre per aggiornarle e adeguarle alle nuove esigenze della Comunità europea.

Si deve rilevare, però, che tale opera di semplificazione è stata, tutto sommato, piuttosto contenuta, soprattutto per ciò che riguarda le modifiche redazionali, in quanto, per ottenere un risultato differente, sarebbe stato necessario mettere in discussione tutti gli sforzi fatti in precedenza per giungere a soluzioni di compromesso, ma soprattutto si sarebbe dovuto mettere in discussione l’acquis comunitario.

La terza parte, infine, comprende le disposizioni generali e finali. Tra queste, ai sensi dell’art. 12, quella sicuramente più rilevante e innovativa è la disposizione concernente la nuova numerazione di articoli, titoli e sezioni del Trattato sull’Unione e del Trattato CE, che ha creato non pochi problemi.

È da rilevare che, tra le modifiche poste in essere dal Trattato di Amsterdam, vi sono quelle che attengono ai diritti fondamentali.

Infatti, pur senza prevedere una specifica protezione dei diritti umani, il Trattato aggiunge una specifica disposizione, ex art. F.1, oggi art.7, con la quale viene introdotta una complessa procedura che permette al Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato o di governo, con deliberazioni prese all’unanimità, su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione, e previo parere conforme del Parlamento europeo, di constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi previsti dall’articolo in questione.

Lo stesso Consiglio, seguendo una dettagliata procedura, può sospendere alcuni dei diritti attribuiti allo Stato in quanto membro dell’Unione europea. Sebbene la tutela dei diritti umani non rientri fra le competenze della Comunità.

In Italia, nonostante le molte proposte, da parte della dottrina56, sull’intervento attraverso legge costituzionale, al fine di introdurre norme relative al processo di integrazione europea, si è proceduto a ratifica del Trattato attraverso legge ordinaria.

Nel caso del Trattato di Maastricht la prassi è rimasta ancorata ad una interpretazione evolutiva dell’art. 11 della Costituzione. Relativamente alla ratifica del Trattato di Amsterdam, veniva auspicata e fortemente caldeggiata una riformulazione dell’art. 11 Cost., in modo tale da tenere presente la realtà europea e garantendo i diritti inviolabili della persona e il principio democratico.

In sostanza, si riteneva necessaria la partecipazione delle Camere alla formazione della politica comunitaria e dei relativi atti normativi; rafforzando il ruolo della Corte costituzionale e istituendo il sindacato preventivo sulla ratifica di alcuni accordi internazionali; coinvolgendo le regioni sia nella fase di formazione degli atti comunitari e disponendo la previsione di norme costituzionali esplicite sull’Unione, in modo che fosse evidente la limitazione di sovranità imposta dal diritto dell’Unione europea.

Tutti questi propositi sono stati affidati ad una Commissione bicamerale, che avrebbe dovuto agire nell’interesse di una revisione costituzionale. In realtà, non si è giunti ad una risoluzione delle problematiche esposte, in quanto la Commissione in oggetto, a seguito di eventi politici interni all’ordinamento costituzionale, è stata portata allo scioglimento e , così, il Trattato di Amsterdam è stato ratificato, come tutti gli altri Trattati dell’Unione Europea, attraverso l’adozione di una legge ordinaria.

Negli altri Stati membri, i problemi di costituzionalità riguardo alla ratifica del Trattato sono stati risolti ricorrendo alle procedure, già adottate in passato, per il Trattato di Maastricht come sopra menzionate.

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Cfr. A. VIGNUDELLI, “Sulla forza del Trattato costituzionale europeo”, in Quaderni

Costituzionali, 2005, p. 159 ss. Cfr., altresì, L. GIANNITI, “La ratifica del Trattato

A ben vedere, la ragione per la quale sorgono difficoltà al momento della ratifica dei Trattati da parte degli Stati membri, risiede nel concetto di sovranità57, radicato negli ordinamenti costituzionali degli stessi Stati.

Infatti, analizzando le Costituzioni nazionali dei quindici Stati membri si riscontra, in modo assolutamente evidente, che il modo in cui l’integrazione europea è inserita nei testi costituzionali è spesso deludente e inconsistente58.

È frequente la tendenza ad utilizzare vecchie disposizioni riguardanti il trasferimento di poteri, piuttosto che adottare nuove e specifiche disposizioni a livello comunitario. Gli Stati membri, in altri termini, hanno timore a cedere sovranità in settori diversi da quello economico e ciò comporta, inevitabilmente, un arresto del processo di integrazione europea.

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Ogni ordinamento giuridico ha come elemento necessario, l’organizzazione, che è costituita dal complesso degli uffici mediante i quali esso agisce al fine di esercitare la sua sovranità, intesa in quanto somma delle potestà pubbliche dello Stato, si esercita su un territorio definito e sul corpo sociale su di esso stanziato. La nozione di sovranità nasce storicamente per una ragione politica precisa, ossia per attribuire al sovrano dei regni e dei principati ormai liberati dal vincolo della supremazia imperiale, una somma di poteri supremi atti a reggere la cosa pubblica. La supremazia del potere, che è una caratteristica peculiare dell’ordinamento statale, durante il processo formativo dello Stato moderno, ha assunto un nome diverso, appunto, sovranità. Il concetto di sovranità, da sempre, per gli Stati ha rappresentato l’elemento fondamentale, e quindi l’elemento costitutivo e anche distintivo, del loro essere. Il concetto di sovranità sarà oggetto di trattazione nel capitolo II del presente lavoro. In questo senso Cfr.C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Vol. I, Padova, 1975, p. 98 ss. Cfr., altresì, E. CORTESE, voce Sovranità, in Enciclopedia del diritto, p. 205 ss.. Cfr., ancora, R. MORETTI, voce Sovranità popolare, in Enciclopedia giuridica

Treccani, p. 1 ss. Cfr. M. S. GIANNINI, voce Sovranità, in Enciclopedia del diritto, p. 224

ss.

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La nuova tutela “rafforzata” dei diritti fondamentali nel Trattato

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