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e in taglio basso appariva un’intervista di sartori a Mozzi:

Nel documento Il reportage fotografico a parole (pagine 109-114)

Come potresti descrivere i Reportage fotografici a parole che hai chiesto di svolgere agli studenti coinvolti nell’ambito del progetto «Scuola d’Autore»?

ai ragazzi è stato chiesto di “scattare delle istantanee” nelle strade della città o del paese dove abitano; “istantanee” da farsi però non con la macchina fotografica ma con le pa-role. Non si tratta di andare a caccia di eventi speciali e particolari, ma semplicemente di scendere in strada o in piazza, di andare al parco, di sostare alla fermata dell’autobus, eccetera, e annotare ciò che accade, qualunque cosa accada. anche una cosa da nulla:

due ragazzi chiacchierano, una signora guarda una vetrina, un tipo va a spasso col cane, due operai scaricano casse di verdura da un furgone. Un esercizio, insomma, di attenzione alla modesta realtà di tutti i giorni. a tutti quegli avvenimenti dei quali non ci accorgiamo mai. Il gioco, chiamiamolo così, prevede anche una precisa indicazione di scrittura: i “reportage a parole” devono essere “impersonali” come le vere fotografie, non contenere né commenti né osservazioni. Il modello, se si vuole, è il Tentativo di esaurire un luogo parigino di Georges perec. Ciascun - ragazzo, appena scritta la sua

“istantanea”, la pubblica in un apposito blog interno alla piattaforma dell’IpRase; e gli insegnanti, come falchi appostati, si avventano su di lui per proporre, nello spazio dei commenti, correzioni, revisioni e riscritture.

E che valutazione ne dai, con il senno di poi?

È stato un lavoro gigantesco! Nel giro di poche settimane i ragazzi hanno scritto mez-zo migliaio di “istantanee”. e anche l’attività di correzione da parte degli insegnanti è diventata frenetica. per me è stato bello ed emozionante veder apparire sullo schermo,

man mano, una vera folla di avvenimenti, luoghi, personaggi. e altrettanto bello è stato vedere come è aumentata nei ragazzi, grazie all’esercizio e all’ascolto delle indicazio-ni degli insegnanti, la capacità di raccontare speditamente, di segnalare i particolari importanti, di staccare le figure dallo sfondo, di gestire le dinamiche delle interazioni e delle conversazioni tra i personaggi. Nel “retrobottega”, intanto, è stato interessante veder dispiegarsi le diverse strategie correttive di ciascun insegnante; tant’è che quando tra qualche giorno ci incontreremo, tra insegnanti, per tirare un po’ le somme dell’e-sperienza, credo che quello del “come correggere” sarà il tema principale.

Una cosa che mi piacerebbe, ecco, è questa: fare una selezione delle “istantanee” pub-blicate e trasformarla in un libro. se si pubblicano tanti libri fotografici su Trento e pro-vincia, non vedo perché non si possa pubblicare anche un “fotoreportage a parole”…

Presumo che uno dei fini di questo esercizio sia quello quello di liberare i partecipanti dalla “convenzionalità” dello sguardo (e quindi della scrittura che ne deriva), convenzio-nalità che forse da noi è più evidente che in altri paesi (“Italiani pecore anarchiche” è il titolo di un trattatello di Gervaso). Ma in fondo ogni esercizio di scrittura, in Italia come altrove, è una strenua lotta contro i luoghi comuni. Mi sbaglio?

No. però i “luoghi comuni” sono anche quelli che ci permettono di incontrarci e di ritrovarci. La scrittura sta nella tensione tra la “lingua comune”, nel senso della lingua di tutti i giorni, della lingua puramente funzionale alla vita della comunità, e la “lingua comune”, nel senso di ciò che come animali linguistici abbiamo profondamente, pro-fondissimamente in comune. È ovvio che nella scuola ci si può dare solo l’obiettivo di addestrare i ragazzi al buon uso della lingua comune-funzionale. e tuttavia mi pare che l’esercizio dei modi più schiettamente funzionali della lingua possa comunque servire da avviamento alla scoperta della lingua comune-profonda nel secondo senso. soprat-tutto se, come nel nostro Reportage fotografico a parole, si è costretti a un uso della lingua comune-funzionale paradossalmente imbarazzante: cioè come pura funzione, pura referenza.

Prima di essere un docente, tu sei uno scrittore: le tue prime raccolte di racconti, in parti-colare, continuano a essere ripubblicate, e sono importanti nel panorama della narrativa italiana. E come scrittore sei molto attento alle tematiche relative all’atto di scrivere, e non a caso i tuoi testi attuali hanno sempre una componente “sperimentale”. Mi piacerebbe quindi sapere se il Mozzi scrittore ha ricavato qualcosa, da questa esperienza.

Ho ricavato qualcosa di molto privato. Ovviamente un po’ di “istantanee” le ho scattate anch’io – perché non bisogna mai chiedere agli studenti di fare ciò che in proprio non ci si esercita a fare –; e a forza di cercare il modo più «condensato» di restituire certi microavvenimenti visti per la strada, mi sono trovato a scrivere dei piccoli componi-menti in versi: nel tentativo di sfruttare quel minimo di evocatività in più che l’andare a capo offre, per liberare l’“istantanea” dalla folla dei particolari e inquadrare una e una cosa sola. Naturalmente adesso andremo a proporre, almeno a qualche classe, di fare l’esperimento delle “istantanee in versi”... e così l’esperienza privata ritorna in pubblico, in un “luogo comune”.

L’uscita pubblica nel quotidiano non fu senza conseguenze. Un editore locale di buon livello si fece vivo, si disse incuriosito. Ragionammo un po’ attorno alla possibi-lità di fare davvero un libro con i Reportage. alla fine non se ne fece nulla: ma, come dire, anche i quasi hanno il loro valore.

F. Il perché di questo racconto

Dopo aver esposto nella prima sezione di questo volume il «Come si fa» del

Re-portage, ci è sembrato utile raccontare nella presente sezione, che qui va a terminare,

il «Come abbiamo fatto a farlo». Ci è sembrato utile raccontare l’origine dell’idea,

le esitazioni nella proposta, le correzioni di rotta durante il viaggio, le difficoltà, le

divergenze d’approccio. Ma utile a cosa? Utile a comunicare meglio – speriamo –

l’ef-ficacia e la ricchezza di questo strumento didattico; ma utile anche a mostrare come

uno strumento didattico possa essere inventato a partire da una suggestione (il Jic e

il Dico, perec ecc.) e pian piano costruito da un gruppo d’insegnanti che discutono,

provano, esitano, si mettono in discussione, cambiano rotta, affrontano le

conseguen-ze impreviste, imparano facendo e imparano dai propri colleghi e dagli studenti (non

solo i propri). Ora il Reportage è un modello, un qualcosa che si può proporre

dicen-do: fate così e così (come abbiamo fatto nella prima sezione). Ma, se spesso si imputa

alle proposte didattiche il difetto di una certa astrattezza, ci interessava certificare che

il Reportage no, è tutt’altro che una proposta astratta: è uno strumento che ha

attra-versato due anni di collaudo, turbinoso il primo e più sicuro il secondo, e proprio nel

collaudo ha mostrato – al di là di ogni speranza – la propria potenza.

con le classi a scuola di reportage: cronaca di un percorso

Nel documento Il reportage fotografico a parole (pagine 109-114)