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Istantanea di Gabriele

Nel documento Il reportage fotografico a parole (pagine 193-200)

Un signore con una valigetta di pelle consunta e una signora con una pelliccia nera che le arriva a metà coscia camminano chiacchierando lungo il marciapiede.

Quando arrivano davanti al portone di legno chiaro sotto il cartello che rappresenta un uomo e una donna stilizzati, l’uomo esclama: «O che l’è na banda de incompetenti!» e prende una chiave dalla tasca della giacca a vento grigia che inserisce nella serratura;

apre la porta e mentre entrambi entrano la donna risponde: «Sì, perché…». L’anta si richiude alle loro spalle troncando il rumore delle loro voci.

Passano sei minuti e il portone si riapre con la voce dell’uomo che sbotta: «Sicome i’è abituadi così…», la donna annuisce e lui si gira per chiudere a chiave, la inserisce nella toppa ma non gira, allora si mette la valigetta tra le ginocchia, afferra la maniglia in me-tallo scuro e tira verso di sé e finalmente riesce a serrare definitivamente il portone dei bagni pubblici.

Le due persone si voltano e si incamminano nel verso opposto rispetto a quello da cui erano venuti riprendendo la conversazione interrotta quando la serratura si era bloccata.

DIscussIone Gianluca Trotta:

Gabriele, mi sembra che in moltissimi luoghi del tuo testo tu abbia “sforato” la misura del periodo. In poche parole: metti troppi pochi punti fermi dove invece andrebbero messi (non è un peccato mortale fare frasi brevi!). Ti faccio un solo esempio, riscrivendo il tuo penultimo capoverso (metto anche degli “a capo”, e altra punteggiatura oltre la virgola);

per il resto puoi pensarci tu: basta che concludi il periodo dove si conclude un Sottotema, un’azione, un’inquadratura, etc. (non so come meglio spiegarmi; spero, con l’esempio, di essere meno ambiguo).

Passano sei minuti e il portone si riapre. La voce dell’uomo sbotta:

«Sicome i’è abituadi così…».

La donna annuisce.

Lui si gira per chiudere a chiave: la inserisce nella toppa ma non gira. Allora si mette la valigetta tra le ginocchia, afferra la maniglia in metallo scuro e tira verso di sé. Fi-nalmente riesce a serrare definitivamente il portone dei bagni pubblici.

E poi, altra cosa: mi sembra anche che tu ecceda in gerundi e frasi relative, che appe-santiscono un po’ troppo la narrazione (ad esempio, sin dal primo periodo, perché non scrivi «camminano e chiacchierano»?).

Che dici?

Giulio Mozzi:

Altra noterella. La presentazione dei personaggi, Gabriele, potrebbe essere un po’ più svelta. Tu scrivi:

Un signore con una valigetta di pelle consunta e una signora con una pelliccia nera che le arriva a metà coscia camminano chiacchierando lungo il marciapiede.

….prende una chiave dalla tasca della giacca a vento grigia…

Si potrebbe inserire la giacca a vento già nella prima frase, così il lettore ha già una vi-sione più piena del personaggio; e si potrebbe togliere il «che le arriva», semplificando quindi la sintassi. Una cosa del genere:

Un signore in giacca a vento grigia con una valigetta di pelle consunta e una signora con una pelliccia nera lunga fino a metà coscia camminano chiacchierando lungo il marciapiede.

Poi: prima scrivi:

…al portone di legno chiaro sotto il cartello che rappresenta un uomo e una donna stilizzati…

e poi invece scrivi:

…finalmente riesce a serrare definitivamente il portone dei bagni pubblici.

Devi scegliere. I casi sono due:

-o decidi che descrivi e basta, e quindi descrivi il cartello come se tu non sapessi cosa significa (cioè, per dire, come se tu fossi un marziano appena capitato a Trento), -oppure decidi di comportarti diversamente, e quindi da subito dici che si tratta dei

bagni pubblici.

Per esempio:

…al portone di legno chiaro dei bagni pubblici, sotto il cartello che rappresenta un uomo e una donna stilizzati…

Buon lavoro.

Amedeo Savoia:

Mi piace, Gabriele, questa conversazione. I due frammenti prendono notevole risalto nella cornice delle tre lunghe ellissi (ti ricordi? Sono i salti nella narrazione): l’argomento di confronto mentre arrivano, i sei minuti in cui scompaiono dietro il portone e il dialogo mentre si allontanano.

Segui le sagge indicazioni di Gianluca Trotta e di Giulio Mozzi. Sull’alternativa che ti pone Mozzi, per questa scena ti preferisco marziano. Ma decidi tu.

Mi resta qualche dettaglio.

Quando arrivano…

potrebbe ridursi a Giunti…

Vediamo la prima frase in dialetto che riporto:

“O che l’è na banda de incompetenti!”

Il dialetto tronca spesso le parole e lo fa all’inizio o alla fine delle stesse. L’apostrofo è il segno che indica il troncamento (scriviamo «po’» con l’apostrofo perché indica il tronca-mento della parola «poco»). Anche quando il dialetto, come spesso accade, tronca una parola, bisogna introdurlo prima o dopo a seconda di dove avviene il taglio. Nel caso della tua frase ne va certamente uno prima di «’na» in quanto deriva da «una». Tenderei anche a tagliare la «i» iniziale di «incompetenti» perché la dizione dialettale invita a fare così. A meno che il signore non abbia voluto sottolineare la parola pronunciandola per intero. Tu hai sentito la frase e magari puoi ricordare.

Ho un dubbio anche sull’«O» iniziale. Può essere la congiunzione coordinativa disgiun-tiva («Bello o brutto») o un’esclamazione. Nel primo caso bisognerebbe farlo precedere dai tre punti di sospensione perché si presuppone una prima parte della frase in cui si pone la prima possibilità: ad esempio, «O che no’ i saveva o che l’è ‘na banda de ‘ncom-petenti». Tolta la prima parte diventa così:

«…o che l’è ‘na banda de ‘ncompetenti!»

Se invece è un’esclamazione, bisogna scrivere “Oh”:

«Oh che l’è ‘na banda de ‘ncompetenti!»

Come dire: «lo so bene io che non sanno fare niente come si deve».

Finezze.

Toglierei

troncando il rumore delle loro voci perché il lettore lo capisce da sé.

Prova a scrivere

Dopo sei minuti il portone si riapre

«I» è senza apostrofo perché non c’è troncamento.

…per chiudere a chiave

è una interpretazione. Basta dire che l’uomo chiude il portone e infila nella toppa la chia-ve che non gira. Ma bisogna evitare anche i due «gira».

Ti rinvio alle osservazioni di Trotta sull’esigenza di introdurre punti fermi ed eventuali “a capo” secondo il criterio di Mozzi: vado a capo quando cambia l’inquadratura.

Prendo in considerazione questa frase

…finalmente riesce a serrare definitivamente il portone…

Cos’è quel «serrare»? Può essere pericoloso usarlo come sinonimo di «chiudere». Sem-bra quasi una italianizzazione del dialetto. In questo caso comunque non funziona. Visto però che il nostro problema è la chiave che non gira, potresti rivedere il testo dicen-do che, dicen-dopo che l’uomo ha tirato con più forza l’anta, la chiave gira per x volte. E il

«definitivamente» non serve.

Ultima osservazione. Secondo me non occorre dire che durante le operazioni di chiusura la conversazione si interrompe perché il lettore lo capisce da solo.

Riscrivi il testo.

Gabriele:

Grazie per gli utili suggerimenti. Ho provato a riscrivere il brano e spero vada meglio:

Un signore in una giacca a vento grigia con una valigetta di pelle consunta e una signo-ra con una pelliccia nesigno-ra lunga fino a metà coscia camminano e chiacchiesigno-rano lungo il marciapiede.

Giunti davanti al portone di legno chiaro sotto il cartello che rappresenta un uomo e una donna stilizzati, l’uomo esclama: «… o che l’è ‘na banda de ‘ncompetenti!».

Prende una chiave dalla tasca della giacca e la inserisce nella serratura. Apre la porta e, mentre entrano, la donna risponde: «Sì, perché…».

L’anta si richiude alle loro spalle.

Passano sei minuti e il portone si riapre con la voce dell’uomo che sbotta:

«Sicome i è abituadi così…».

La donna annuisce.

Lui si volta: inserisce la chiave nella toppa ma non gira. Allora si mette la valigetta tra le ginocchia, afferra la maniglia in metallo scuro e tira verso di sé. Uno, due, tre giri, final-mente il portone si chiude.

Si girano e si incamminano nel verso opposto rispetto a quello da cui erano venuti mentre riprendono la conversazione interrotta.

Amedeo Savoia:

Bravo, Gabriele, mi piace molto la tua scena perché non pretende di spiegare tutto.

Istantanea di edoardo

Due signore conversano:

«Ciao Paola» dice la signora sul marciapiede, con i capelli lunghi e bruni e gli occhi azzurri.

«Ei Ciao, come stai?» ribatte la signora più bassa, con un berretto grigio da cui tuttavia fuoriescono lateralmente delle ciocche castane che le mascherano le orecchie.

«Bene grazie, e anche tu, vedo che sei in forma e dimagrita» dice la signora sul mar-ciapiede che indossa un cappotto nero, pantaloni scuri e stivali marroni tagliati da due linee nere verticali.

«Eh si sto diventando atletica, io e la Manuela andiamo tutti i mercoledì a correre» dice la signora con il berretto che ora si è spostata anch’essa sul marciapiede e ha posato la sua borsa in pelle nera che teneva a tracolla.

«Anch’io dovrei fare sport perché sto conquistando lo spazio, proprio ieri ho domandato a mio marito se mi accompagnava in palestra ma quel pegro non ha fatto altro che stare sul divano e non degnarmi di uno sguardo».

«Ah anche il mio Giacomo ha messo su una pancia da far schifo ma lavora sempre e quindi non gli si può dire nulla».

«È vero ma non è sano, guarda che quando ho iniziato a lavorare avevo un fisico da paura ora mi faccio 9 ore al giorno e non ho più tempo libero».

«A proposito di lavoro è meglio che vada» finita la frase la signora con il berretto riprese in spalla la borsa e alzata la mano destra in segno di saluto, si avviò in cammino lungo la via.

L’altra signora a questo punto entrò nel municipio che si ergeva alle sue spalle, adorno di affreschi sbiaditi e talvolta scrostati che circondavano una grande volta in marmo rosso intarsiata con altre pietre, sopra la quale aggettava un balcone decorato con tre bandire.

DIscussIone Giulio Mozzi:

Edoardo, prima una cosa un po’ buffa. Tu scrivi:

«Ciao Paola» dice la signora sul marciapiede, con i capelli lunghi e bruni e gli occhi azzurri.

«Ei Ciao, come stai?» ribatte la signora più bassa

e a me viene subito in mente che la signora «più bassa» è più bassa perché è giù dal marciapiede. Ma suppongo che non sia così.

Poi: in questo inizio del dialogo, mi par di capire che la signora più alta ha visto la più bassa che stava passando, l’ha salutata, e la più bassa si è fermata.

Giusto?

Se è così, è questo che devi raccontare. Sennò, con il testo così com’è ora, sembra che le due signore siano già li ferme, e che per salutarsi e cominciare a parlare aspettino solo… il ciak! del regista (che sei tu).

Poi, cercherei di limitare certe macchinosità descrittive. Ad esempio:

…con un berretto grigio da cui tuttavia fuoriescono lateralmente delle ciocche casta-ne che le mascherano le orecchie.

potrebbe diventare

…con un berretto grigio da cui fuoriescono ciocche castane oppure

…con un berretto grigio e ciocche castane sulle orecchie.

I connettivi («ma», «perciò», «tuttavia», «quindi», eccetera) sono spesso utili, ma biso-gna stare attenti a non esagerare: metterne troppi, o anche uno solo ma a sproposito (com’è il tuo «tuttavia» in questo caso, secondo me) rende tutto più pesante.

L’uso dei partitivi («delle ciocche») è ugualmente un “fattore di pesantezza”. Meglio evi-tarli, e casomai usare il sostantivo senza articolo.

Anche l’uso di parole non della lingua più comune contribuisce a rendere macchinosa una descrizione: «fuoriescono», «lateralmente», «mascherano», sono parola importanti, sonore, che si fanno notare. Tutto cambierebbe sostituendole con parole più comuni.

…con un berretto grigio da cui ciocche castane scappano e coprono le orecchie.

oppure

…con un berretto grigio da cui scappano, coprendo le orecchie, ciocche castane.

«Scappano» e «coprono» mi sembrano parole più comuni di «fuoriescono» e «masche-rano». Il partitivo è eliminato, il connettivo anche. L’ultimo esempio – ormai l’avete capita che ce l’abbiamo un po’, con i gerundi – è un esempio di gerundio ben usato. Un piccolo segreto: tanto più è breve la frase con gerundio, tanto più è probabile che funzioni bene.

Amedeo Savoia:

Il tuo dialogo è interessante, Edoardo, e dovrei prenderne spunto per pensare alla mia linea.

Ho apprezzato il fatto che hai distribuito la descrizione dei personaggi lungo il dialogo seguendo precedenti suggerimenti.

I tuoi reportage, che pubblichi con lodevole puntualità, consentono di individuare una specie di “stile Edoardo” caratterizzato principalmente dalla presenza di dialoghi spesso vivaci fra due personaggi di simile estrazione (due bambini per lo più, due signore come in questo caso) e dalla collocazione in coda degli elementi di sfondo. Avere uno stile è

di per sé un pregio, ma se riesci a variare impari ad affrontare nella scrittura situazioni diverse.

Ad esempio, se collochi i personaggi nello sfondo fin dall’inizio – anche solo con qualche dettaglio –, il lettore visualizza meglio l’azione.

Secondo me, non serve affermare all’inizio che due persone conversano dal momento che il dialogo già lo fa capire. La prova è che, se tolgo la frase, il testo non perde signi-ficato.

L’articolo determinativo indica che un oggetto o una persona sono già stati determinati, sono riconoscibili. Nel momento in cui introduci un personaggio devi usare l’articolo in-determinativo. Toglierei, invece, del tutto l’articolo da «capelli» e «occhi».

Correggi:

”Ehi, ciao. Come stai?” risponde una signora…

Conta quante cose ho modificato di ortografia, punteggiatura e lessico. Mi soffermo solo su quest’ultimo aspetto: «ribattere», come anche «replicare», significa – pensa al tennis – «battere respingendo», cioè rispondere rifiutando. Sarebbe stato adatto se, al saluto della prima, la seconda signora avesse risposto così:

«Ciao, Paola» dice una signora.

«Non me ne faccio niente del tuo ciao» ribatte…

Potrei essere più colorito, con licenza parlando:

«Ciao, Paola» dice una signora.

«Vai a c…» ribatte l’altra.

Insomma, per usare «ribattere» ci vuole un conflitto.

«Sì» si scrive con l’accento. Siete così tanti a sbagliarlo che sto perdendo la speranza di rimediare.

Non è facile mettere la punteggiatura a un dialogo perché dipende da come sono l’into-nazione e il ritmo del parlato. Prova a leggere ad alta voce e a cogliere la differenza fra le due proposte che ti faccio confrontandole con la tua:

«Eh si sto diventando atletica, io e la Manuela andiamo tutti i mercoledì a correre»

Prima proposta:

«Eh sì! Sto diventando atletica: io e la Manuela andiamo tutti i mercoledì a correre»

Oppure:

«Eh sì, sto diventando atletica. Io e la Manuela andiamo tutti i mercoledì a correre»

Come hai fatto tu, mi sembra meno definito: utilizzi quasi solo la virgola e questo appiat-tisce il testo. Prova a rivedere la punteggiatura di tutto il dialogo. Due avvertimenti: non abusare dei punti esclamativi e affidati di più ai punti fermi.

Un problema di coerenza spaziale su questa frase:

…che ora si è spostata anch’essa sul marciapiede…

Avevi detto prima che la seconda signora era sulla strada? Non mi pare. Questo indizio mi fa realizzare che il lettore non ha informazioni precise sulla distanza e sui movimenti dei personaggi. Se capisco bene le due donne prima erano distanti e progressivamente si avvicinano. O meglio: la seconda raggiunge la prima sul marciapiede. Devi precisare questi aspetti.

Seconda cosa: dove ha posato la borsa la signora? È uno strano gesto se non ha una motivazione. Anche questo è un aspetto da perfezionare.

«Pegro» – se non è un refuso – è un’incursione del dialetto in un italiano piuttosto sgram-maticato. Se è così, devi in qualche modo renderlo riconoscibile usando il corsivo pegro o gli apici ‘pegro’.

Cosa è successo nella parte finale, Edoardo? Improvvisamente sei scivolato sul passato remoto. Perché? Non so darmi una spiegazione di questo fatto.

Ultime considerazioni.

Dopo un dialogo così serrato, il lettore non sa più chi è «l’altra signora».

Rivedi anche la descrizione della facciata del municipio. Aiutati con internet se non riesci a tornare sul posto. Due punti di attenzione: che cosa rappresentano quelli che tu chiami

«affreschi»? Ti ricordi quante erano le bandiere? Potresti dire quali sono e avresti una bella iniezione di colori.

Riscrivi il tuo testo.

Edoardo:

Grazie a tutti coloro che hanno commentato il mio reportage, rendendolo migliore.

Una signora vede una conoscente che stava passeggiando davanti al municipio, la sa-lutata, ed inizia la conversazione:

«Ciao Paola» dice la prima signora, sul marciapiede, con i capelli lunghi e bruni e gli occhi azzurri.

«Ei Ciao. Come stai?» risponde la signora sulla strada, con un berretto grigio da cui ciocche castane scappano e coprono le orecchie.

«Bene grazie, e anche tu, vedo che sei in forma e dimagrita» dice la signora sul marcia-piede con un cappotto nero, pantaloni scuri e stivali marroni tagliati da due linee nere verticali.

«Eh sì! Sto diventando atletica: io e la Manuela andiamo tutti i mercoledì a correre» dice la signora con il berretto che ora si è spostata anch’essa sul marciapiede e ha posato la sua borsa in pelle nera che teneva a tracolla.

«Anch’io dovrei fare sport perché sto conquistando lo spazio, proprio ieri ho domandato a mio marito se mi accompagnava in palestra ma quel ‘pegro’ non ha fatto altro che stare sul divano e non degnarmi di uno sguardo».

Nel documento Il reportage fotografico a parole (pagine 193-200)