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Intervista ad Aditya , studente indiano di Ingegneria Aerospaziale 159 • Descrivi chi sei e come sei arrivato in Italia

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D. Trascrizioni delle interviste fatte agli studenti aiutati dall’associazione

D.1. Intervista ad Aditya , studente indiano di Ingegneria Aerospaziale 159 • Descrivi chi sei e come sei arrivato in Italia

“Sono Aditya Reddy ma i miei amici mi chiamano «Adi». Sono del Sud dell’India, di un piccolo paese… posso dire che il mio computer è stato il primo nel mio paese, per farti capire quanto fosse piccolo. Quando ero piccolo, ero solito osservare il cielo e mi chiedevo cosa vi ci fosse davvero. Ero molto affascinato dal cielo, dalle stelle… così decisi di studiare qualcosa di correlato. Ho cercato dove studiare cose di questo tipo ma, essendo il mio un paese piccolo, non trovavo molte informazioni; in seguito, attraverso amici e amici di amici, ho trovato questo corso di Ingegneria Areonautica in India e ho cominciato a studiare. Per farlo, ho dovuto allontanarmi 500 km da casa, sono stato in una casa dello studente ed ho studiato lì per 4 anni. Non ero soddisfatto di quell’istruzione… volevo imparare di più. In quel periodo, tutti i miei amici lavoravano in aziende informatiche… ma io pensavo che ci doveva essere qualcosa di più per me… Esiste l’«Institute of Science» in India; sono andato lì a lavorare per due anni ed ho fatto delle ricerche sugli aerei utilizzati per la difesa indiana. Mentre lavoravo lì, un professore mi ha consigliato di andare a studiare all’estero. Io non amavo molto l’idea di andare negli Stati Uniti d’America… la maggior parte degli indiani impazzisce all’idea di andare a fare un anno di studi lì ma a me non piaceva l’idea perché il programma di studi di Ingegneria Aerospaziale ero troppo specifico […]. Poi, per puro caso, è successo che io e un mio amico stavamo parlando dei posti più belli al mondo e lui mi chiese: «Conosci Venezia?» e io: «Sì, è in Italia»; lui: «Perché non vai a studiare in Italia?»… e così ho subito cercato su internet, ho trovato un corso di Ingegneria Aerospaziale a Pisa e poi sono venuto qui […].

• Come sei arrivato all’associazione Sante Malatesta?

Quando sono arrivato qui non conoscevo nulla… ho cercato un ragazzo indiano che qui faceva il dottorato in Ingegneria Chimica; l’ho contattato e lui mi ha aiutato con l’alloggio. Pagavo 300 euro al mese per stare lì, più gli extra per le tasse… I miei genitori sono contadini e, quindi, non hanno profitti mensili fissi, ma devono aspettare un anno per vedere quanto hanno guadagnato dopo aver venduto il raccolto. Così avevo chiesto un prestito alla banca in India per gli studi […] era un prestito enorme ma ho speso tutti quei soldi in un anno perché l’alloggio e le tasse erano costosi. Così, dopo quell’anno, dovevo auto-finanziarmi. Ho cercato un lavoro part-time e l’ho trovato a Pavia. Sono stato lì due anni a insegnare inglese… una

Tale intervista è stata condotta in lingua inglese per cui la trascrizione è una mia traduzione, e

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volta o due al mese venivo a Pisa per dare gli esami… cercavo di studiare nel tempo libero. Così facendo, però, il mio corso di studi, che sarebbe dovuto durare due anni, si è esteso a 4 anni. Tutti i soldi che stavo guadagnavo li spendevo lì per l’affitto e le tasse. I miei studi, quindi, non stavano andando avanti. Allora sono tornato a Pisa e ho cominciato a fare grandi sforzi. Ho vissuto da amici per 6 mesi senza pagare nulla e poi, tramite un amico di un amico, sono venuto a conoscenza di quest’associazione che aiuta studenti in difficoltà. Di solito non mi piace chiedere aiuto […

];

così, la prima volta che sono venuto, non sapevo come spiegare la mia situazione e ho semplicemente detto che dovevo pagare le tasse universitarie e non avevo i soldi per farlo. I volontari sono stati così disponibili che non mi hanno fatto ulteriori domande… probabilmente avevano capito la mia situazione. Mi hanno detto: «Va bene, dacci il conto da pagare e noi mettiamo una parte dei soldi mentre tu contribuisci con quello che puoi». Questo è come tutto è cominciato. Poi sono diventati così amichevoli che per qualsiasi mio problema mi venivano subito in mente loro; venivo qui e dicevo: «Ho questo problema, cosa devo fare?». Così, quando i miei amici hanno dovuto lasciare la casa dove vivevamo, io non avevo più un posto dove stare; non potevo chiedere soldi ai miei genitori perché sapevo della situazione a casa… la banca faceva pressione per il prestito che avevo chiesto tempo prima… era davvero complicato. Così ho chiesto aiuto all’associazione e loro mi hanno trovato un alloggio presso il Toniolo, una struttura che riserva stanze specifiche per questi casi. Non so quando potrò ripagare tutto ciò che mi hanno dato… ma ciò che posso fare ora è finire il mio corso di studi il prima possibile; è la cosa migliore che io possa fare per loro. Se finisco il mio corso, loro ne saranno felicissimi, potranno pensare che hanno tratto benefici dai soldi spesi […]. Forse, a causa della lingua, non ho molto interagito con gli italiani. Conosco poche persone che parlano inglese qui; ho capito che gli italiani sono molto propensi all’aiuto dopo che ho conosciuto queste persone… capivo che la lingua era una barriera. Così ho chiesto nuovamente aiuto all’associazione e loro mi hanno indicato dei corsi gratuiti di italiano. Ora li sto seguendo e, probabilmente, se ci sarà un’altra intervista, la farò in italiano”.

• Come ti sei integrato nell’ambiente universitario?

“Riguardo agli studenti del mio corso, ce ne sono due o tre che parlano inglese con cui ho legato molto… con gli latri non ho parlato molto… solo se lavoravo con loro in gruppo per un progetto. C’è una piccola differenza culturale: il sistema educativo italiano è molto diverso da quello indiano; da noi ci sono questionari con risposte multiple a cui rispondere e poi ci danno il voto… qui, invece, ti fanno le domande faccia a faccia. Per noi è strano; abbiamo faticato molto per abituarci a questo sistema. In questo ci sono stati d’aiuto gli studenti italiani; nonostante le barriere linguistiche, erano sempre disponibili e provavano ad aiutarci in qualsiasi modo. I professori, diversamente dall’India, dove non ci puoi parlare perché sembra che tu voglia insegnare loro qualcosa, qui sono come amici… ci trattano da pari e se abbiamo dubbi ce li spiegano. Per tutto questo sono davvero molto contento di essere in Italia”.

• Ci sono state altre differenze culturali che ti sono rimaste impresse?

“Sì… la società indiana è molto conservatrice… quando ho parlato con una ragazza per la prima volta avevo 15 anni… perché non era permesso a noi ragazzi parlare con loro a scuola. Se ci provavamo, ci mandavano dal preside per una nota. Ci dicevano che eravamo lì per studiare e che dovevamo concentrarci solo su quello. Erano molto restrittivi su questo punto. Arrivato qui, le ragazze erano così amichevoli che per me e gli altri indiani era davvero strano… col tempo ci abbiamo fatto l’abitudine. Soprattutto per quanto mi riguarda, ho pensato che non importava più se parlavo con un uomo o con una donna… era uguale. In India, invece, se parli per più tempo con una ragazza, le persone cominciano a pensare male. Questo per me è stato un vero shock culturale. Riguardo ad altro… forse qualcosa di relativo alla cucina. Qui si mangia molta pasta mentre da me molto riso. Quando gli amici italiani hanno invitato noi indiani a pranzo, hanno pensato di cucinarci il riso […]. Perciò,

nonostante le differenze culturali, c’è molta apertura e disponibilità da parte degli italiani”.

• Le persone italiane si interessano alla tua cultura?

“Molti italiani che ho conosciuto mi hanno detto più cose dell’India di quanto mi aspettassi. Qui le persone sanno molto dell’india; al contrario, se mi chiedi del cristianesimo, so solo dirti che ci sono protestanti, cattolici e cose del genere. Alcuni italiani, invece, mi hanno

addirittura detto i nomi di alcune nostre divinità; una ragazza, addirittura, capisce persino qualcosa della mia lingua perché la sta studiando. A volte, anche se sanno qualcosa, vogliono sapere di più… per questo, chiunque incontro, lo invito in India… Non so quando tornerò ma per ora invito tutti a venire in India!”.

• Ti piacerebbe tornare in India nel futuro?

“Sì, vorrei tornare perché se nessuno lo facesse, ci sarebbe un degrado, soprattutto dal punto di vista tecnologico. Ora non posso tornarvi perché devo prima guadagnare i soldi da

restituire alla banca. Però in un futuro vorrei fondare un’azienda aerospaziale… in India è tutto sotto il controllo del governo… a me piacerebbe fare qualcosa di privato in questo settore”.

• Riusciresti a definire la mission della Sante Malatesta in poche parole, in uno slogan?

“… È come una seconda famiglia per me… perciò dico che se hai un problema e non sai dove andare, allora la prima fermata è la Sante Malatesta, credimi!”.

D.2. Intervista a Tresor, studente camerunese di Ingegneria delle