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Un piano strategico per il mondo profit: definizione delle cinque fas

3. Strategie di marketing e comunicazione digitale: dall'azienda al terzo settore

3.1. Un piano strategico per il mondo profit: definizione delle cinque fas

La definizione di un piano di marketing e di comunicazione digitale permette all’azienda di raggiungere i suoi obiettivi; occorre, secondo la Bertoli (2015), pensare prima di agire, avere una strategia prima di aprire una pagina Facebook o un sito web; è come “dotarsi di un progetto prima di cominciare a costruire un palazzo”. L’applicazione di tale strategia prevede l’utilizzo della rete perché essa “permette di entrare in relazione, co- creare, ascoltare e raccogliere feedback spontanei […]. Ma soprattutto in rete ci sono le persone: questa è l’opportunità principale” . Le persone sono divenute così importanti che alle famose 66

“4P - prodotto, prezzo, promozione e posto (inteso come distribuzione)”, ossia le leve tradizionali su cui spingevano le aziende per arrivare ai loro obiettivi, si stanno sostituendo le “4C - cliente, costo, comunicazione e convenienza”, dove il focus si incarna nel cliente piuttosto che nel prodotto dell’azienda (ibid.: par.1). A questo cambiamento aderiscono pienamente le piattaforme digitali, sempre più semplici da usare e spesso gratuite; tuttavia, è proprio questa semplicità che porta le persone ad agire senza pensare, ad eseguire senza pianificare (si pensi a Facebook: chiunque è in grado di creare una propria pagina ma non tutti riescono a trarne i benefici sperati a causa della mancanza di una strategia di social media marketing predefinita). Occorre, dunque, adottare una strategia di marketing digitale che, secondo Bertoli, consta di cinque fasi:

• analisi;

• definizione puntuale della strategia e del piano operativo; • azione/esecuzione;

• misurazione;

• miglioramento continuo.

L’importanza delle persone è emersa anche durante una pre-intervista ad un ex-studente

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camerunese: “Se posso darti un consiglio - mi dice - non concentrarti sull’associazione, ma sulle persone; si tratta di

un servizio che una persona fa ad un’altra persona che ha bisogno, con il tramite dell’associazione. Così facendo eviterai di andare incontro ai feedback negativi di quella ampia parte di pubblico che considera l’aiuto agli studenti stranieri come un qualcosa di negativo, soprattutto in un quadro socio-politico come quello odierno”.

Si tratta di un processo circolare, dove non c’è un punto di arrivo ma si punta ad un miglioramento continuo (ibid.: par. 2). Di seguito, analizziamo le fasi singolarmente. Per quanto riguarda la prima fase, quella di analisi, si tratta di vedere lo stato corrente dell’azienda analizzando:

• i suoi asset digitali attuali (cosa ha/fa online, vedere se c’è un sito, come questo si posiziona nei motori di ricerca, se ci sono applicazioni per mobile, se c’è una pagina Facebook, ecc.);

• la sua reputazione in rete insieme a quella dei suoi prodotti (facendo un’analisi qualitativa delle valutazioni in rete);

• lo scenario competitivo (cosa fanno i concorrenti, noti in inglese come “competitor"); • cosa fanno in rete i clienti reali e potenziali (le loro abitudini, i loro profili, ecc.); • le tendenze del mercato di riferimento (ossia cercare di prevederne lo sviluppo nel

prossimo futuro).

La seconda fase consiste nella definizione di una strategia, esplicitata nel piano

operativo, ossia un documento che indica le cose da fare e quando farle,

specificando:

• gli strumenti di digital marketing da attivare e le azioni in ognuno; • chi fa cosa;

• con che obiettivi e come prevediamo di misurarli; • budget indicativo per ciascuna attività.

La fase di azione/esecuzione è quella in cui si trasforma il piano operativo in una serie di azioni. Qui entra in gioco la produzione dei contenuti, dove sono fondamentali le capacità professionali di chi ne è responsabile.

Durante la quarta fase, la misurazione, si sfruttano i dati per vedere cosa del piano di digital marketing funziona e cosa si può migliorare. In particolare, con il digitale si ha accesso a un’enorme quantità di dati che ci permettono di fare molte misurazioni (ad esempio: quanti contatti sono arrivati al sito; com’è cambiata la percezione dell’azienda a seguito delle iniziative di PR online, ecc.).

Se si utilizzano bene i dati nella fase precedente, si avranno molte informazioni in base alle quali l’azienda replicherà le iniziative di successo o abbandonerà le scelte poco efficaci. In questo modo si avvia un processo ciclico di miglioramento continuo. Per avviare quest’ultimo processo, occorre partire dalle giuste domande, ovvero “le 5W + How” - Why (perché), Who (chi), Where (dove), What (cosa), When (quando) e How (come). Secondo l’autrice, adottare questo approccio aiuta a non confondere lo strumento con l’argomento, ovvero a definire gli obiettivi che l’azienda si prefigge di raggiungere indipendentemente dai mezzi a disposizione (come all’inizio del capitolo, si sottolinea l’inutilità dello strumento quando il suo utilizzo non è premeditato).

Si parte, dunque, dagli obiettivi che rispondono alla prima “W”. Si tratta di cosa vuole ottenere l’azienda, dei suoi obiettivi di business che sono al di sopra degli obiettivi per il digital marketing, i quali, a loro volta, orientano la definizione della strategia, esplicitata nel piano operativo e concretizzata nei contenuti. Questi obiettivi devono essere

realistici, misurabili (ovvero quantificabili da un numero ) e a termine (può 67

essere un periodo lungo, medio o breve, a seconda dei casi; se si tratta di un periodo a lungo termine, l’autrice suggerisce di prevedere dei traguardi intermedi che possano essere misurati e, quindi, innescare il processo di ciclo continuo) . Infine, l’autrice 68

sottolinea che bisogna prima guardare agli obiettivi di tipo macro (ad esempio, un incremento del fatturato del 5% in un anno grazie ai clienti acquisiti tramite il canale web) per poi definire quelli per singoli strumenti e iniziative (ad esempio, un incremento delle vendite di una certa percentuale tramite la newsletter mensile).

Affinché un’azienda raggiunga gli obiettivi prefissati, è necessario che si rivolga ai potenziali clienti (che rispondono alla “W” di Who) nel modo giusto, ovvero differenziandoli in base alle loro caratteristiche (socio-demografiche, abitudini digitali, aspettative, interessi, ecc.). Non si parla più di Target ma di Personas (ibid.: par. 3.2), ossia di prototipi dei clienti dell’azienda, ciascuno dei quali rappresenta un gruppo di

L’autrice riporta il seguente esempio: aumentare le visite al sito dell’azienda non è un obiettivo,

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contrariamente all’aumento delle visite del 30% grazie ad un nuovo sito (ibid.: par. 3.1).

A queste caratteristiche, gli autori di The Starter Guide to Nonprofit video storytelling ne aggiungono altre

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due, in riferimento al mondo non profit. Si tratta della specificità (gli obiettivi devono essere chiari, non ambigui) e della rilevanza (gli obiettivi devono essere pertinenti, in linea con la missione dell’organizzazione). Gli obiettivi, in sintesi, devono essere SMART, ovvero Specific, Measurable,

persone con caratteristiche simili. In seguito, si definiscono i cosiddetti segments, ossia i gruppi di sostenitori con caratteristiche simili, oltre a tener conto di quelle figure che orientano le scelte dei clienti finali (influencers, intermediari, partner, ecc.).

Per rispondere alla domanda Where bisogna far riferimento a due dimensioni dell’azienda, quella esterna e quella interna. Per quanto riguarda la prima, si analizza lo scenario, ossia ciò che succede attorno all’azienda, le tendenze nel settore di interesse, i competitor e le loro strategie sul territorio circostante e in rete . 69

Relativamente alla dimensione interna, si analizza il “dove geografico” dell’azienda, valutando i mercati in cui essa è già presente e le opportunità non ancora esplorate. Con l’avvento del digitale, la dimensione temporale (che risponde alla “W” di When) è notevolmente cambiata: “i tempi di relazione tra azienda e clienti si sono estesi, i tempi di reazione attesi sono diminuiti”; i clienti sono “always on” per cui, se non aggiorniamo il sito o se non postiamo su Facebook qualcosa, stiamo comunicando di essere assenti e poco attenti. Per trovare un equilibrio tra la lunga relazione e la breve reazione, l’autrice consiglia di accostare al marketing digitale di lungo termine (annuale, ad esempio) un orizzonte a breve termine (settimanale), in cui essere attenti persino alle ore del giorno in cui postare (ibid.:, par. 3.4).

I contenuti (What) “sono il succo di ogni strategia di marketing digitale… a seconda degli obiettivi che vogliamo raggiungere, dovremo produrre contenuti adeguati” (ibid.:, par. 3.5). L’autrice distingue due casi: la mancanza o la scarsità di contenuti e la disponibilità di contenuti non pronti all’uso. Nel primo caso si individuano i “detentori di contenuti”, ossia coloro che conoscono storie, aneddoti e casi di successo dell’azienda che potrebbero essere di grande interesse per il cliente; nel secondo, bisogna censire i contenuti disponibili e plasmarli in base a un piano con tempi e costi definiti. Con il digitale, il cliente è divenuto sia produttore che consumatore dei contenuti (basti pensare a chi, dopo aver indossato un vestito appena acquistato, posta la foto sui social); l’azienda, dunque, deve sfruttare questo ruolo attivo dei clienti, cercando di trasformarli da prod- user occasionali a prod-user abituali con cui mantenere una relazione.

Per vedere graficamente queste tendenze, l’autrice consiglia di utilizzare Google Trend, uno strumento

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che permette di vedere l’andamento delle ricerche su Google relative ad una certa parola chiave o a un certo tema, comparandolo ad altri, o Similar Sites, un’estensione di Google Chrome utile per scoprire possibili competitor (ibid.: par. 3.3).

Facendo una sintesi dei dati raccolti nei passi precedenti e rispondendo alla domanda How, si elabora la strategia, definita come “un’idea centrale e una serie di linee guida che riguardano la voce e la personalità del brand in rete”. Essa si concretizza nel piano operativo e negli strumenti da utilizzare (sito, pagina Facebook, ecc.) e non può prescindere dall’integrazione tra le attività in rete e le iniziative offline; solo grazie a tale integrazione l’azienda può raggiungere gli obiettivi di business prefissati (che ricordo essere indipendenti da quelli di marketing digitale). “L’incrocio tra obiettivi, persone, scenari, mercati, tempi, contenuti, strumenti disponibili e iniziative offline porta alla strategia e alla definizione del piano operativo… il piano operativo è un vero e proprio documento di lavoro con azioni, tempi, costi, risorse, elementi di misurazione” (ibid.:, par. 3.6).