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Le regole del marketing aziendale applicate al terzo settore

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3.4. Le regole del marketing aziendale applicate al terzo settore

Secondo Bruno Lo Cicero, professionista nel campo della comunicazione e autore dell’ebook di CESVOT 15 consigli (e un post scriptum) per promuovere la tua associazione (Lo 95

Cicero, 2014), qualsiasi associazione non profit che voglia far conoscere la propria attività, raccogliere fondi e intercettare nuovi volontari, ha bisogno di realizzare un’efficace campagna pubblicitaria che tenga conto delle tecniche di marketing proprie del mondo profit. Secondo queste ultime, un’azienda deve focalizzarsi su quattro cose: - prodotto;

- prezzo;

- distribuzione/posto;

- comunicazione/promozione . 96

Tenendo conto dei bisogni del pubblico, costruisce un prodotto, al quale applica un 97

prezzo (definito in base ai costi di produzione e al profitto atteso), per poi distribuirlo (attraverso sia i canali tradizionali che quelli virtuali) e promuoverne la vendita tramite la comunicazione mediatica. Nel “marketing associativo”, ossia quella branca del

Il Centro Servizi Volontariato Toscana è un’organizzazione che contempla l’istituzione di Centri di Servizio

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per il Volontariato (CSV), la cui governance è affidata a 35 associazioni di volontariato regionali socie del Centro Servizi, con lo scopo di “sostenere e qualificare l’attività di volontariato. A tal fine erogano le proprie

prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte e non iscritte nei registri regionali” (http://www.cesvot.it/chi-siamo, consultato il 15 Maggio 2017).

Sono le “4P” a cui fa riferimento anche Miriam Bertoli, citata nel primo paragrafo di questo

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capitolo.

L’autore fa riferimento alla “piramide dei bisogni” di Maslow del 1954, uno schema che, seppur

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datato, continua ad essere efficace nel contesto odierno dove i bisogni delle persone sono sempre più ego-riferiti. Secondo lo psicologo statunitense Maslow, i bisogni delle persone possono raggrupparsi in cinque stadi, ciascuno più complesso dell’altro; si tratta dei bisogni: fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di stima e di realizzazione di sé (Lo Cicero, 2014: 7, 8).

marketing che applica tali tecniche ad associazioni non profit, i prodotti da “vendere” sono due: “la soddisfazione dei bisogni a cui viene data risposta” e “la gratificazione dei volontari che di questi bisogni si occupano ” (Lo Cicero, 2014: 9). Il volontario, dunque, si ritrova ad 98

essere un prod-user, ossia produttore e consumatore del prodotto allo stesso tempo, ed è lui stesso che deve negoziare il prezzo che è disposto a pagare per ottenere il mark up 99

prefissato. La difficoltà, quindi, sta nel fatto che deve essere lui stesso a valutare i propri soddisfazione e impegno e, ciascun volontario, avrà il suo metro di giudizio. Venendo alla comunicazione/promozione dell’associazione, l’autore sottolinea che non bisogna più parlare di “reclutamento” di nuovi volontari, poiché questo non permette di entrare pienamente in relazione con i cittadini e di incitarli all’azione. Piuttosto, bisogna parlare di “coinvolgimento”. Ancora una volta, l’esempio parte dalle aziende che non tendono più a vendere un prodotto o a generare bisogni, ma cercano di coinvolgere il potenziale consumatore in modo che sia egli stesso ad avvicinarsi ad essa. Il consumatore si trasforma in “consum-attore” che, non limitandosi a comprare il prodotto, crea lui stesso dei contenuti e alimenta la relazione tra lui e l’azienda. “L’auto-motivazione è quindi il segreto vincente che tutte le marche commerciali stanno cercando di perseguire presso i loro potenziali acquirenti” (Lo Cicero, 2014: 15). Allo stesso modo, anche le associazioni non profit devono applicare questo cambio di prospettiva, spostando il focus dal bisogno del volontario attuale a quello del volontario potenziale. “Se il volontariato mira al coinvolgimento potrà (anzi dovrà) soltanto raccontare le sue motivazioni e la sua propria opinione, stimolare una riflessione positiva sul risultato della sua azione, proporre sinceramente la propria disponibilità a coinvolgere” (Lo Cicero, 2014: 17). E questo, secondo l’opinione di chi scrive, non è altro che storytelling: se il pubblico ha accesso alle video-storie dei volontari, basate sia sulle motivazioni delle loro scelte che sulle semplicità e autenticità delle loro opere, probabilmente si sentirà coinvolto, grazie anche all’elemento del video che permette di rendere visibile la comunicazione non verbale di chi sta raccontando la propria esperienza (espressione facciale, tono di voce, ecc.). Affinché ci sia una comunicazione che miri ad un vero coinvolgimento, l’autore suggerisce di tener conto dei seguenti fattori:

Nel caso dell’associazione sante Malatesta, il prodotto è anche lo studente che ha ricevuto benefici; è

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lui ad incarnare il soddisfacimento dei bisogni e, in base a lui, il donatore valuta il prezzo che è disposto a pagare per farlo andare avanti. Se gli studenti sono i prodotti, allora l’associazione può “venderli”, mostrando al pubblico le loro storie e lasciando decidere al pubblico se investire in questi studenti o meno.

Nel linguaggio economico il mark up si definisce come la “differenza tra il prezzo di vendita di un bene o un

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servizio e il suo costo di produzione, solitamente espressa in percentuale del costo stesso” (http://www.treccani.it/

enciclopedia/mark-up/, consultato il 16 Maggio 2017). In questo contesto Lo Cicero definisce il mark

• la fase dell’ingaggio; • il logo;

• il pubblico-obiettivo;

• i quattro momenti di una buona comunicazione promozionale; • i media.

L’ingaggio (noto in inglese come engagement) è la fase preliminare al coinvolgimento, durante la quale “chi ingaggia deve individuare precisamente e velocemente gli argomenti che potranno sollecitare chi è ingaggiato” (Lo Cicero 2014: 18). Applicando in ordine queste due fasi ad un contenuto di una campagna pubblicitaria, ad esempio, si pensa prima ad una frase forte, ad effetto, che faccia capire il bisogno dell’associazione (ingaggio) per poi argomentare ed esplicitare tale bisogno (coinvolgimento).

Al logo spetta il compito fondamentale di esprimere la mission e la vision dell’associazione; deve essere semplice da capire e da ricordare e, eventualmente, deve essere accompagnato da una frase ad effetto che faccia capire cosa fa l’associazione. Il pubblico-obiettivo deve essere analizzato in base alle particolarità della singola persona. A tal fine, l’autore propone una tabella di “personaggi-tipo” (volenterosi, indifferenti, incostanti, donatori, ecc.) che si distinguono per: motivazione personale (variabile, alta, bassa, alta-bassa), approccio (ansioso, convinto, distaccato, ecc.), grado di coinvolgibilità (alto, basso, alto-basso, nessuno) e messaggio da usare (razionale o empatico) (Lo Cicero, 2014: 23).

Si tratta sempre di Personas di cui, oltre a nome, tratti socio-demografici, professione, obiettivi, valori, tratti caratterizzanti e uso dei media (caratteristiche proposte da Di Fraia, di cui ho parlato precedentemente), si sottolineano le caratteristiche relative al coinvolgimento.

Individuate le Personas, bisogna centrare su di esse i quattro momenti principali di una buona comunicazione promozionale:

• Feeling (affinità, ossia quel momento in cui il pubblico si sente personalmente coinvolto dall’associazione in base a determinati elementi - un suono, un’immagine, ecc.);

• Emotional Selling Proposition (proposta emotiva di vendita, ossia un messaggio chiaro, semplice e diretto che alimenti il ricordo del consumatore);

• Stopping power (ossia quel momento in cui il pubblico si ferma sulla proposta dell’associazione, esplicitata attraverso un’immagine o qualsiasi altro elemento);

• Mirroring (quel momento in cui il pubblico si rispecchia in ciò che fa l’associazione e si sente in dovere e in potere di fare qualcosa).

È ovvio, secondo l’autore, che tutto ciò è complementare ad un contatto interpersonale che, seppur breve, è sempre utile alla notorietà dell’associazione. Oltre a quest’integrazione tra advertising e contatto interpersonale, è necessaria anche la fusione tra emozione e razionalità, poiché permette di memorizzare al meglio un messaggio.

Un’altra unione proficua, infine, è quella tra l’ambiente online e quello offline, ossia quella tra i media sul web e quelli tradizionali. Questi due ambienti hanno diversi gradi di efficienza e di efficacia: il primo è molto efficiente, in quanto gestisce in modo ottimizzato risorse come denaro e tempo, ma poco efficace dal punto di vista della “massimizzazione del ricordo”, in quanto volatile ed effimero; il secondo, al contrario, è poco efficiente in termini di costi (basti pensare alle campagne stampa, radio e televisive) ma molto efficace dal punto di vista temporale. Vi è bisogno, dunque, di integrare questi due ambienti per equilibrare le loro efficacia ed efficienza, tenendo sempre a mente che l’istituzionalità e l’autorevolezza dell’associazione, intese come “l’importanza attribuita all’associazione da parte del pubblico rispetto al tema, alle azioni svolte, al grado di incidenza nella società”, “non dipendono dai mezzi utilizzati, ma dai contenuti che si comunicano, dai toni che si usano, dall’empatia che siamo in grado di generare” (Lo Cicero, 2014: 28 - 29).

Infine, l’autore dà 15 consigli “no cost” in base ai quali rileggere i materiali promozionali di un’associazione. Tra questi, mi soffermo su quelli che ritengo “universali”, ossia applicabili a diversi media, come:

• “cogliere l’attimo”, secondo cui il primo contatto con il pubblico deve richiedere poco tempo in cui dire cose chiare;

• “presentarsi”, secondo cui non bisogna mai dimenticare il logo e le informazioni di base per essere contattati;

• “l’accessorio fa il vestito”, secondo cui è più importante scegliere immagini giuste rispetto ad immagini belle;

• “la pubblicità deve anche informare”, secondo cui bisogna affiancare all’azione l’informazione che dimostra, grazie a misure quantificabili e verificabili, che alle parole seguono fatti concreti;

• “poca ironia vs molta sobrietà”, secondo cui, piuttosto che utilizzare toni ironici per attirare l’attenzione, bisogna trovare l’equilibrio tra “uno strillo fastidioso” e un “lieve sussurro” per cercare di convincere il pubblico;

• “battere sempre sullo stesso tasto (del cervello)”, ossia investire su pochi strumenti, creando materiali diversi in cui si ripetono degli elementi (font, colori, ecc.) per dare un senso di continuità e familiarità al pubblico;

• “coerenza”, nei toni e nelle chiavi comunicative in modo da non confondere il pubblico (ibid.: 30 - 40).

Tuttavia, molto più importante di questi consigli, è il post scriptum che l’autore lascia al pubblico, dove sottolinea che al di là delle buone tecniche e del successo di una promozione, per raggiungere i propri obiettivi è necessario prima di tutto “metterci il cuore, convincersi per primi, parlare con empatia” (ibid.: 41). Anche qui tornano i principi dell’approccio dialogico e della sensibilità interculturale, che danno senso a qualsiasi tentativo di comunicazione.