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istituzionalizzazione della Agricoltura Urbana in Italia

L’attenzione verso il biologico si sta diffondendo, come risposta all’esigenza del consumatore di conoscenza, e come timore del

6.5 istituzionalizzazione della Agricoltura Urbana in Italia

Coma abbiamo visto la agricoltura urbana è riconsociuta nella sua impirtanza ma mancano ancora a livello nazionale e locale norme e indicazioni precise. L’integrazione della agricoltura urbana dipende da numerosi fattori secondo le scale dii intervento.

• A livello nazioonale: politiche di sviluppo economico, fiscale, finanziario, politiche agricole, politiche urbane

• a scala regionale: sistema di approvvigionamento del cibo, clima, forza del settore agricolo, tradizioni alimentari

• a scala urbana : politiche di sviluppo economico, fiscale, finanziario, politiche agricole, politiche urbanec, densità degli insediamenti, layout della città,leggi e regolemti in materia di edilizia, agricoltura, commericio e altre attività, tipologie di filiere esistenti, reto di trqsporto e di approvvigionamento e vendita elimentari esistenti, tipologia di sviluppo del mercato legato all'alimentazione specialmente attenta alla provenbeinza e al biologico

• a scala urbana: rapporto tra agricoltura e città, reti commerciali esistenti tra città e campagna in materia di approvvigioanmento alimentare, densità edilizia, politiche e regolamenti di di uso del suolo e disciplina degli insediamenti ed edilizia, esisgenze dei cittadini

• a scala dell’edificio o dello spazio :tiplogia di spazio , dimensione, proprietà, regolamenti e norme specifiche

È importate anche considerare il coinvolgimento e la conoscenza dei cittadini, eventuali resisteze di gruppi di interesse, e tipologie di gestione e contrattualizazione degli spazi e della gestione. Anche i sistemi dii trasporto o gestione delle acque sono temi che devono essere sviluppati a scala locale dai comuni , cosi come le politiche devono tener conto delle necessità degli agricoltori urbani in termini di spazi e licenze.

Per quanto riguarda l’inserimento dell’agricoltura urbana sono numerosi i fattori da considerare. È inoltre necessario considerare le scale di impatto e i principale stakeholder coinvolti, dalla scala nazionale- regionale comunale con enti di governo politico e del territorio, arrivando agli agricoltori locali che operano già in un contesto vicino alla città (in particolare quelli che producono per la città, le grandi aziende che esportano non subiscono grandi oscillazioni dalla UA ), ai fruitori di diverso genere (cittadini, cooperative) commercianti, proprietari terrieri. Tutti questi subiranno effetti economici con l’integrazione della UA che è necessario valutare e approfondire. Da un punto di vista economico è necessario ricordare come la UA sia generalmente di piccola scala (anche una serra su un supermercato se paragonata anche a una piccola azienda agricola), e soprattutto che andrà a servire nicchie di mercato. Non sostituisce la GDO tantomeno soddisfa la richiesta alimentare in toto di una città. Il fenomeno deve essere studiato nel suo insieme. Istituzioni e governo nazionale come altri enti di decision making hanno ovviamente impatto nell’atto di decidere sull’agricloltura urbana e le politiche ad essa legate. Forme di governo diverse implicheranno differenti comportamenti, a seconda che si tratti di stati capitalisti (che tenderanno alla privatizzazione) o socialisti/comunisti (che tenderanno a pubblicizzazione)

Ovviamente ci sono anche barriere nei confronti della UA, di regolamento, economiche e tecniche. Le prime difficoltà si hanno in termini di: uso del suolo, ovvero utilizzare spazi non destinati all'agricoltura per la produzione agricola, dai giardini ai cortili agli spazi residuali.

La Ua ha implicazione sulle politiche sui regolamenti di uso de suolo, non preparati a questo genere di uso. Ancora mancano studi e ricognizioni che pianifichino l’integrazione della UA all’interno di frameworks e regolamenti sull’uso del suolo urbano. Infatti, se la ua diviene un uso del suolo, questo ha bisogno di studio e di politiche decisionali per essere integrato.

Le aree dismesse sono uno dei problemi delle nostre città, che potrebbero essere usate e divenire produttive, ma anche in questo caso ci vogliono progetti e regolamenti specifici.

Mancano regole sull’uso del suolo ad uso agricolo in città e ci sono restrizioni per costruire serre o altre strutture collaterali

Le attività collaterali, dalla vendita, all'educazione , alla terapia, alla somministrazione , necessitano di

permessi specifici che attualmente non valutano la possibilità di essere inseriti e collegati in un

contesto di produzione alimentare urbana Mancano licenze e regole di urban farming business Ci sono restrizioni sulla vendita dei prodotti direttamente in azienda agricola e mancano del tutto in città. Per quanto riguarda la fattibilità tecnica è necessario conoscere un eventuale livello di contaminazione o inquinamento del suolo (tramite test) e valutare evntuali operazioni di bonifica o soluzioni tecniche fuori suolo (soil less o soil similant). Anche il livello di inquinamento delle acque (del pozzo, oppure di wastewater) deve essere valutato , cosi come il recupero di queste con accorgimenti tecnici come recupero acqua piovana o acque grigie.

Anche l’aria urbana è inquinata, specialmente da polveri sottili, e pertanto è necessario valutare accorgimenti come la protezione dei raccolti, o la protezione tramite verde ( che depura l'aria circostante).

Inoltre vi è il problema dell'opinione pubblica: Le persone possono non approvarla la produzione agricola in città temendo degrado , insetti, o odori legati alla compost o rumori.

Ulteriore fattore da valutare è il costo, non sol dell’intervento, ma anche legato alla disponibilità di terreni (donati, dato in affitto, dati in concessione) di spazi inutilizzati, di personale (volontario o salariato) di strumenti (materiali, acqua, energia, strumenti, semi e piante) e di output sul

contesto (smaltimento rifiuti, trasporto).

La casistica più comune di Agricoltura Urbana, e al tempo stesso di più complessa gestione, è quella degli orti (community gardens, o sociali o con altri scopi) che avviene in spazi comunali pubblici,

abbandonati o inutilizzati, per cui i cittadini esprimono una volontà di riqualificazione anche

attraverso la propria gestione.

È interessante citare la la legge 10 14 gennaio 2013 norme per lo sviluppo degli spazi verdi

urbani che regola alcuni aspetti relativi alla fruizione del verde urbano, in particolare le convenzioni

con cittadini privati: “ art 4 comma 4: le aree riservate al verde pubblico urbano e gli immobili di origine rurale riservati alle attività collettive e sociali e culturali di quartiere , con esclusione di immobili ad uso scolastico e sportivo, ceduti al comune in ambito di convenzione e delle norme previste dagli strumenti urbanistici attuativi, comunque denominati, possono essere concessi in gestione, per

quanto concerne la manutenzione, con diritto di relazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette convenzioni, in forma ristretta, senza pubblicazione di bando di gara.27

Questa è espressione di una certa volontà, e dell’esistenza di strumenti contrattuali, da parte

delle P.A. di concedere in gestione spazi verdi pubblici ai cittadini, anche senza bando di gara,

sebbene sia questo finalizzato solo al godimento dello spazio in cambio di manutenzione straordinaria.

Alcune amministrazioni riconoscono agli abitanti che si prendono cura del verde pubblico un supporto economico o quantomeno amministrativo, e questi esempi, sebbene ancora lontani dall’obiettivo, rappresentano un segno di cambiamento e di intersse verso queste questioni. Un esempio parzialmente fallimentare è sfortunatamente in questo senso quello di Milano, dove è stato o creato un bando per la gestione di giardini condivisi, che però prevede non solo scarso supporto ma anche un contributo economico dopo qualche anno da parte di chi se lo è aggiudicato per la concessione dell’area. Chi partecipa infatti si deve impegnare a progettare lo spazio secondo le richieste del Comune, che prevedono la creazione di aree comuni, arredi, servizi e depositi attrezzi, di pozzi dove non c’è allaccio all’acquedotto, di spazi e di contenitori per l’immondizia. L’iniziativa potrebbe essere interessante e dimostrare che la municipalità si è accorta di un effettivo bisogno del cittadino, anche comprensibile l’organizzazione scelta, da parte di una istituzione che ha necessariamente bisogno di forme burocratiche. Però potrebbe essere da segnalare che in questo caso il Comune, in cambio di nessun servizio, ma anzi, della richiesta di realizzazione di servizio da parte dei cittadini, richiede un canone di affitto della terra, anche se solo a partire dal nono anno. (Chiara Belingardi),

Vi sono poi esempi specifici , come già citati, in cui la convenzione riguarda anche gli orti sociali in

spazi comunali pubblici, abbandonati o inutilizzati, come nel caso dei Jardin Partgés dove la P.A.

ha stabilito procedure per la richiesta da parte dei cittadini di spazi verdi pubblici urbani per la realizzazione di orti sociali o di comunità (e quindi non a scopo di lucro).

Vi sono anche casi in cui le amministrazioni chiedono ai propri cittadini un supporto in zone dove non riuscirebbero a garantire i servizi necessari come Torino28, che in un altro caso ha usato

                                                                                                               

27

 

Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” varato dal Comune di Bologna a fine febbraio 2014.  

28 rientrano nel progetto ToCC – Torino Città da Coltivare proposto dall’assessore all’Ambiente Enzo Lavolta che propone un nuovo rapporto tra agricoltura e città approvato il 5 marzo 2012 dal Consiglio comunale. Il progetto intende promuovere lo sviluppo dell’agricoltura nel territorio urbano con coltivazioni sostenibili e indirizzate al concetto di “filiera corta”, agricoltura sociale, orticolturaindividuale o collettiva, agriturismo, forestazione urbana.

Il progetto Tocc avvierà un’analisi delle aree verdi a uso agricolo esistenti, con un censimento dei fabbricati esistenti, delle concessioni in essere e in scadenza e delle superfici, sia quelle di proprietà comunale (due milioni di metri quadrati circa) sia i terreni di proprietà privata. Una volta completato il quadro, l’amministrazione individuerà le modalità più idonee per la promozione di forme di agricoltura e forestazione urbana multifunzionale. Si tratta di incentivare una gestione che riconosca le valenze alimentari ma anche sociali, ambientali e di tutela del suolo dell’attività agricola, valenze già riconosciute a livello europeo dalla Politica Agricola Comunitaria.

“Il punto di arrivo di questo progetto è la realizzazione di un nuovo modello per un vivere cittadino maggiormente legato al contatto con la terra e con la natura, che abbia ricadute positive economiche per chi abita in città, come aiuto rispetto ai problemi alimentari ed ecologici, e per il Comune, che può in questo modo ridurre i costi di gestione del patrimonio del verde urbano”, spiega Lavolta. Si avvia dunque “un percorso articolato che non può prescindere dal confronto con i portatori d’interesse locali –prosegue l’assessore - in primis le circoscrizioni e le associazioni. La sfida è quella di progettare insieme una città naturale più intelligente che prenda in considerazione i vari aspetti del vivere cittadino quali l’approvvigionamento locale, il paesaggio, le funzioni sociali, la gestione ambientale” (http://www.comune.torino.it) Un censimento ha rivelato che all’interno del territorio della città sono presenti 2 milioni di metri quadri di aree coltivabili. Il piano regolatore le definisce aree verdi e il comune ha decretato con una delibera che queste aree non sono edificabili. La decisione è stata presa in accordo con le aziende del settore edilizio, che hanno compreso l’esigenza di riorientare la loro attività verso il recupero e l’aumento dell’efficienza energetica degli immobili già costruiti.

strumentalmente gli orti urbani e comunitari per la riqualificazione di alcune aree al sud della città: il progetto di riqualificazione dell’area dei Laghetti Falchera vede infatti il mantenimento delle

attività agricole produttive esistenti e la realizzazione di orti urbani individuali (due blocchi di 80 parti, ogni blocco recintato e dotato di strutture comuni con servizi igienici, illuminazione) e circa 50 gli orti collettivi / associativi divisi in due aree di 2500 mq ciascuna. Tramite la Deliberazione del Consiglio Comunale proposta delle G.C. Febbario 2012 si ritiene di volere valorizzare gli spazi aperti con interventi di agricoltura urbana, mediante concessione a soggetti privati/associazioni per realizzare un progetto complessivo agricoltura urbana di spazi aperti tramite lo strumento della concessione

amministrativa dei terreni , dei contratti di collaborazione con gli imprenditpri agricoli previsti dal

D.Lgs 228 del 18 Maggio.

Ancora di competenza dei Comuni i regolamenti attuali esistenti per la concessioni di orti sociali (bandi per la concessione a titolo gratuito o a canone agevolato per orti su aree pubbliche) per cui si cita quello della città di Firenze: è lo stesso comune che mette a bando seocndo criteri stabiliti e per attivtà senza scopo di lucro le proprie aree destinate da Regolmaento Urbanistico ad Orti Urbani. In Europa vi sono esempi di amministrazioni che lavorano in concertazione con i cittadini, per la gestione dello spazio urbano, altre chiedono un supporto, altri ancora ignorano e talvolta distruggono il lavoro che i cittadini compiono nell'autogestione di alcuni spazi: per esempio nel 2013 a Lisbona, un gruppo di persone gestiva un'area abbandonata coltivando degli orti urbani, poi distrutti per costruire al posto loro un parco29.

Interessante anche segnalare il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e

amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” varato dal Comune di

Bologna a fine febbraio 2014. L’idea era trovare come alleggerire le procedure di gestione da parte dei cittadini degli spazi verdi comuni.

Le proposte devono:

• essere approvate dal Comune come garanzia di pubblica utilità

• essere gestite attraverso un Patto di collaborazione concordato tra cittadini e amministrazione redatto su misura per ogni singolo bene comune urbano da rigenerare o tutelare, considerando obiettivi, durata della collaborazione e cause della sospensione, modalità  di intervento e fruizione collettiva dei beni comuni, le conseguenze dei danni occorsi a cose e persone durante gli interventi e le garanzie per i danni arrecati al Comune a causa di azioni difformi da quanto concordato, le rendicontazione e la verifica dell'andamento delle azioni, così¨ come la modalità  per la loro modifica, le cause di esclusione di singoli per inosservanza del regolamento, le modalità  di conclusione della collaborazione.

I cittadini che prendono in carico un bene “assumono, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, la qualità  di custodi dei beni stessi, tenendo sollevata ed indenne l’amministrazione comunale da qualsiasi pretesa al riguardo.” (Comune di Bologna, 2014, art. 32, comma 7).

Alcune di queste iniziative possono avere un sostegno da parte del Comune in termini di fornitura di alcuni materiali e strumenti per il lavoro, o in termini economici a titolo di rimborso spese. Inoltre viene favorito l'autofinanziamento come metodo per reperire i fondi necessari. Per giudicare l'effettivo funzionamento del Regolamento è necessario metterlo in pratica, poiché allo stato attuale risulta piuttosto complesso agli occhi dei comitati, delle associazioni e dei vicinati di strada gia  attivi in Bologna, che osservano come manchino innovazioni su questioni importanti come le assicurazioni e il meccanismo della custodia dei beni , misure di semplificazione delle procedure già  esistenti, l'autocostruzione, la soggettivazione dei cittadini attivi (quale tipo di organizzazione) e sulla scadenza del patto.

Con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa “Strategia per lo sviluppo rurale di Milano” del 3 maggio 2012 fra Comune di Milano , Provincia di Milano, Regione Lombardia e Consorzio DAM e’ stato avviato un percorso di condivisione delle azioni e degli strumenti giuridici finalizzati alla valorizzazione degli ambiti agricoli produttivi di Milano.

Il modello di governance delineato e definito complessivamente “Milano Metropoli Rurale“ punta all’elaborazione di una strategia condivisa nella prospettiva di mettere in rete imprese agricole, piattaforme distributive, trasformatori, commercio locale e media distribuzione, gruppi di acquisto solidale, cooperative di consumo, scuole e agenzie formative pubbliche, private e di matrice sociale,