AGRICOLTURA URBANA NELLA STORIA
2.2 La produzione di alimenti in spazi urbani: storia
Il verde già nella storia è stato utilizzato nella sua accezione di “uso” all’interno della città e non solo come decoro. Si pensi durante l’impero romano, nei giardini delle ville per otia, e all’ hortus conclusus medioevale, per approvvigionamenti in caso di assedio. Nel Quattrocento fino al Seicento il verde era già usato già per la sua funzione microclimatica all’interno dei parchi e delle ville. Nel Settecento nasce il concetto di parco/giardino pubblico nelle aree di risulta dopo l’abbattimento delle mura. Per quanto riguarda il rapporto tra verde e urbanistica si citano le utopie di Howard, di Garnier, e in seguito. Nel secondo dopoguerraanche il movimento moderno riflette sul tema, con le riflessioni di Gropius: contry cities in city-countries e Loos che prevede la coltura degli orti nella Siedlung Huberg a Vienna.
Dagli anni Settanta entra il tema del risparmio energetico, con il ruolo della vegetazione considerato per la sua importanza sul microclima urbano, e sull’involucro edilizio.
Da sempre il cibo e l’approvvigionamento hanno influenzato la forma urbana, ma con l’industrializzazione, i trasporti e le tecniche di conservazione questo è venuto meno.
Anche a livello architettonico la produzione è sempre stata presente nella città, legandosi agi spazi verdi urbani: monasteri, case nel medioevo con il loro giardino, i Jardin Potagers in Francia, le Orangeries Rinascimentali.
Fig. 2.2 Giardini Egizi : Il giardino di Neuban, da una tomba tebana circa 1600 A.C. Fig 2.3 Giardini di Babilonia
Fig 2.4 La “Garden room” nella villa di Livia a Pompei mostra come, nel giardino, fossero inclusi arbusti, fiori e alberi da frutto (Fine I sec. A.C., da An Illustrated History of Gardening. Huxley, 1978)
Fig 2.5 Villa Medicea di petraia Firenze
L’ hortus conclusus (orto recintato) è appunto il primo esempio di paesaggio urbano coltivabile inserito in città: si tratta di una zona verde, generalmente di piccole dimensioni e circondata da alte mura, dove i monaci coltivavano essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali. Si colloca nei pressi dell’abitazione, del convento, del castello, questo per motivi di sicurezza e soprattutto per questioni funzionali legate alla sussistenza. L’hortus conclusus nella sua accezione originaria è concepito come espansione esterna dello spazio domestico e nasce come luogo di servizio necessario alla sopravvivenza dell’intera famiglia.
Dal secolo XVI gli orti perdono progressivamente importanza in città e vengono relegati nei contesti agricoli e contadini.
In Italia l’orto ha sempre rappresentato un elemento di grande importanza nell’urbanistica
italiana. Basti pensare agli Orti nati dentro i conventi o annessi a palazzi nobiliari: in questi casi l’orto
non è ma isolato dal contesto urbanistico in cui si trova ma rappresenta una caratteristica diffusa nel centro storico specie medioevale. Due esempi di questo tipo di orto: quello dell’abazia Benedettina di Assisi e quello degli Orti Jacobilli di Foligno del XVII sec. Entrambi risultano integrati nel centro storico della città (Nel centro storico di Assisi esistono addirittura oltre 200 orti entro le Mura medioevali). Questi spazi verdi hanno da sempre svolto una funzione sociale importante per la città, specie nei periodi di guerra o di crisi, quando contribuivano al sostentamento degli abitanti, specie i più bisognosi. Sono in molti oggi a ritenere che l’orto abbia anche una funzione estetica perché, specie se ben coltivato, abbellisce le abitazioni con modalità naturalistiche non convenzionali e più rispettose delle specie esistenti in un determinato luogo.`
Nel 1545 a Firenze, dalla trasformazione dell’ hortus conclusus del convento medioevale nasce la
prima forma didattica dell’orto: l’ orto botanico. L’orto botanico, da spazio di studio accessibile a pochi diventa presto non solo luogo di formazione scientifica (studio della botanica e delle proprietà farmacologiche delle piante) e di sperimentazione specialistica, ma anche luogo di ricerca e di diffusione delle informazioni botaniche verso il pubblico.
La cultura della campagna è sempre presente nelle utopie di Howard, Mumford, Reclus e Forestier criticano la città industriale ponendo il problema del verde. Durante questo periodo infatti la figura del gentleman farmer del XVII secolo si trasforma l’ architettura di giardini e parchi entra nella progettazione degli spazi urbani. Mumford critica che le politiche di verde urbano aumentavano la differenza tra quartieri ricchi e poveri, mentre la Garden City di Howard prevedeva che 5/6 del terreno fosse dedicato alla produzione e che un lotto di 20X13O piedi fosse sufficiente a sfamare una intera famiglia in UK.
I progetti “agriurbanisti” rintracciati da Waldheim nella storia dell’urbanistica – la "Broadacre City" (1934–35) di Frank Lloyd Wright, "The New Regional Pattern" (1945–49) di Ludwig Hilberseimer, e "Agronica" (1993–94) di Andrea Branzi.
Si riscontra un cambio di rotta che riporta la coltivazione nei centri abitati come realtà in fortissimo ascesa, verso fine del XIX secolo come forma di sopravvivenza necessaria per l’uomo, declinabile, a seconda delle situazioni, in diversi modi: sopravvivenza alimentare (orti di guerra, orto operaio), nel senso di sussistenza per l’integrazione del reddito, specie in periodi di crisi; sopravvivenza fisica, come attività ricreativa nel dopo lavoro (orto operaio) e come sopravvivenza spirituale, nella ricerca di un contatto con la natura rispetto all’alienazione delle ore trascorse nella realtà della fabbrica
A partire dalla fine del XIX secolo, in Germania si assiste alla diffusione degli orti urbani come vera strategia d’urto ai fenomeni di progressiva e proporzionata industrializzazione delle città.
Per quanto riguarda il ruolo sociale dell’agricoltura urbana si ricorda la figura di Jules Lemire (1853 - 1928), uomo di chiesa, professore e politico, che avvia una campagna di promozione di questo fenomeno che riteneva avesse un forte intento pedagogico mirando ad avvicinare gli operai, attraverso il giardinaggio, al senso del lavoro e della famiglia, tenendoli lontani da fenomeni come l’alcolismo.
L’aspetto di sicurezza alimentare fornito da questi piccoli giardini acquista valore in Italia durante le
due Guerre Mondiali, vi sono infatti esempi a Roma in Piazza del Popolo, a Milano in Piazza Duomo,
a Torino in Piazza San Carl dove sono impiegati nella realizzazione di questo progetto le semplici aiuole e i vivai comuni, come i luoghi di maggior rappresentanza.
Con la crisi economica del 1929, molte più aree venivano adibite a zone di coltivazione, necessarie all’auto-sostentamento della popolazione. Gli orti prendono il nome di “Schrebergarten” (piccolo giardino, giardino della famiglia) e si diffonderanno velocemente anche in Austria e Svizzera con il nome di “Gartenfreun” (giardino amico). Gli “Schrebergarten” si inseriscono nel contesto della rielaborazione dei presupposti teorici e scientifici della cultura urbanistica tedesca e vengono definiti come “una dotazione agroalimentare utilizzabile tanto per la casa singola che per l’edificio collettivo”3 Alla fine degli anni 30’, in coincidenza della crisi che affonda l’Europa, si diffonde il fenomeno degli “orti di famiglia”, sostenuta e disciplinata dall’ Opera-Nazionale Dopolavoro, che organizza un iniziale gruppo di orticoltori familiari, con un’opera di propaganda molto attiva l’operazione porta a Milano in due anni, alla creazione di 1800 orti. Il fenomeno degli orti urbani giunge in Italia al suo apice più tardi, tra il 1940 e il 1942 con la realizzazione degli “orti di guerra”, con cui si muta la funzione di svago dopolavoristico dei cosiddetti “orti e giardini familiari”.
Il fenomeno degli orti di Guerra non è estraneo nemmeno negli Stati Uniti d’America. A partire dalla fine dell’Ottocento, i governi centrali e locali americani appoggiano e favoriscono il crescente sviluppo dei community gardens: orti urbani realizzati nei cosiddetti vacant lots ovvero aree abbandonate
3
MIGLIORINI F. (1992) Verde urbano : parchi, giardini, paesaggio urbano: lo spazio aperto nella costruzione della citta moderna, Franco Angeli Editore Milano 305 p.
situate prevalentemente nei quartieri degradati delle città o comunque in zone di scarso pregio immobiliare.
L’avvento delle due grandi Guerre Mondiali è ancora motivo di appoggio da parte dei governi per la realizzazione degli orti urbani. A New York la scarsità di cibo porta nuovamente al ricorso degli orti, i cui movimenti dei “Liberty gardens”, dei “Relief gardens” (1917-1920 e dei “Victoria gardens” (1941- 1945) non si esauriscono, questa volta, soltanto alla produzione orticola: ora la coltivazione è “il dovere di ogni leale cittadino” che deve “ fare tutto il possibile e accettare ogni sacrificio per mandare provviste alle forze combattenti”4.
Fig 2.6 Manifesti "Victory Garden", 1945
Le scelte di governo del territorio hanno progressivamente limitato gli spazi e le funzioni dell’agricoltura, senza valutare l’opportunità di salvaguardare il ruolo di questa svolto a beneficio della stessa città. Nei momenti storici di tranquillità economica e sociale, la città torna a essere considerate luogo adibito a parchi e giardini, non a orti, che vengono visti da urbanisti e dalla gente comune solo come un elemento di degrado paesaggistico. La ricreazione del cittadino è confinata agli spazi istituzionali del verde e la pianificazione urbana ne esclude altre forme. Gli orti, considerati inappropriati per l’ambiente urbano, scompaiono; il fenomeno continuerà a sopravvivere solo in sordina, coltivati da uno sparuto gruppo di nostalgici bucolici.
In paesi come Germania, Svizzera, Francia, Austria, Olanda, già nella prima metà del XX
secolo cominciano le pratiche per la tutela dei cosiddetti orti sociali e nascono associazioni
nazionali poste a responsabili della gestione dei lotti resi disponibili a questo progetto. Nel Regno Unito le amministrazioni locali inglesi mantengono il controllo della gestione complessiva delle aree ad orti, la cui richiesta è molto alta, con lunghe lista d’attesa. Laddove i governi non arrivano si sviluppano spesso pratiche di autogestione e accanto all’orto individuale nascono i “community gardens”.
In Italia soprattutto, la coltivazione di orti all’interno delle città diventa una vera anomalia. Tuttavia a partire dalla fine degli anni ’60-‘70la pratica ortiva comincia a vivere una nuova stagione di successo pur con caratteristiche di nicchia, in crescita fino ai nostri giorni, vera passione di tipo hobbistico ma non solo.
Negli ultimi decenni, unitamente alla diffusione sociale e ambientale di un recupero del rapporto tra consumatore e produzione, e alle nuove necessità urbane di recupero di aree periferiche di scarso pregio, il fenomeno dell’agricoltura all’interno della città sta nuovamente prendendo vigore in quasi tutto il mondo, con caratteristiche diverse:
• nei paesi in via di sviluppo come sostentamento familiare prevalentemente con tecnologie produttive low tech
• nelle megalopoli, con valore di produzione vista la distanza del terreno, specialmente con tecnologie high tech come serre urbane
• nelle città Europee, con un valore prevalentemente sociale, hobbistico ed educativo.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso con la diffusione, il tema dell'orto urbani subisce una drastica evoluzione ed inizia ad essere oggetto prima di esperienze, poi di discipline e regolamenti. Esperienze di diverso tipo nascono in Nord America, dai community gardens, caratterizzati da uno scopo prevalentemente sociale e conviviale, fino alle commercial farms ( che sfruttano anche le copertura piane degli edifici, roof top commercial farms, con sistemi serra e coperture verdi). Queste ultime, come il nome stesso dice, hanno un valore prevalentemente commerciale, ed hanno
4 http://www.italianostra.org
come obiettivo la vendita di prodotti agricoli coltivati in città, a km0, prediligendo la filiera corta. Sono contestuali a queste esperienze la nascita di appositi regolamenti e leggi, le Urban Agriculture Laws, che nei diversi stati degli Stati Uniti, hanno istituzionalizzato e regolato l’agricoltura urbana, anche commerciale, sia da un punto di vista economico che urbanistico.
In Italia sempre negli anni 80 si cominciano a diffondere gli orti sociali, prime esperienze ad essere regolamentate, dalla prima nel Comune di Modena (1980) seguono Milano, Torino e Salerno5. Con questa regolamentazione si passa da una visione “abusiva” dell’orto urbano ad una di tipo “sociale”. Così riportare all’interno della città il verde produttivo-agricolo degli orti, non è più considerate solo un mero elemento di ostacolo al degrado degli spazi interstiziali del costruito, ma un obiettivo concreto perseguibile dalle politiche urbane Molti comuni metteno a disposizione appezzamenti di terreno, in forma sia pubblica che semipubblica, attraverso associazioni e cooperative, in risposta alle dinamiche e alle esigenze sociali contingenti e in base alle specifiche tipologie urbane. Alcuni comuni introducono NTA e Regolamenti per individuazione di aree e affidamento di orti sociali, le norme stabiliscono le caratteristiche dello spazio, del suolo, le modalità di approvvigionamento idrico.
Spesso però gli orti sociali sono caratterizzata da mancanza di qualità architettonica o integrazione (materiali di scarto per separare e proteggere): le norme potrebbero prevedere tipologie di orto, tipo di specie (d coltivare, ma anche per siepi e alberi intorno) e tipo di materiali da usare per recinzione e protezione
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5 SACHERO, A. Prove botaniche di sopravvivenza urbana (2011-2012) Tesi di Laurea Politecnico di Milano Scuola del Design Corso L.M in Design degli Interni Davide Fassi