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progetto era sensibilizzare alla sostenibilità gli studenti, ed incoraggiarli ad uno stile di vita sostenibile. Inoltre il progetto mirava a insegnare agi studenti a prendersi cura del proprio spazio. Gli ortaggi potevano essere consumati alla Cafeteria dell’Università.

Fig 5.39 Bailey Hall Green Roof Project – Growing Food for Dormitory Residents: Fig 5.40 ColtivaMi

L’orto diffuso32 è un network, una comunità virtuale ma anche fisica, che collega gli spazi più immediatamente disponibili (balconi terrazzi, davanzali) con gli spazi coltivabili più tradizionali attraverso le persone che utilizzano questi spazi per ripensare la città, ma anche la propria vita. L’orto diffuso è una sorta di infrastruttura verde produttiva, che risponde al ruolo richiesta di comunità dato dalla fruizione del verde e dell’agricoltura, portato nella città contemporanea. L’orto diffuso è un’occasione per condividere e scambiare attrezzi, semi e idee.

Obiettivo dell’orto diffuso è creare un “sistema” che faciliti la formazione di micro-comunità urbane con l’esigenza e la volontà di riappropriarsi di un pezzo di città e di farsene attivamente carico, trasformandolo in un luogo in cui “coltivare”, non solo a livello agricolo, bensì a livello sociale, culturale ed esperienziale.

Sono molti i network in Italia e nel Mondo e sono i network “globali” che hanno l’ obiettivo di

raggruppare le realtà esistenti in un intero stato o a a livello mondiale, ( spesso poco aggiornati perché non direttamente in contatto con network locali.) , network cittadini che hanno l’obiettivo obiettivo di raggruppare mappare le realtà esistenti in una città. A Milano interessante è il network Orto Diffuso che opera:

• analisi: censimento degli spazi coltivabili, per individuare le caratteristiche microclimatiche, le superfici disponibili le piante più adatte per quelle condizioni, individuare le aree abbandonate, dove sarebbe possibile creare un orto comunitario.

• Percorso informativo: incontri, chat, mailing list e forum per scambiare conoscenze e informazioni su tecniche di coltivazione e pratiche a basso impatto, estetica dell’orto, organizzazione degli spazi e comportamento delle piante

• Percorso pratico: verifica dell’utilità economica dell’orto diffuso. Si organizzeranno sistemi di monitoraggio , analisi bilanci familiari dei partecipanti

• Facilitatore: Orto Diffuso vuole promuovere scambio di sementi e informazioni tra orti urbani e rurali, vuole incentivare la creazione di orti comunitari di ampio respiro e sensibilizzare la PA. A livello globale proprio nei primi mesi del 2012 è stato presentato all'incubatore d'idee H. Farm di San Francisco un nuovo social network “Grow the Planet” piattaforma sviluppata da tre giovani toscani in collaborazione con Slow Food, che si appresta a diventare uno dei punti di riferimento virtuali per gli agricoltori urbani di tutto il mondo, per creare una community in cui i membri possano scambiarsi informazioni, prodotti, sementi, visite e assaggi.. La piattaforma si rivolge non solo ad amatori e hobbisti di colture sul balcone, ma anche a professionisti e ristoratori decisi a produrre da sé i propri ortaggi.

Il cuore del progetto è dedicato a una sezione di e-learning, dove si possono avere consigli . inoltre “Grow the planet” ha un sistema di geolocalizzazione, che permette di localizzare il proprio orto sulla mappa. Così si possono ottenere consigli personalizzati, interagire con gli utenti, riconoscere i propri "vicini di casa" coltivatori e incontrarli, la segnalazione di parassiti in determinate aree geografi che, un calcolatore dei tempi di semina in base alla posizione geografica ed una pagina dedicata al baratto. La comunità si scambia esperienze e semi e baratta i prodotti per smaltirli durante i picchi di produzione stagionale. La rete è aperta anche alle scuole e ai bambini, per far loro scoprire i cicli della natura e condividere quanto imparato a scuola con i propri coetanei in tutta Italia. Grazie alla collaborazione

                                                                                                               

32 (27. http://ortodi0 uso. noblogs.org/la-mappa/)

con Slow Food, di questa rete di comunità locali interconnesse faranno parte anche le scuole che aderiscono al progetto “Orto in Condotta”, il programma educativo di Slow Food che prevede percorsi formativi per gli insegnanti, attività per gli studenti, seminari per genitori e nonni, e naturalmente la coltivazione di un orto scolastico.

5.5 Agricoltura verticale-vertical farm

Non è possibile oggi trattare il fenomeno dell’agricoltura urbana senza imbattersi nei progetti, specialmente visionari, delle vertical farms.

Con il termine si indicano veri e propri edifici, volumi, adibiti alla produzione di alimenti orticoli (ma anche alla trasformazione, al packaging, alla vendita, e talvolta anche all’allevamento) che si sviluppano in città per portare la produzione a km0. Il concetto è stato sviluppato da Vertical Farm Project33, iniziato come esercitazione per gli alunni nel 2001 presso la Columbia University dal prof. Dickson Despommier. Il concept di progetto aveva quantificato che una vertical farm di 30 piani di 30 square feet, potrebbe produrre 2000 calorie al giorno a persona per 50.000 persone. Il Vertical farm project nasce nel 2001 alla Mailman School of public Health della Columbia University come “esercizio” per rispondere ai problemi della non sostenibilità della produzione agricola degli USA: la crescita demografica, cambiamento climatico, necessità di produzione di cibo locale alla year round, trasporti e costi di stoccaggio e refrigerazione, riportare alla natura il suolo intensivamente coltivato, la produzione agricola intensiva e non sostenibile, i food deserts. 34

Le caratteristiche individuate dal progetto35 sono:

• Produttività: 1 acro di produzione indoor è equivalente a 4-6 outdoor, poiché la produzione avviene su più livelli, grazie all’uso della tecnologia idroponica

• non ci sono “fallimenti” nel raccolto perché non è soggetto a fenomeni naturali essendo protetto e utilizzando la tecnoligia di coltivazione idroponica (soil less o soil simulant)

tutta la produzione è organic senza pesticidi, erbicidi o fertilizzanti • la VF rende alla natura il terreno adesso sfruttato dall’agricoltura

• la tecnologia produttiva idroponica e il controllo elevato riducono l’incidenza di malattie legate alla non sanità del cibo

• la VF recupera e rende potabili le acque grazie alle piante, il ciclo chiuso garantisce bassi sprechi

• la VF è energivora36 ma produce compost e quindi energia: tutto il solid waste (bottiglie, cartone, imballaggio) deve essere riciclato e riusato, tutti gli scarti organici devono essere riusati anche per la produzione di metano

• riduce l’uso di risorse fossili diminuendo trasporti, trattori..

• la VF sposta la produzione in città e così riduce le necessità di stoccaggio del cibo • la VF converte zone abbandonate delle città in distretti produttivi

• la VF riqualifica la città

• la VF crea posti di lavoro: la vertical farm porta lo sviluppo di nuove figure professionali legate alla produzione: dai coltivatori, agli uffici di gestione, ai punti vendita, tutti concentrate in un solo luogo.

la VF garantisce year round production • la VF diviene catalizzatore per la città • la VF ospita spazi di ricerca

Secondo il concetto di Despommier la vertical farm è un vero e proprio grattacielo i cui piani sono adibiti alla produzione di alimenti avvalendosi delle tecnologie idroponiche, di luce artificiale, controllo microclimatico , e controllo preciso della produzione. Si tratta di aziende agricole high tech nel cuore della città che praticano agricoltura protetta e controllata.

La vertical farm in questa concezione non è solo un edificio bensì un sistema complesso: un luogo dove si riciclano risorse, un punto focale per le future infrastrutture. Secondo Despommier il progetto diventa vincente per recuperare terreni abbandonati.

“Bringing a vertical farm into reality, even a prototype, will require many elements to come together to permit its maximum expression and make it a highly efficient food producing method” (Despommier, 2010 (b):182)

“When planning the vertical farm, architects and engineers must be driven by this critical concept, since the vertical farm will be built to satisfy the needs of the crops and not necessarily ours (..) The materials employed sin the construction of the building will be dictated by the needs of the plants and secondarily by the needs of those who work inside the vertical farm”37

The Vertical farm project per funzionare, anche secondo il suo stesso ideatore, deve essere efficiente

                                                                                                               

33www.verticalfarm.com),

34 zone degli U.S.A dove gli alimenti arrivano dopo trasporti lunghissimi,

35 Despommier D. 2010 “The vertical farm: feeding the world in the 21st century”, in Thomas Dunne Books/St. Martin's Press 36 il Controlled Environment Agriculture Center Dell’ University of Arizona in Tucson, ha progettato e costruito una growth room per la Amundsen-Scott U.S. research station in Antarctica in 2004, e ancora non ha risolto il problema su come produrre abbastanza luce a prezzi sostenibili.

ed economico, ma al momento non è ancora cosi: per prima cosa si dovrebbe costruire un edificio apposito, vetrato, tipo serra a più piani, altrimenti integrare la vf in edifici esistenti richiederebbe molta luce artificiale. La VF richiede spazio, costi di costruzione, alti livelli di management e controllo interni. Inoltre lo stesso ideatore parla di un edificio Human Unfriendly “Conditions inside the building must favour maximum crop yields while creating a tolerable condition for humans” .38

La vertical farm nella sua concezione originaria si costituisce di varie unità funzionali (centro di controllo , vivaio , spazio per la coltivazione, laboratorio, centro educativo, uffici, mercato, ristorante), è caratterizzata dalla rinnovabilità delle risorse (altrimenti è completamente energivora) e da tecnologie di controllo climatico: temperatura, aria, luce.

Fig. 5. 42 , 5.43 Vertical Farm