attorno al 1137 furono gli abitanti del Borgo a chiamare i camaldolesi26 e già in un diploma di lotario
III di tale anno l’abbazia del Santo Sepolcro è elencata tra i possessi della congregazione; nonostante le ripetute conferme pontificie e il richiamo di adriano IV, nel 1157, all’osservanza della regola camaldolese, pervicacemente rifiutata dai benedettini, il processo di accettazione della riforma, lungamente contrastato, si protrae fino agli anni ottanta del XII secolo, quando l’abbazia passa definitivamente alla congregazione camaldolese27.
Quasi inesistenti, dal punto di vista documentale, sono le notizie relative all’evoluzione della fabbrica nel corso del XIII secolo, epoca caratterizzata dal conflitto dell’abbazia, con il vescovo di città di castello e con il comune, che si riflette anche in episodi di ritorsione a livello edilizio28, oltreché prevalentemente
giurisdizionale, ben evidenziati in molti studi29. la documentazione pervenutaci è insufficiente a tracciare
un quadro lineare delle vicissitudini artistiche e strutturali della chiesa, nonostante la seconda metà del secolo rappresenti in generale un momento di intenso fervore edilizio, in una situazione demografica di progressivo e sensibile incremento30.
lo sviluppo della fabbrica è certamente segnato, per tutto il corso della sua storia, da importanti eventi sismici che ne determinano, indipendentemente dalle volontà umane, la contrastata evoluzione, condizionandone scelte ed impostazioni edilizie e stilistiche. non si può escludere che fenomeni tellurici di intensità 7-831,
riferiti negli anni 1269-1270, con epicentro rispettivamente a Badia Succastelli e a Sansepolcro, siano stati determinanti per intraprendere la ricostruzione del complesso abbaziale alla fine del XIII secolo, in concomitanza con la grande potenza e autorità assunta da camaldoli nell’alta Valle del Tevere: situazione questa che doveva lasciare un segno di rinnovamento, anche esteriore nell’aspetto dell’abbazia, fino ad allora improntato ad estrema semplicità, proprio nel momento in cui inizia a fiorire anche a Sansepolcro il linguaggio architettonico gotico che avrà, con l’ingresso in città degli ordini mendicanti32, un rigoglioso
sviluppo ed espansione, da cui difficilmente si può ritenere potesse rimanere esente la principale chiesa cittadina.
Salmi individua proprio nei caratteri stilistici dell’edificio, precipui del gusto camaldolese, che classifica come fabbrica di transizione tra il Romanico e il Gotico, il periodo di datazione della fabbrica, propendendo
per collocare negli ultimi decenni del XIII secolo l’inizio dell’edificazione33.
per la nuova e più ampia costruzione, progettata con disegno grandioso insistendo sul medesimo sito, fu occupata vasta parte della piazza antistante alla prima badia34.
26 FarullI 1713, p. 11.
27 In un documento del 1187 l’abate pietro è elencato tra altri priori e abati camaldolesi (cZorTeK 1997a, p. 74). I benedettini avversi alla riforma si ritirarono a Succastelli. per l’analisi del fenomeno, studiato da agnoletti e Tafi, si veda per tutti cZorTeK 1997a, pp. 64-76, cfr. anche DI pIeTro-FoSSa [s.d.], p. 60.
28 nel 1207 si registra l’invasione del terreno abbaziale con distruzione di un edificio e asportazione della croce (cZorTeK 1997a, p. 77). nel 1226, dopo la distruzione del campanile e della cappella di San leonardo (cfr. anche aGnoleTTI 1984, p. 52) da parte del podestà Guido, si stabilisce un rimborso all’abate per la ricostruzione e che i terreni rimanessero liberi a formare una piazza, né i monaci potessero edificare fuori dai confini del monastero (cZorTeK 1997a, p. 92). nel 1236 l’abate fa distruggere una casa costruita ad opus communis entro il cimitero
abbaziale (Ivi, p. 94).
29 per tutti si veda cZorTeK 1997a. Si segnala inoltre il recentissimo, e ancora inedito, studio di licciardello – ringrazio l’autore per avermi messo gentilmente a disposizione il testo prima della stampa – sulle Visite Pastorali svolte nell’abbazia nel corso del Duecento (lIccIar-
Dello 2012, in corso di stampa per «archivio Storico Italiano»), ricco tra l’altro di spunti e di indicazioni bibliografiche, dal quale, tra sorprendenti testimonianze relative alla condotta morale della comunità monastica, emerge la composizione della stessa che, nel 1266, risulta comprendere otto persone. Interessanti anche le indicazioni riferite alla corrispondenza visiva tra la porta del campanile e quella del chiostro (Ivi, doc. 5).
30 TaFI 1994, p. 67.
31 Sui dati sismologici: cfr. http://emidius.mi.ingv.it/GnDT/T19970926/schede1279-1879.html, studio di riferimento: caSTellI 1996 e http://emidius.mi.ingv.it/cpTI11/consultazione/query_eq/. Farulli segnala invece «un terremoto che spaventò tutta la Terra» nel 1243 (FarullI 1713, p. 16) e «un gran terremoto che atterrò molte case» nel 1277 (Ivi, p. 19).
32 Basti pensare ai cospicui esempi del complesso francescano, iniziato nel 1258, che fu capostipite in tale fase di rinnovamento, a quello di poco successivo degli agostiniani, iniziato nel 1281, e infine a quello dei Serviti (1294). per il fenomeno si veda: pIncellI 2000, alle singole schede; eaDem 2005, pp. 282-286.
33 SalmI 1942-44, pp. 48, 52-53, 61. Salmi considera la data del 1301 come «quella del verosimile compimento». analogamente Tafi indica la chiesa attuale costruita tra gli ultimi decenni del Duecento e i primi decenni del Trecento (TaFI 1994, pp. 72 e 203).
34 aGnoleTTI 1976b, p. 82. Quasi sicuramente la nuova costruzione si sviluppa in ampliamento alla precedente, di cui non è nota la con- figurazione, ribadendone l’orientamento e, presumibilmente, il passo della campata mediana corrispondente all’area presbiteriale, pari a circa 8 metri. Tafi afferma invece «è sicuro che questa primitiva chiesa romanica venne demolita completamente dopo poco più di due secoli di esistenza» (TaFI 1994, p. 201).
Fig. 13 peduccio litico scolpito, residuo della preesistente chiesa, presente sulla parete nord-est del campanile verso la navata, nascosto dall’ultima colonna presbiteriale
Fig. 14 Il rinvenimento di colonne dell’inizio del XII secolo durate i re- centi lavori di restauro eseguiti nei fondi commerciali su via XX Settem- bre: a. colonna con capitello scolpito
a palmette e caulicoli; b. colonna con
l’allineamento delle colonne nelle due file che spartiscono la navata centrale dalle laterali, presenta un andamento significativamente convergente verso la parte absidale, con uno scarto di circa m 1,20: assetto che potrebbe corrispondere al mantenimento del passo preesistente della campata mediana presbiteriale, progressivamente ampliato verso la facciata, sia per aumentare le dimensioni dell’edificio, sia per creare un gioco prospettico, di sicuro effetto scenografico, teso a esaltare la profondità e la complessiva percezione dell’altezza della navata, coperta a capriate.
le navate, spartite da arcate a tutto sesto con mostra liscia in conci lapidei35 impostate su due semicolonne
in controfacciata e sette colonne per lato36, danno origine ad altrettante campate, rettangolari nella nave
centrale, cui si affiancano, a destra campate tendenzialmente quadrate, mentre a sinistra rettangolari. le colonne presentano analoghe basi attiche, fusti rastremati composti di conci litici e capitelli, di grande interesse, piuttosto “depressi” e variamente figurati, eccellentemente conservati, fatta eccezione per quelli
della campata presbiteriale37. Figurativamente collocabili nella fase di passaggio dal romanico al gotico, con
prevalenza di quelli definibili gotici, i capitelli si differenziano per l’impiego di un linguaggio eterogeneo tanto da metterne in dubbio la contemporaneità nell’esecuzione38. In particolare appaiono di carattere
più arcaico alcuni della fila di destra, tra cui si segnalano, per l’originalità e la plastica stilizzazione, il sesto (Fig. 15a), di gusto prettamente romanico e accurato verismo, il quarto (Fig. 15b), che rielabora un motivo ricorrente in ambito locale, e il terzo (Fig. 16a), ormai già goticizzante39; singolare infine la semicolonna di
sinistra (Fig. 16b) che presenta l’eccezionalità dell’abaco sagomato semiottagonale, con motivi fogliati della campana chiaramente gotici.
Salmi asserisce che «la trasformazione ebbe inizio senza alcun dubbio dalla facciata per consentire alla vecchia chiesa di funzionare durante i lavori»40.
Tripartita e conformata in maniera da palesare la sezione interna, la facciata presenta un accenno di movimento nel risalto del corpo mediano sporgente sui laterali, lievemente ricassati, e definiti alle estremità da due lesene; era in origine priva delle monofore collocate sopra le porte laterali, come conferma una stampa del XVI secolo (Fig. 54), aperte nel 182841.
nella semplicità delle porte laterali, architravate, su stipiti a spigolo vivo, con soprastante arco a pieno centro (Fig. 17a), si individuano i segni di una datazione anticipata rispetto al portale centrale42, calibrati da esili
indulgenze ornamentali riscontrabili nelle palmette che fasciano i sostegni della ghiera modanata in aggetto, nell’architrave a fasce orizzontali e nella profilatura delle mensole che lo sorreggono, scolpite con fiori a punta di diamante (Fig. 17b).
Di proporzioni già gotiche il portale centrale, a tutto sesto e cuspide equilatera, dalla profonda strombatura alla lombarda (Fig. 19): inclinata a 45° e introdotta da una lesena con semicolonna frontale (aggettante per quasi ¾), si compone di tre piccole semicolonne, di diametro decrescente verso l’interno, alternate a risalti angolari, e prosegue nella ghiera, ripartendo sopra a capitellini fogliati che ripetono «stentate palmette alterne a magrissimi caulicoli», secondo un motivo romanico largamente impiegato43. Il giro esterno della
ghiera accoglie foglie stilizzate e nervate, mentre il motivo a palmette, dal fogliame più mosso, ricorre, scolpito ai lati, nell’alto architrave, scompartito in quattro strette fasce orizzontali (Fig. 18).
35 Solenni le definisce Salmi, sottolineando l’analogia con l’abbazia benedettina di Santa maria e egidio a petroia (SalmI 1942-44, p. 56), ma
anche con il chiostro del monastero di camaldoli (SalmI 1928, p. 64; IDem 1942-44, p. 61; IDem 1971 p. 53). 36 È una semicolonna anche l’ottava a sinistra, addossata al divisorio tra abside e attuale cappella del Volto Santo.
37 risultati frammentari, come le basi, dopo che le colonne del presbiterio, inglobate in una muratura di rivestimento che le riduceva a pilastri (evidente in foto di inizio XX secolo Figg. 39, 40), furono liberate, i medesimi hanno necessitato di un completamento per tassellamento (Fig. 47) eseguito dagli ornatisti carlo lisi di Firenze e Sigismondo Burroni di arezzo (SalmI 1942-44, p. 59, nota 1).
38 Salmi afferma che «cooperarono lapicidi ritardatari insieme con altri, aggiornati ai modi gotici» (SalmI 1942-44, pp. 58-59), confutando (Ivi, p. 53) le ipotesi di ricci volte a retrodatare la chiesa attuale. per l’analisi dei singoli capitelli cfr. SalmI 1915, p. 163; SalmI 1942-44,
pp. 59-60, tavv. IV-V; IDem [1961] 1969, p. 56 Figg. 49-52; IDem 1971, p. 53.
39 nel sesto a destra (Fig. 15a), su un giro di piccole foglie nervate, sono stilizzati due rigidi leoni per lato, allineati di schiena, le cui criniere si fondono, ogni due animali, in un unico muso angolare, sotto cui affiorano piccole protomi trattenute dalle zampe anteriori. Il quarto a destra (Fig. 15b) alterna, su due giri, palmette a sottili caulicoli dal fusto liscio, unendoli a volute d’angolo con foglie frappate. Il terzo a destra (Fig. 16a) assembla fogliami profondamente nervati e incurvati alla gotica, con rigide e rozze teste umane, quelle angolari in aggetto su foglie lisce. 40 SalmI 1928, p. 14, SalmI 1942-44, p. 53. la tesi, sebbene Salmi stesso la ponesse in forma dubitativa pensando che il risalto centrale fosse
indizio di preesistenza, è poi ribadita da aGnoleTTI 1976b, p. 82.
41 aVS, Filza 96, VII, Prospetto dei vari capi di lavoro, c.n.n. (cfr. appendice Documentaria).
42 SalmI 1915, p. 161.
43 SalmI 1942-44, p. 54. per le analogie cfr. ivi, nota 23.
Fig. 15 particolari dei capitelli delle colonne: a. sesto a destra; b. quarto a
Fig. 16 particolari dei capitelli delle co- lonne: a. terzo a destra; b. semicolonna
in controfacciata a sinistra
Gotico il rosone (Fig. 9) dalla dimensione straordinaria44 memore del grande occhio della chiesa francescana,
la cui robusta sagoma a due tori (palese il richiamo alla tradizione romanico-umbra ma anche a strutture benedettino-cistercensi45) accoglie, nella ricomposizione progettata nel 1935 con l’impiego di pezzi
originari46, un complesso e leggiadro intreccio di archetti a tutto sesto formanti motivi ogivali sulle dodici
colonnette47, dai plastici capitelli con fogliami variamente arricciati e testine aggettanti (Fig. 20).
oltre alla facciata, la muratura in elevazione perimetrale della fabbrica tardo duecentesca è facilmente individuabile nel lato nord-est, particolarmente nel tratto, con bel paramento regolare a vista e spessore costante di circa cm 80, ora incluso nel corridoio della sacrestia, ma rimasto esterno fino al 1775 per la presenza di un vicolo laterale alla chiesa48.
Su tale vicolo dovevano afferire, presenti sul fianco destro della chiesa, sia aperture illuminanti (una monofora centinata e strombata, contigua all’attuale primo altare, tra la seconda e la terza campata, è emersa negli interventi di sostituzione di una catena, seguita al sisma del 191749) e almeno una porta laterale, non
individuata strutturalmente, ma segnalata in molti documenti, detta di San Francesco, perché rivolta verso
nord in direzione della chiesa dei minori, oppure della Madonna, in quanto collocata nella navata consacrata
al culto della Vergine, ma anche delle Laudi50.
l’apertura doveva infatti prospettare verso la sede della confraternita delle laudi (detta anche della Notte), la
seconda congregazione laicale dopo quella di San Bartolomeo, che ebbe grande sviluppo al tempo dell’abate Bartolomeo II (1350-1360), situata a sinistra della chiesa abbaziale: non ne conosciamo lo sviluppo né l’esatta ubicazione, presumibilmente riferibile all’area ove insiste la parte posteriore del palazzo delle laudi, sul cui fronte laterale, antistante alla chiesa, sussistono significativi elementi tardo gotici51.
la confraternita ebbe in concessione l’ospedale di San niccolò, che risulta esser stato contiguo alla Badia52;
evidenti tracce medievali si riscontrano anche negli attuali ambienti della sacrestia: in particolare nella stanza voltata posteriore ad est, nei quattro residui arcaici peducci angolari litici piramidali, di imposta di una struttura voltata a crociera, contigui a un peduccio a fascia dentellato dell’arcone divisorio trasversale (Fig. 24) Dall’attuale porta di sacrestia fino alla facciata, la muratura laterale a nord-est, quasi duplicata nelle dimensioni, aumenta progressivamente di spessore, presumibilmente per la regolarizzazione conseguente all’inclusione di contrafforti53. analogamente si verifica nella parete laterale a sud-ovest, nel tratto compreso
tra l’attuale porta laterale e la facciata, dove la muratura ingrossa molto nella parte finale, raggiungendo addirittura i m 2,5054.
44 «rilevantissima e quasi incombente sul portale» la definisce Salmi (SalmI 1942-44, p. 54, nota 2) ritenendola una variante all’idea originale, di misura inferiore, modificata in corso di realizzazione per l’adesione al gusto gotico.
45 Salmi vi legge un richiamo al rosone vetrato della cattedrale di Gubbio (SalmI 1915, p. 161), ma si veda la similitudine formale, pur nella diversità materica e dei particolari, con il rosone dell’abbazia di Valvisciolo, presso Sermoneta nel lazio.
46 Fotografie scattate durante i lavori di ripristino (cfr. aVS, Filza 97, VIII mostrano sette frammenti (colonnette, capitelli, porzioni di archetti) recuperati nell’eliminazione della tamponatura settecentesca laterale che lo aveva ridotto a finestra. un’immagine (Fig. 46) documenta ancora
in situ, sebbene in corso di demolizione, la spalletta laterizia di riquadratura della finestra e alcuni elementi del primitivo rosone inclusi nella
muratura. per l’operazione, cui si deve anche l’arbitrario inserimento di lastre di onice, cfr. ivi, capitolo successivo e saggio Brandini.
47 nella spartizione in dodici settori della ruota raggiata che, nella tradizione cristiana, simboleggia il dominio di cristo sulla Terra, può leggersi, oltre ad un riferimento ai dodici apostoli, anche un manifesto richiamo alla struttura dell’orologio, con la suddivisione delle ore del giorno, allusiva alla funzione di tale apertura nel solstizio invernale. per le chiese orientate concepite come orologio, cfr. canGI 2006, p. 139. 48 Il vicolo pubblico, di «lunghezza braccia Trenta e di larghezza Braccia quattro», che correva lungo il fianco nord-est della chiesa, concesso
per rescritto di S.a.r. del 12 marzo di tale anno, venne acquisito per creare un andito di comunicazione diretta con la sacrestia, trasferita negli
ambienti riservati al capitolo (aVS, Filza 111, III, Acquisto del vicolo tra la Cattedrale e la Casa del Capitolo, 1775, c. sciolte: Perizia dei Mura- tori Capucci e del Tricca del 2 gennaio 1775). cfr. Tav. I, pianta indicativa.
49 aGSar, m 34, 6, Sansepolcro, Cattedrale, 1908-1967: corrispondenza del can. ulivo maccarelli al Soprintendente del 4 luglio 1917 (cfr. saggio
Brandini-Fusi). Tale finestra tamponata, e non individuabile dall’esterno, presenta, nei conci interni, i fori di alloggiamento di un’inferriata. 50 Indicato anche come «l’uscio [che] guarda la compania dele laude» (rIccI 1942, p. 53) oppure «hostium quo itur ad domos societatis
Laudum» (maZZalupI 2012, p. 9; cfr. anche De marcHI 2012, p. XV). mazzalupi, che non esclude una duplice apertura, la colloca
approssimativamente nella quarta campata a ridosso del tramezzo (maZZalupI 2012, pp. 9-10). la posizione è tuttavia ipotizzabile nella quinta campata, dove una porta sarà chiusa e sostituita, dopo il 1598, dall’altare di San carlo (aVS, Filza 43, c. 195). Sappiamo inoltre che nel 1686, quando si apre un nuovo “uscetto” sotto la loggia delle laudi, si adatta il precedente (quindi ne era presente un secondo) come armario
(aVS, Filza 45, c. 59 v); cfr. ivi.
51 peducci di singolare foggia e variamente decorati, con fogliami frappati e arrotolati, e tracce di pilastri ed archi ad estradosso falcato. 52 aGnoleTTI 1976, p. 96.
53 necessari al contenimento delle forti deformazioni prodotte su pareti libere, dall’esteso sviluppo longitudinale ed un’altezza di quasi m 10, il primo dei quali, corrispondente alle colonne dell’area presbiteriale, è forse individuabile nella discontinuità data da un piccolo tratto di para- mento faccia-vista aggettante, in aderenza all’attuale muratura che delimita la sacrestia, visibile da via Buia.
l’indagine architettonica sul monumento ha consentito la lettura delle stratificazioni permettendomi di riscontrare come, nel tratto compreso tra il campanile e la porta di ingresso laterale, sia ancora individuabile la muratura originaria (di spessore cm 85), che prosegue allineata alla torre campanaria, celata all’interno di uno stretto vano praticabile55, derivante dal
raddoppio dell’apparecchio murario, mediante un setto parallelo, di circa metà spessore, realizzato all’inizio del XVI secolo per regolarizzare il chiostro.
In tale intercapedine residua tra le due pareti longitudinali parallele, nella porzione ridotta a sgabuzzino e accessibile dal chiostro, è ben visibile, tamponata, l’antica porta di ingresso laterale56, o porta dei monaci, posizionata in
corrispondenza della sesta campata della navata destra (attualmente resta in parte dietro al secondo altare), permettendo l’accesso separato ai monaci nell’area loro riservata oltre il tramezzo: si tratta di un ampio e austero portale (luce cm 176, altezza
al piano odierno cm 360) architravato in pietra, con semplici mensole sagomate aggettanti all’interno della luce (Fig. 22b), su piedritti in conci litici, prevalentemente intonacato anche nella porzione inferiore degli stipiti per cui non è possibile individuare il livello della soglia. nel riempimento sopra l’architrave, sotteso da un arco ribassato, di cui restano l’imposta e alcuni conci in pietra cuneiformi, sussistono residue tracce di decorazione pittorica (Fig. 22a).
nel tratto di parete che affianca lo stipite destro del portale, incluso nella porzione di vano accessibile dalla chiesa, è presente – sebbene parzialmente occultata nel setto divisorio tra le due intercapedini e secata da un piccolo solaio superiore – la superstite porzione di un affresco raffigurante un monaco camaldolese, in abito bianco, di cui è ancora visibile la metà inferiore del volto barbuto (Fig. 23), parte del cappuccio e la tonaca; a destra estese tracce di cromia ocra scuro, scalfite da iscrizioni, si sviluppano fino a terra. Tale brano dipinto lascia presumere trattarsi del residuo ciclo pittorico del chiostro medievale, il cui piano di calpestio potrebbe esser individuato dalla presenza, tra zone pavimentate in cotto, di una lastra litica a pavimento.