all’abate Simone (deceduto nel 1509) succede il fratello Galeotto Graziani, ultimo abate camaldolese e primo vescovo di San Sepolcro (1521-1522)129, che continua il processo innovativo avviato da Simone, fino
ad attuare l’elevazione della chiesa abbaziale in cattedrale, con conseguente trasformazione del monastero in palazzo Vescovile e di Sansepolcro in città130.
presumibilmente negli anni che precedono la nomina a vescovo, Galeotto fece completare il chiostro nella porzione mancante, contigua alla chiesa, come indicano i due stemmi personali131: uno dipinto, entro una
corona d’alloro, al centro della volta a botte, affrescata a finti lacunari (Fig. 28c), del passaggio, contiguo alla cappella del monacato, che immette nel chiostro, presumibilmente aperto nell’occasione (il singolare peduccio angolare asimmetrico è indice di rimaneggiamenti); l’altro scolpito sul peduccio (Fig. 28d) del
129 Indicato da Farulli come «suo degno successore […]. monaco dell’istess’ordine uomo molto letterato e di grand’ardire» (FarullI 1713, p. 41). 130 Il 22 settembre 1515, con bolla Praexcellenti praeminentia leone X erige in cattedrale la chiesa abbaziale. Il 18 settembre 1520 è insediato
il primo vescovo con nomina alla cattedra episcopale dell’ultimo abate (Greco 2011, pp. 93-94). l’8 aprile 1521, dopo la consacrazione a vescovo avvenuta a Firenze, Galeotto Graziani prende possesso della sede con diniego del priore generale di camaldoli Delfino che lo accusa di infedeltà all’ordine e di ambizione (FarullI 1713, p. 43; TaFI 1994, p. 84).
131 lo stemma, analogo a quello di Simone Graziani, presenta anche una rosa in campo in alto a destra, segno distintivo del successore Galeotto Graziani (cfr. aGnoleTTI, 1976a, n. 18).
Fig. 28 Stemmi con l’arme dell’abate e primo vescovo Galeotto Graziani (1509-21): a. terza formella dall’alto
del battente di sinistra del portone centrale: lo stemma è sormontato da mitra e galero a due nappe; b. piedritto
alla base del monumento sepolcrale di Simone Graziani 1521; c. volta a botte,
affrescata a finti lacunari sul passaggio, contiguo alla cappella del monacato, che immette nel chiostro; d. peduccio
presso la porta laterale della chiesa, sul setto murario duplicato di sud-ovest (lato nord del chiostro)
lato nord del chiostro, che affianca la porta d’ingresso laterale della chiesa, apposto proprio sul setto murario realizzato successivamente e parallelamente al fianco laterale originario, che regolarizza il chiostro, a denotare la paternità dell’intervento.
analogamente Galeotto contrassegna, con il proprio emblema132 i tre portoni di accesso principali,
ripetendolo intagliato su tre formelle lignee, una in ciascun battente dei portali133 (Fig. 28a).
Infine, lo stemma di Galeotto, con mitra soprastante e tracce di cromia (Fig. 28b), è scolpito sui basamenti delle lesene che delimitano l’imponente arca sepolcrale134 in marmo bianco, opera celebrativa di evidente
prestigio (Scheda 15), come denota anche l’inusuale impiego del materiale135, dedicata a Simone Graziani e
commissionata dal fratello, che risale –come si deduce dall’epigrafe in cui Galeotto si definisce novus urbis episcopus136– presumibilmente al 1521. originariamente il monumento era collocato nel coro dalla parte
della sacrestia137.
In chiesa, oltre alla monumentale arca funebre si segnala, in particolare, quale opera che assunse a lungo grande rilevanza, l’edificazione dell’altare-cappella in onore dei Santi pellegrini egidio e arcano, richiesta nel 1513, come atto iusto et honorevole nei confronti dei fondatori, da realizzare «bella con ornamenti
convenienti et con l’armi et l’insegne», come attesta un documento coevo138.
Dell’imponente e complesso corredo ornamentale, collocato sul lato sinistro della chiesa presso la facciata139,
che prevedeva una monumentale e articolata composizione, quasi architettonica, in cui una pregevole cornice intagliata (perduta opera dei maestri lignari della famiglia alberti) si univa a sculture lignee policrome140 e a
pittura, di cui resta solo la tavola della Resurrezione di raffaellino del colle, allogata nel 1522141. nel 1565
si lavora ancora alla decorazione dell’altare dei Santi egidio e arcano, come dimostrano i 1950 fogli d’oro fino dati a raffaellino del colle per indorare il tabernacolo costruito da Giovanni Taurini142, sia i pagamenti
132 Tafi invece attribuisce al tempo dell’abate Simone Graziani anche l’esecuzione della porta lignea (in pioppo rivestita di noce) del portale prin- cipale adducendo a prova «[…] il suo stemma scolpito sul battente di sinistra […] e i rosoni scolpiti in altri pannelli. la rosa era l’elemento più conosciuto e popolare dello stemma Graziani» (TaFI 1994, p. 205).
133 nella formella (in alto a destra) del portale laterale destro lo stemma è contornato da una ghirlanda; in quella del portale laterale sinistro (in alto a destra) è sormontato da una mitra; nel portale centrale (terza formella dall’alto a sinistra) è sormontato da mitra e da galero con due nappe (una per parte). per specifiche sul significato delle formelle del portone cfr. anDreInI 2007, p. 16; cHIelI 2009, pp. 18,145-146. 134 aGnoleTTI, 1976a, n. 18.
135 Ispirato a celebri modelli fiorentini, il monumento è opera di particolare rilevanza, soprattutto nel panorama artistico della Valtiberina, ove prevale l’uso del legno e della terracotta, materiali più facilmente reperibili ed economici; l’inusuale impiego del marmo è pertanto particolar- mente significativo ed associato ad occasioni celebrative di grande prestigio (cfr. GIannoTTI 2004b, p. 159). l’opera, priva di bibliografia critica moderna, non è stata adeguatamente indagata (caScIu 1998, p. 20; IDem 2000, p. 69), ad eccezione di GIannoTTI 2004b, pp. 161-162, figg. 164-65. per l’opera cfr. ivi, Scheda 15.
136 Deo· maX· com/ SVmonI· GraTI· BeneD· FIlIo· aBBaTI pIenTISS·/ coenoB· DomVISQ· aFVnDo InSTaVraTorI/ Germano SVo DVlcISS· QVoI omnIa De/BVIT· GaleoTTVS F~r p~rIÆ DecVS SVcceSSor/ aBB· InDe noVVS
VrBIS ep~VS leone X ponT·/ Hoc maVSol· lacrVmanS· eT· SIBI FecIT·/ VIX· ann· lX· men· III· DIeBVS· V· oB· m°·
D· V·IIII· per la trascrizione cfr. anche aGnoleTTI 1976a, n.18.
137 la posizione iniziale la riferisce Bercordati (IDem post 1555, c. 63v) citato da rIccI 1942, p. 60. concorda Farulli (IDem 1713, p. 41). per gli spostamenti v. ivi nota 282.
138 rIccI 1942, pp. 61-62; anche agnoletti (rIccI 1987, p. 7) trascrive parzialmente il brano e ritiene che «questo desiderio non si effettuò perché l’abbazia divenne cattedrale»; FranKlIn 1990, p. 154 nota 16; da ultimo cfr. anche maZZalupI 2012, pp. 12-13 cita: aScS, B, II, 7bis, cc. 35v-37v ex 25v-26v.
139 FranKlIn 1990, p. 154 nota 17; GIannoTTI 2004a, p. 61 e nota 54; analogamente maZZalupI 2012, p. 31. In quest’area era pre- sente forse, come pittura votiva o pertinente a una cappella non meglio identificata, un grande affresco su due registri, dipinto su muro concavo da Gerino da pistoja (v. nota 112, ivi). Descritto da mancini (mancInI 1832, vol. II, p. 267 nota 2; cfr. anche roGerS marIoTTI 1994,
pp. 50-55; caScIu 1998, pp. 41-42, nota 96 – che equivoca trattarsi della cappella della madonna delle capuccie –: per aggiornamenti e chiarimenti in merito cfr. maZZalupI 2012, pp. 22-23 e Ivi, p. 31, nota 124 anche per la trascrizione del brano di mancini), subito dopo la
fortuita riscoperta avvenuta durante i lavori del 1826-27, nel corso dei quali si intervenne con la demolizione e ricostruzione del muro contiguo alle logge, per ricavare la scala a chiocciola di accesso alla nuova cantoria, i due frammenti vennero staccati nel 1828 e trasferiti in sacrestia (aVS, Filza 96 ins. 7, Prospetto dei capi di lavori, 1828 c. n.n., punti 11, 12 e ultima pagina, cfr. ivi appendice Documentaria. per l’opera cfr. ivi,
saggio mazzalupi.
140 FranKlIn 1990, p. 157; caScIu 1998, p. 22; GIannoTTI 2000a, p. 49; eaDem 2004b, p. 169.
141 Il contratto è trascritto in FranKlIn 1990, p. 157, doc. 1; GIannoTTI 2004a, p. 61 e nota 54. al 1525 data l’obbligazione da parte di raffaello del colle «a fenire detta pentura, cioè el mezzo tondo e doi figure una sopra san Giglo, l’altra sopra sancto Arcano …» (FranKlIn
1990, p. 158, doc. 2). per l’opera, oggi collocata lungo la parete sinistra, v. ivi, Scheda 16 . nella Visita del 1524 è indicata come capelle nove
(aVS, Visita Tornabuoni 1524, in maZZalupI 2012, app. II, doc. 1, p. 125).
142 «adì 29 genajo 1565 […] p. folli mille-novecento cinquanta d’oro fino di folli dato ditto oro p. comasione […] à m.o rafaello dalcollo p. inorina
il tabernaculo di S.to gidio e di S.to arcano» (aVS, Filza 43, c. 76r; cfr. anche aGnoleTTI 1984, p. 37). nel febbraio ne riceve 2850 per la
al legnaiolo agnolo di Giulio Dalinconte (?) per la fattura della cupola soprastante143. ulteriori decorazioni
eseguite a spese del colonnello Taurini, dei fratelli ed eredi sono indicati nelle relazioni delle visite del 1568 e 1593144.
II. La chiesa cattedrale
I primi quaranta anni dall’elevazione a cattedrale ed instaurazione della sede vescovile (una trentina dei quali segnati dall’avvicendarsi al trono episcopale dei fiorentini Tornabuoni) non presentano interventi architettonici di rilevo che imprimano salienti modificazioni alla chiesa già abbaziale145, il cui assetto si
desume dalla relazione della prima Visita Pastorale, svolta nel 1524 dal vescovo leonardo Tornabuoni (1522-
1539): le cappelle (in numero di 13) sono elencate in ordine sparso, secondo una sequenza di percorso inconsueta, svolta in più giorni146.
Interventi manutentivi alla Fabbrica del Duomo sono attribuiti al milanese mons. Filippo archinto (1539- 1546) che devolve alle necessità della cattedrale i benefici di cui ottiene, mediante un decreto di paolo III del 1539, l’unione alla mensa Vescovile147. mentre restauri e trasformazioni al palazzo Vescovile, di cui non
è nota l’entità148 sono eseguiti sotto mons. alfonso Tornabuoni (1546-1557), che commissiona anche (per
ordine di monsignore vescovo Tornaboni vechio) ad alberto alberti, il 5 novembre 1549, la costruzione di «uno Tabernacolo del santissimo Sagramento per l’altare grande»149; quindi, presumibilmente agli inizi
degli anni cinquanta, data il trasferimento all’altar maggiore del Santissimo Sacramento, fino ad allora conservato nell’altare in Cornu Epistolae150.