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Paola Refice

alla schiera di crocifissi lignei tunicati medievali sparsi in tutt’europa, di cui quelli oggi nella chiese cattedrali di Sansepolcro e di lucca costituiscono esempi eccellenti, ci si riferisce ab immemorabilis con l’appellativo

di Volto Santo. Tale definizione li accomuna a manufatti sostanzialmente diversi, primi fra tutti i dipinti

– o, comunque, le raffigurazioni, talvolta ritenute acherotipe (non eseguite da mano umana) − della Vera Immagine di cristo, limitata al volto: rappresentazioni, queste, che si inseriscono nella nobile tradizione del

mandylion (sudario) di edessa e/o della Veronica (vera icona) del Vaticano, o di manoppello.

Questa coincidenza di termini, usati per indicare in forma bidimensionale l’immagine di un volto oppure l’intero corpo del cristo crocifisso, nelle tre dimensioni e con un’iconografia piuttosto costante – la grande testa con la barba bipartita, il corpo ricoperto dalla tunica – è indizio di un’accezione che accomuna le distinte categorie di oggetti.

che con Volto Santo si vada ad indicare una grande e completa immagine del cristo, potrebbe derivare

da un’assunzione di importanza della parte sommitale della figura, e della testa, rispetto al corpo, spesso ricoperto da vesti di stoffa; o – piuttosto – segnalare una traslazione del significato dal particolare al generale. potrebbe discendere, per esempio, dalla natura di grande reliquiario della statua lignea, riconosciuta per il caso di lucca. come il simulacro lucchese, alcuni Volti Santi avrebbero potuto racchiudere una cavità atta

a contenere una reliquia, quale la parte di una Veronica, tale da connotarne latu sensu, nel tempo, il nome.

evidentemente, tale processo semantico potrebbe essersi compiuto in uno, o in alcuni casi; e, quindi, il nome così attestatosi potrebbe essere stato diffuso con le repliche, più o meno dirette, che esse conservassero o meno la funzione originaria di contenitore.

la critica ha enumerato, a partire da quello lucchese – del quale è rimasta lungamente indiscussa la primogenitura – una folta sequenza di crocifissi tunicati; a fianco del ben distinto gruppo delle majestates

catalane e dei pirenei occidentali, un buon numero ne sopravvive in europa Settentrionale (engleberg, Braunschweig, Stoccolma, dal Gotland) e anche in Italia: Bocca di magra (la Spezia), pisa, Santa croce sull’arno (pisa), rocca Soraggio (lucca), Force e amendola nell’ascolano, oltre, ovviamente, a Sansepolcro1.

a fronte della diffusione, i Volti Santi lignei costituiscono una tipologia di opere tra le più scarsamente

documentate dell’arte occidentale. l’ipotesi che tale silenzio documentario sia connesso a un «isolamento sacrale»2 collima perfettamente con quanto è noto, o ricostruibile, circa la grande statua lignea (cm

280x290) venerata dal 1770 nella cattedrale di Sansepolcro. Di essa, a tutt’oggi, non si conosce l’origine, a fronte della leggenda che la vuole donata alla città, nel 1146, dai conti catani, su cui avremo modo di tornare più avanti. Il dato documentario centrale, a tutt’oggi, attorno al quale non può che ruotare ogni ricerca ulteriore, è che prima del trasferimento in cattedrale il Volto Santo era conservato nella pieve di Santa maria,

poi Sant’agostino.

anna maria maetzke e Franco polcri hanno dedicato, tra gli anni ottanta e novanta del secolo che ci precede, accurate ricerche a quest’opera eccezionale.

mentre lo studioso biturgense ha meticolosamente reperito, rielaborandole criticamente, le emergenze documentarie, anna maria maetzke ha esaminato l’opera in occasione del restauro, da lei stessa promosso e diretto, eseguito nel 1984 da Barbara Schleicher, tirando le fila delle osservazioni dirette e delle indagini diagnostiche. Il risultato è un volume monografico, edito nel 1994, al quale marina armandi ha dato il proprio contributo, di carattere prettamente storico-iconografico 3.

1 per l’impostazione della complessa questione delle Majestates: DurlIaT 1989, pp. 69-95. Sulla diffusione della tipologia del crocifisso tu-

nicato in Italia: perTuSI puccI 2002. Sul Volto Santo di lucca: IL VOLTO SANTO 1982; LUCCA, IL VOLTO SANTO, 1982 . Sulla

questione in generale: IL VOLTO SANTO IN EUROPA 2005 ed inoltre IL VOLTO SANTO DI ROCCA SORAGGIO 2009, con bibl.

2 aScanI 2009, p.14; reFIce 2010, p.87.

3 maeTZKe 1994; polcrI 1994, pp. 100-120; armanDI 1994, pp. 124-135. Fig. 91 Vincenzo chialli, Crocifissione,

In sintesi, nel volume, veniva riaffermata l’estrema somiglianza dell’opera con l’omologo lucchese, già affermata da studi precedenti, ma, nello stesso tempo, si rivoluzionava la teoria – sin ad allora imperante – del cristo di Sansepolcro “copia” del Volto di lucca (Fig. 93). rispetto a quest’ultimo, datato per lo più all’XI secolo, a quello biturgense veniva attribuita, su basi diagnostiche e comparative, un’origine più antica. l’elemento fondamentale di tale inversione di tendenza era costituito dalle risultanze delle indagini dendocronologiche, dalle quali risultava come il taglio del tronco di noce, utilizzato per scolpire il corpo, risalisse al VII-IX secolo, mentre per il braccio sinistro, rifatto successivamente, era stato usato un albero tagliato tra il X secolo e i primi due decenni dell’XI. l’opera, inoltre, aveva subito vari e ravvicinati interventi di restauro e di “ammodernamento”, di cui uno, piuttosto radicale, attorno alla fine del XII secolo. È a tale periodo, infatti, che vanno ricondotti gli ornati a ruota dell’abito, che sostituirono una veste rossa sottostante. I rifacimenti conservarono l’elemento dello scollo a “V” e dei due clavii che scendono ai lati del collo, così

come la cintura di cuoio, dalla complessa annodatura fermata da una fibbia, elemento non riscontrabile in altri crocifissi romanici, compreso quello lucchese.

Fig. 93 Il Volto Santo, lucca, cattedrale

Fig. 92 Il Volto Santo, Sansepolcro, cat-

Gli ornati a ruota che corrono lungo l’orlo, abitati da figure animali e figure umane intente a cacciarle, come le iniziali miniate, costituiscono, come già accennato, una notevole e significativa innovazione, che rimanda anche a esempi locali: lo stesso motivo è presente nelle ridipinture (eseguite nel XII-XIII secolo) sui due crocifissi lignei provenienti dal duomo vecchio di arezzo e conservati nel museo Diocesano della città e si collega direttamente a quella rinascenza paleocristiana che – partendo da roma – caratterizza in questi anni il romanico maturo.

raffinatissime ornamentazioni che, per la maggior parte del tempo, rimanevano pressoché invisibili. Il

Volto Santo era ricoperto da ricche vesti di stoffa e solo

la testa, proiettata in avanti da un gesto espressionistico e impressionante, risultava visibile, sotto la corona metallica di cui veniva cinta in speciali occasioni liturgiche. Il volto dai grandi occhi listati – in cui la maetzke coglieva un’origine orientale – incuteva nel riguardante una forte emozione e un reverenziale timore. nulla a che vedere con la consuetudine affettuosa con cui i fedeli si rivolgevano nel quotidiano ai crocifissi raffiguranti il cristo morente, secondo la tipologia del patiens. In particolare il ruolo di emblema

civico svolto dal Volto Santo lucchese4 non trova adeguato riscontro a Sansepolcro, la cui cittadinanza,

com’è noto, si riconosce sotto l’emblema della Resurrezione. Il Volto Santo di Sansepolcro non sembra avere

alcuna fama all’esterno, né il suo nome riecheggia in racconti, detti e forme proverbiali, come accade per quello lucchese, sin nelle sperdute plaghe delle terre del nord . Il suo “arrivo” in circostanze misteriose ha alimentato, ancora di recente, suggestioni, ipotesi e qualche polemica5.

eppure la città non lo ignora. la suggestione, più volte raccolta, che il risorto di piero della Francesca ripeta le fattezze del Volto Santo per chiamarlo in causa nell’emblema cittadino, forse sulla scia di prototipi

precedenti, è più che un’ipotesi oziosa. richiama – sul piano delle congetture – l’idea delle origini della città

e della sua lotta per l’emancipazione dalle pretese dei vescovi di città di castello6.

a partire dal 1348 – e non prima – il Volto Santo va a costituire il centro di una devozione intensa, ma particolare; e non siamo in grado di stabilire fino in fondo quale fosse l’effettivo rapporto tra l’immagine e la

comunità cittadina, se non cercando di coglierne indirettamente gli indizi all’interno delle fonti edite e della documentazione raccolta da Franco polcri.

la leggenda della donazione dei catani – o cattani – si scontra – come polcri ha felicemente dimostrato – contro la eclatante assenza di citazioni del simulacro nei documenti di Sansepolcro, prima del 13487.

peraltro alla famiglia cattani sarebbe connessa, secondo la tradizione, non solo la donazione del Volto Santo,

ma anche, due generazioni più tardi, quella del monte della Verna a Francesco da assisi.

la famiglia, nei suoi rami, sembra corrispondere in origine a distinte fare longobarde di Cattani – capitani

– piccoli vassalli legati alla difesa di castelli in tutta l’Italia centro-settentrionale. Sia i generosi donatori di Bibbiona che il conte orlando di chiusi sono castellani, attenti al controllo del territorio loro assegnato dall’autorità imperiale. la leggenda sembra adombrare – così come per il caso alverniate – un’origine civile, “civica” dell’acquisizione, ribadita peraltro da alcuni fatti salienti.

come prova ancora polcri, sin dai primi documenti – e, quindi, alla metà del quattordicesimo secolo – il

4 manSellI 1982, pp. 9-20; aScanI 2009, pp. 9-18, 15-16.

5 Si sorvola qui intenzionalmente sulla vexata quaestio dell’identificazione, da parte di anna maria maetzke, del Volto Santo di Sansepolcro con

quello di lucca, che sarebbe stato ceduto e sostituito – perché in cattive condizioni di conservazione – nel XII secolo. per una sintesi della questione cfr. reFIce 2010, pp. 83-89.

6 Si vedano cZorTeK 1987 e, soprattutto, polcrI 1994, in part. pp. 100-110, 115-116 e nota 1.

7 polcrI 1994., pp. 102-103, 106-107.

Fig. 94 Il Volto Santo, particolare, San-

Volto Santo appare affidato alla confraternita di San Bartolomeo, la più potente della

città, strettamente legata al governo locale, che ne nomina rettori e amministratori. Il prezioso simulacro trova inoltre posto, probabilmente, in una cappella specifica della pieve: al di fuori della pianta dell’edificio, ai piedi del campanile, in uno spazio di diretta competenza del comune, che, nel 1467, fu addirittura collegato abusivamente, con uno scasso, alla pubblica via, per permettere alla cittadinanza di accedervi eludendo il controllo del rettore della pieve, longa manus del vescovo castellano sulla città . Solo

dal XVI secolo, con l’elezione di Sansepolcro a sede vescovile, il cristo tunicato perse le sue valenze revanchiste, e passò sotto il controllo – anche finanziario – dell’opera della cappella del Volto Santo, di cui erano parte gli agostiniani, trasferiti col relativo titolo nella vecchia pieve per lasciar posto alle suore francescane nella loro chiesa, divenuta così Santa chiara, quindi (1565) trasformata in compagnia. Il contenzioso derivato dall’ingente indotto economico legato alle offerte cultuali aumentò progressivamente, finché nel 1742, con un vero e proprio colpo di mano, gli agostiniani spostarono il simulacro dalla cappella all’altare maggiore della loro chiesa8.

Il legame tra il Volto Santo e la cattedrale nacque appunto in questa atmosfera, nell’ottavo

decennio del XVIII secolo. come ancora oggi accade, prendendo lo spunto dalla necessità di intervenire sull’edificio della vecchia pieve, minato da problemi statici, si stipularono accordi (1771) per un deposito – connotato dapprima come temporaneo – tramite il magistrato cittadino. Sostituito allora dal dipinto con la Madonna della Consolazione e

trasportato in cattedrale, sull’altare maggiore, il simulacro fu sistemato nella posizione attuale nel 1942: la cappella fu ricavata nel corso di una vasta campagna di lavori di restauro e ripristino neo-medievale dell’edificio .

Il notevole valore economico dell’immagine, documentato tre secoli fa, è prova evidente di una crescente devozione, e di una funzione di mediazione che si esplica soprattutto attraverso gli “scoprimenti”: vere e proprie ostensioni celebrate nelle occasioni liturgiche fisse (festa di cristo re, a novembre) o, eccezionalmente, per impetrare grazie particolari, nell’occorrenza di epidemie e fenomeni naturali: l’uso devozionale ricorrente è connesso con il ristabilimento dell’equilibrio, nella siccità come nelle alluvioni. nel periodo successivo, questa devozione, come le altre, subì certo un rallentamento, ma non una perdita di significati. una fase di “transizione” può essere rappresentata dal 1901, quando la Diocesi dedicò l’intero anno al Volto Santo. anche in epoca di modernismo, mentre,

per reazione, venivano bandite le forme di devozione più diretta e popolare, le attenzioni tributate al Volto Santo ricevettero l’avallo di un’ufficialità costante: fu lo stesso vescovo

pompeo Ghezzi, avversario deciso dei rituali “spontanei” di vestizione delle immagini, a commissionare nuove vesti. un esame non distratto dei due manufatti conservati al museo civico di Sansepolcro – la corona metallica e la zona della veste (quattrocentesca?)

– apre nuove prospettive sulla tradizione “antica” legata all’immagine. la seconda, proveniente da Sant’agostino, mostra evidenti i segni di interventi e manutenzioni successive; ma soprattutto la corona rappresenta un oggetto di grande fascino, proprio perché significativamente attardato in un repertorio formale arcaizzante. comunemente ritenuta opera di una manifattura toscana della prima metà del XV secolo, al di là degli

8 Ivi, p. 109.

Fig. 95 cintura del Volto Santo, Sanse-

interventi successivi – tipici della prassi di manutenzione dei manufatti sacri – che sembrano risalire a pochi secoli or sono, e alle indubbie tangenze con le figure delle placchette metalliche della stessa zona9, sembra

mantenere un’allure romanica, propria di una tipologia per lo meno ottoniana. né è dato di sapere, allo

stato degli studi, se tale elemento sia da far risalire a una derivazione da un modello precedente o – come talvolta accade – alla precisa volontà di richiamare per la statua cui si riferisce un’origine antichissima, tale da renderla ancor più autorevole.

9 GaloppI nappInI 1988, pp. 168-171.

Fig. 96 cintura del Volto Santo, parti-

colare, Sansepolcro, museo civico Figg. 97-98 Il Volto Santo, particolare,