Silvia Pichi
la collaborazione tra i canonici del capitolo della cattedrale di Sansepolcro e il vescovo di arezzo cioli nel 1975 consentiva gli accordi necessari per esporre la raccolta d’oreficeria sacra nelle sale del museo civico1,
fino a quel momento celata negli armadi della sacrestia del Duomo. un intervento di tutela e valorizzazione del patrimonio orafo che consente ancor oggi di ammirare ciò che la fede e l’arte hanno consegnato alla storia quando l’uomo risponde all’esigenza di rendere funzionali gli strumenti necessari a celebrare i propri riti e a manifestare la devozione nella propria terra. I calici, i reliquiari, le pissidi, gli ostensori rappresentano quanto è sfuggito nel corso dei secoli al reimpiego di materiale prezioso per far fronte a necessità economiche, alla confisca dei beni, alla soppressione degli enti religiosi, ai frequenti furti, alla trasformazione strutturale per aderire ai nuovi dettami della controriforma.
È la preziosità intrinseca della materia a determinare da sempre il depauperamento dei Tesori nelle chiese del territorio, ma l’eredità che il tempo ha tramandato scorre nelle forme antiche dei primi reliquiari, nella ricerca di una spazialità rinnovata quando lo smalto dona colore alla lamina metallica, nel connubio di stilemi giunti da lontano e vissuti nell’humus della propria tradizione fino ad assimilare le novità della città
dominante o ambire a quanto di inedito elabora l’arte orafa nella città dei papi.
così, le opere giunte a noi riescono ancora a dipanare quella sottile trama di vicende profondamente legate alla devozione, alla politica, alla committenza e all’arte secondo quel linguaggio che, nel soddisfare il bisogno più autentico di celebrare la propria fede, sposa la funzione con lo stile. mai disgiunti nelle arti applicate, le tipologie di suppellettile liturgica sono interamente esemplificate negli arredi provenienti dalla cattedrale di San Giovanni evangelista a Sansepolcro. Benché l’intero nucleo di arredi sacri conservati al museo civico sia spesso identificato con il “Tesoro della cattedrale”, in realtà in esso confluiscono numerose suppellettili provenienti da diverse chiese soppresse del territorio. Tutte naturalmente contribuiscono a tracciare il variegato panorama artistico, culturale, religioso del Borgo attraverso la produzione orafa dal XII al XIX secolo. In tal senso, se per tipologia e devozione alcune opere rivelano immediatamente il loro profondo legame con le radici più autentiche della città e l’origine abbaziale del Borgo, come l’encolpio del XII secolo o lo straordinario apparato quattrocentesco della corona e della cintura del Volto Santo, ad altre bisogna
appellarsi per ricostruire interamente la complessa evoluzione del linguaggio orafo nel corso dei secoli. Diventano fondamentali il calice proveniente dalla parrocchiale di misciano2, che nella decorazione a
smalto champlevè esplica tutto il suo potenziale creativo sulle borchie del nodo affidando al colore una nuova
sintassi figurativa finora riservata solo alla pittura, oppure il turibolo dell’abbazia di pietranera a pieve Santo Stefano3 per comprendere la più radicata concezione morfologica e decorativa che l’arte fiorentina con
antonio del pollaiolo ha codificato nel Quattrocento in questa tipologia di suppellettile.
la qualità degli arredi nei territori limitrofi lascia intuire quanto dovesse essere ingente e raffinata l’esecuzione di calici, reliquiari, pissidi, turiboli eseguiti per la cattedrale dei quali purtroppo rimane testimonianza solo nelle carte d’archivio. l’indagine comparata tra opere e documenti mette drammaticamente in evidenza quanto sia andato disperso dell’antico patrimonio orafo, restituendo però la fitta rete di rapporti tra committenti, artigiani-artisti e figure di primo piano dell’ambiente ecclesiale e culturale biturgense.
1 I primi studi dedicati al Tesoro si devono ad anna maria maetzke con la guida del museo (IL MUSEO CIVICO DI SANSEPOLCRO 1984)
e saggi specifici per attribuire opere significative come gli altaroli in ebano (maeTZKe 1977, pp. 499-503) ma a Daniela Galoppi nappini spetta lo studio più approfondito nel catalogo del 1988 (GaloppI nappInI 1988). l’indagine della scrivente nel 2003 affronta molteplici aspetti sul panorama orafo biturgense dal medioevo al cinquecento (pIcHI 2003). Infine, la sezione delle oreficerie, è stata illustrata recente- mente nella nuova guida del museo civico a cura di Francesca chieli (cHIelI 2012, pp. 71-73).
2 per le opere citate viene fatto riferimento allo studio più specifico al quale si rimanda per la bibliografia annessa (pIcHI 2003, pp. 56-58, p. 125, Fig. 35; p. 150, n. 49).
molti nomi di “orafi senza opere” costituiscono quanto di più prezioso le carte possano documentare per testimoniare una tradizione a Sansepolcro tramandata di bottega in bottega, di generazione, in generazione attraverso intere famiglie dedite all’oreficeria, come i polidori, i norchi, i mercati, i nuti, i Borgoli4.
mentre il fervore intellettuale e religioso che gravitava intorno alla cattedrale è testimoniato ancora dall’iscrizione sul recto del Reliquiario del Velo della Madonna e di San Giuseppe, commissionato a roma e
donato nel 1632 dall’ illustre filologo biturgense ottavio pichi5, di fronte agli altaroli6 tedeschi di un orafo
d’eccezione come matheus Walbaum Kiel (Figg. 111 e 112 ) è innegabile avvertire il fascino di un dono inaspettato: quello dell’imperatrice maria Teresa d’austria al vescovo del Borgo roberto costaguti nel 17797.
agli arredi storicamente documentati come donazioni si affiancano quelli che rivelano la loro appartenenza all’abbazia biturgense non attraverso la ricerca archivistica, né per caratteristiche estetiche specifiche, ma per la loro stretta connessione alla realtà storico-religiosa del territorio e alla sua autentica identità di città dedicata al Santo Sepolcro.
assumono un significato straordinario, allora, il cofanetto in avorio di origine siculo-araba8 e l’encolpio
bronzeo di probabile manifattura dalmata9 (Fig. 105) entrambi riferibili tra la fine del XII secolo e l’inizio
del successivo. la tipologia dei due manufatti e la provenienza da aree geografiche marcate dall’incontro tra arte occidentale e cultura orientale consentono di avvicinarsi alle vicende intimamente legate all’ origine stessa di Sansepolcro e alla sua condizione di città abbaziale. I contatti con la corte imperiale erano garantiti sin dal 1013 quando la città con l’abate roderico gode dei privilegi concessi da enrico II che la dichiara terra libera dalla giurisdizione di ogni arcivescovo, vescovo, re, duca, marchese e conte. mentre papa Gregorio VI, con un ulteriore atto, la esonera dalla giurisdizione ecclesiastica di arezzo e città di castello, definendo l’abbazia nullius diocesis con l’abate come ordinario, i privilegi imperiali per Sansepolcro vengono confermati
prima da corrado II e poi da Federico I.
nel 1163 il Barbarossa, diretto in umbria per assediare Spoleto, viene accolto con tre giorni di festeggiamenti dai Signori XXIV che lo attendono vittorioso anche al suo ritorno. Gli onori tributati lasciano immaginare uno scambio di doni tale da ipotizzare in un’occasione importante come questa l’arrivo del cofanetto eburneo dipinto ad arabeschi nelle officine islamiche della Sicilia normanna. Il tratto delicato, che cerca nella linea preziosa ed aggraziata un repertorio decorativo stilizzato e bidimensionale, nei medaglioni con il
4 la ricerca d’archivio per individuare le famiglie di orefici operanti al Borgo tra Trecento e cinquecento è stata condotta dalla scrivente che, in alcuni casi, propone alberi genealogici di orefici attivi per più generazioni (pIcHI 2003, pp. 54-86).
5 GaloppI nappInI 1988, pp. 180-181. 6 Ivi, pp. 175-179.
7 coltissimo e stimato per la sua intensa attività pastorale condotta con straordinaria eloquenza tanto da renderlo noto presso le corti italiane ed europee, roberto costaguti è stato innegabilmente figura di primo piano durante il suo periodo di vescovado biturgense tra il 1778 e il 1818 anche per le numerose e pregevoli suppellettili di oreficeria commissionate per la cattedrale.
8 pIcHI 2003, pp. 33-35; p. 118, Fig. 8; p. 149, n. 1.
9 lo studio dell’encolpio ha richiesto un’accurata indagine stilistica e storica ma è stata determinante l’identificazione delle iscrizioni in lingua slava tutte documentate fotograficamente nel volume dedicato all’oreficeria a Sansepolcro (pIcHI 2003, pp. 35-46, pp. 119-123, Figg. 14-33; p. 149, n. 2).
pavone o in quelli dal tipico motivo cuoriforme appartiene alla produzione siculo-araba degli avori dipinti, tipica dei laboratori di corte. Dalla fine del XII secolo palermo era divenuta, sotto la dominazione dei normanni, un polo di cultura polivalente presso il quale confluivano artigiani siculi, maestranze bizantine e islamiche che negli opifici eseguivano manufatti di tale raffinatezza. la loro diffusione nei tesori delle chiese in Italia e in europa attesta l’affermazione di una produzione specifica, accurata e apprezzatissima che aveva originariamente destinazione profana, convertita, solo in un secondo tempo, a custodia di reliquie e di oggetti sacri10.
Inevitabile non accostarla all’encolpio bronzeo11, la crocetta portata sul petto (come indica la parola greca
encolpion) almeno dal V secolo. Generalmente composta da due valve incernierate per contenere il prezioso
frammento della croce di cristo, può forse considerarsi il “primo gioiello sacro” della tradizione cristiana per la sua natura di contenitore adibito alla venerazione della reliquia, ma portabile per garantire protezione al credente, al vescovo, all’abate, al pellegrino.
Destinate principalmente al clero, queste crocette reliquiario, preziosissime come quella dorata e smaltata di Velletri o come quelle bronzee soltanto incise o ageminate, incarnano lo spirito più autentico delle correnti devozionali dei pellegrini in oriente e i lunghi viaggi affrontati dalla Terrasanta a roma. Il tragitto che aveva
10 per approfondire gli aspetti legati alla produzione siculo-araba dei cofanetti e le analogie con l’esemplare biturgense si veda il capitolo dedicato all’”oreficeria medioevale al Borgo” (pIcHI 2003, pp. 33-35; p. 118, Fig. 8; p. 149, n. 1).
11 Buona parte degli encolpi sono conservati in Italia meridionale dove dall’oriente giungevano molti oggetti, essendo un’area di dominazione bizantina in continuo contatto con la cultura costantinopolitana. che questo tipo di oggetti devozionali in bronzo abbia goduto di un parti- colare gradimento e di una vasta diffusione si rileva dalla loro presenza in tutta europa. Sono presenti in varie collezioni e musei: l’ermitage di leningrado, l’Istituto archeologico russo di costantinopoli, il museo Vaticano a roma, i musei di Stato di Berlino. Sono numerosi i rinveni- menti effettuati, oltre che in egitto, in Siria e in asia minore, anche in territori come la Grecia, l’ungheria, la russia e la Dalmazia. Gli studi sugli encolpia attendevano da tempo un compendio significativo e rappresenta un contributo importante (anche se quello di Sansepolcro non
viene citato) il repertorio di Brigitte pitarakis. Fig. 105 manifattura Dalmata, Encol-
pio, intero e particolare, Sansepolcro,
condotto nell’alta Valle del Tevere egidio ed arcano quando, illuminati da un sogno profetico, costruirono il piccolo oratorio di San leonardo. con le sacre reliquie affidate al padre benedettino Isaia avevano fondato il primo insediamento dedicato al Santo Sepolcro dal quale provenivano perché la tradizionale venerazione verso i luoghi santi non andasse smarrita, ma potesse essere compiuta in patria. Il pellegrinaggio medievale vive della devozione e dello spirito ospedaliero rinnovati nel viaggio da Gerusalemme alla città eterna. In questo tragitto il pellegrino poteva fare tappa a Sansepolcro partendo dai luoghi di cristo diretto a roma, che attraeva sempre di più con lo splendore della propria fede, la decadente bellezza dei monumenti dell’Impero, il fascino della città pronta a serbare la memoria dei martiri.
Il Borgo, tappa di pellegrinaggio, nasce già “terra libera” garantita da privilegi papali e imperiali sempre più nodo viario fondamentale dopo la costituzione del Patrimonium Sancti Petri. la costruzione dell’abbazia
benedettina nel 1012 con il primo abate roderico la rende centro vivace e recettivo che consolida il suo status
politico-religioso con i camaldolesi, quando rappresenta ormai una sosta fondamentale di quel percorso viario che dalla Terrasanta attraversava la Dalmazia e l’Istria, proseguiva per aquileia, Venezia, ravenna, rimini per giungere nella città Santa. Del resto, già le antiche strade romane dall’oriente costeggiavano la Dalmazia e giungevano fino a ravenna tracciando quel corridoio viario tanto caro ai bizantini che assicurava il collegamento con roma e comprendeva Sansepolcro secondo la divisione amministrativa di augusto chiamata VI regio: Umbria12. le vie di pellegrinaggio, come le rotte marittime, non possono prescindere dal
mare che le unisce e le due sponde dell’adriatico sin dal XIII secolo consolidano rapporti politici, economici, religiosi e commerciali tra pola, Zara, cattaro, ragusa e i centri italiani della costa da Venezia a Bari13.
l’ordine dei benedettini, al quale apparteneva lo stesso padre Isaia, depositario delle preziose reliquie della Terrasanta ricevute da arcano, contribuì costantemente a rafforzare scambi di natura politico-economica per costruire identità radicate nella comunità cristiana medioevale. la fondazione di conventi, centri di ricerca e scuole promuovevano relazioni sia di natura spirituale che artistica tra le due coste adriatiche legate per tutto il XIII secolo proprio da rapporti di giurisdizione ecclesiastica.
mentre la Valle del Tevere era già costellata di abbazie benedettine, tutte ubicate in posizioni strategiche per controllare i crocevia principali di comunicazione, come la badia Tedalda, l’abbazia di lamoli, quella di Scalocchio e quella di Succastelli14, il vescovo di arezzo marcellino era già rettore della marca anconitana
e nel 1244 in contatto con il clero slavo di Istria e Dalmazia15. l’europa sud-orientale nell’ XI secolo era una
vasta area geografica che si estendeva dalla Boemia alla russia, dall’ungheria alla Bulgaria, dalla Dalmazia fino in pannonia, e da quel momento terra d’incontro tra oriente e occidente.
l’unità politica creata dall’Impero romano e la successiva dominazione bizantina resero conflittuale la stabilizzazione di coscienze politiche dei popoli slavi. In ambito artistico l’affermazione dei principati nascenti sollecitava quelle nuove tendenze capaci di spezzare l’isolamento del mondo medievale per favorire un proficuo dialogo tra cultura orientale e occidentale. la storia delle popolazioni slave mostra questo processo di assimilazione di entrambe le identità. pur gravitando da tempo nell’orbita della dominazione bizantina, con un consolidato assetto ecclesiastico le nuove regioni avevano rafforzato la loro radice latina e avviato quel processo di individualizzazione delle chiese nei regni che fece dell’arte romanica dell’est l’espressione della sensibilità locale e la forza modellante.
l’encolpio bronzeo di Sansepolcro appartiene ad un ambito nel quale si sono incontrate con esiti significativi la cultura slavo-bizantina e quella romanico-occidentale. Fusa a cera persa, a rilievo, la crocetta reliquiario è decorata a niello16, fermata da una cerniera in alto e da un perno mobile in basso per custodire la reliquia della
croce. così preziosa per funzione e significato nella spiritualità del pellegrinaggio medioevale, la crocetta
12 lopeZ peGna 1971, I, pp. 31-48. Il territorio comprendeva le odierne province di arezzo, pesaro, Forlì, ancona, macerata, perugia, Terni. 13 nel Trecento le navi riminesi si recavano costantemente nei porti dalmati di Segna, Zara, Sebenico, ragusa un fenomeno che raggiunge il suo apice nel Quattrocento. I traffici tra le due coste erano pressoché costanti e spesso determinarono l’inserimento stabile di mercanti dalmati e albanesi a rimini, Fano e pesaro. nel XV secolo pare che a rimini risiedessero ben quattrocento persone tra albanesi e slavi (Delucca 1990, n. 6, pp. 87-96).
14 l’abbazia di lamoli, sul fiume meta, costituiva il più comodo accesso dall’alta Valle del Tevere all’adriatico, in un passaggio obbligato nel versante marchigiano. l’abbazia di Scalocchio, nella valle del candigiano, collegava direttamente città di castello con Sant’angelo in Vado mentre, poco a nord di Sansepolcro, si trova l’importante badia di San Bartolomeo a Succastelli.
15 rimangono fondamentali le lettere pubblicate da pasqui (paSQuI 1920, pp. 216, 234, 241, 242, 248 e 250) che attestano i rapporti tra le due sponde dell’adriatico nelle missive tra il vescovo di arezzo marcellino e i pontefici Gregorio IX e Innocenzo IV.
16 Il niello è una lega metallica scura composta da argento, rame e zolfo con l’aggiunta a volte di piombo. È usata per riempire i tratti precedente- mente prodotti dall’incisione a bulino sul metallo.
risponde all’iconografia propria della tradizione bizantina del XII secolo con il Cristo crocifisso sul recto, la Vergine e San Giovanni ai lati, San Giorgio in alto mentre sul verso Maria col Bambino è attorniata dai Santi Luca, Marco e Nicola.
l’atteggiamento frontale di cristo con la testa leggermente flessa, la folta barba e l’espressione di sofferenza era stato a lungo elaborato in occidente così come la madonna a figura intera, che pur rispondendo all’impostazione iconografica bizantina della mHTHr Qeou (madre di Dio), privilegia un impianto saldo dall’accentuato valore plastico. la decorazione a niello dei Santi gode di ben più ampi intendimenti pittorici come si addice ad una tecnica congeniale alle stilizzazioni e ad un delicato fluire dei piani proprio del lessico bizantino. le “pennellate a mezza luna” che compongono i volti restituiscono una corretta visione solo in un’ottica d’insieme che, da vicino, appare quasi frammentata fino a farne perdere le forme.
l’esigenza di affermare l’impronta occidentale da parte di una mano che ben conosce gli stilemi bizantini si manifesta nella struttura stessa dell’encolpio con le otto borchie sporgenti e la sagoma contornata dal finto cordiglio, necessario per organizzare lo spazio dedicato alle iscrizioni. Queste sono redatte in caratteri paleoslavi sulla crocetta-reliquiario e anche all’interno delle valve ad indicare la destinazione dell’encolpio per un preciso mercato e la sua probabile provenienza orientale.
la lingua nata dall’alfabeto greco con l’introduzione di nuovi suoni nelle forme in uso presso le popolazioni slave delle regioni balcaniche è stata decifrata da un’analisi accurata delle iscrizioni, indispensabili per riconoscere, oltre alle figure canoniche, San Giorgio sul braccio superiore del recto e San Nicola sul verso.
molto cari all’iconografia orientale e intimamente legati alla tradizione slava, San Giorgio e San nicola sono spesso raffigurati sia in ambito pittorico e scultoreo che nelle arti applicate sin dal VI secolo.
la stauroteca di Gaeta17, tra gli esempi più noti e preziosi di questa tipologia, presenta San Giorgio, mentre
San nicola è raffigurato in numerosi encolpia, come quello in bronzo fuso rinvenuto a majk18 in ungheria,
molto simile alla crocetta biturgense. I nielli presentano concordanze di segno e stile con l’encolpio del museo di Kiev19 e con uno inciso dell’ermitage20 da riferire all’XI secolo, ma l’esemplare che più si avvicina
alla crocetta-reliquiario di Sansepolcro è l’enkolpion in bronzo fuso e dorato rinvenuto nella chiesa di
Sant’agnese a rorai piccolo di porcia, in provincia di pordenone (XII-XIII secolo)21. l’esemplare è simile
in molti particolari a quello biturgense, sebbene numerosi esemplari analoghi nel modellato siano conservati nei musei di Istanbul, Veroli, Sofia, Berlino e Belgrado22.
analoghe per struttura, iconografia e per le iscrizioni in lingua paleoslava, la croce reliquiario di rorai piccolo e quella biturgense attestano la provenienza di questi manufatti da una terra come quella dalmata, da sempre intermediaria tra l’adriatico e l’oriente, dall’anima municipale latina ma slava per invasione, profondamente evangelizzata, tanto cristiana da polarizzare ogni espressione, attività morale e culturale verso roma e le sue vie di pellegrinaggio.
ancora ai tragitti della fede e all’origine stessa di Sansepolcro conduce una delle più significative sculture del medioevo in occidente: il Volto Santo (Fig. 92). la straordinaria scultura lignea dalle grandi dimensioni23
appartiene tipologicamente ai crocifissi monumentali che secondo la tradizione risalivano al prototipo orientale scolpito da nicodemo. È noto il Volto Santo di lucca, ma il crocifisso biturgense, dopo il restauro
del 1989, è stato ritenuto dalla maetzke24 il più antico di tutto il medioevo occidentale. ricavato da un unico
tronco di noce scolpito tra l’VIII e il IX secolo, il Volto Santo è venerato dalla popolazione nella veste datale
da un artista romanico intorno al XII secolo25.
Il cristo vivo e maestoso, dalla potente espressività del volto con gli occhi spalancati e lo sguardo asimmetrico, sotto tre strati di ridipinture ha rivelato la policromia di una mano raffinata che impreziosisce il bordo della
17 amaTo 1987, p. 134.
18 Von BÁrÁnY oBerScHall 1953, p. 231, Fig.73b. 19 rYBaKoW 1957, p. 177, Fig. 166; FornIZ 1962, p. 14, Fig. 3. 20 KonDaKoFF 1914, p. 259, Fig. 162.
21 l’encolpio di rorai piccolo di porcia è databile intorno al XII-XIII secolo. antonio Forniz (FornIZ 1969, p. 20, Figg. 4-5), che se ne è oc- cupato per primo, lo ritiene «un buon lavoro artigianale dell’ultima epoca dei comneni sullo scorcio del XII secolo». Il Gaberscek (GaBer- SceK 1984, p. 86) e il Bergamini (ORI E TESORI D’EUROPA 1992, p. 44) si limitano a definirlo prodotto bizantino non appartenente alla
corrente aulica, mentre Giancarlo menis (menIS 1992, p. 23), pur notando l’influenza orientale, non nega un linguaggio di indole romanica. 22 pITaraKIS 2006, nn. 173-180.
23 per il Volto Santo cfr. saggio refice, ivi.
24 maeTZKe 1994, p. 28; LA BELLEZZA DEL SACRO 2002, pp. 1-13.
veste e indugia sui particolari della barba.
Il popolo biturgense lo venera in cattedrale dal 1770 quando viene trasferito dalla chiesa di Sant’agostino