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LA CIRCOLAZIONE DELLE PROVE RACCOLTE DALL’EPPO

Uno degli aspetti più discussi della Proposta riguarda la disciplina della ammissibilità delle prove. Prima di analizzare la disposizione che regola tale istituto si impone, almeno per il processualpenalista italiano, abituato a ragionare in termini di separazione di fasi e funzioni, una precisazione di carattere preliminare: in tutti i progetti sin qui proposti, ma anche nella formulazione dello stesso art. 86 par. 3 TFUE, le indagini dell’EPPO ricomprendono anche la raccolta e la formazione di prove utilizzabili in dibattimento143, che sottostanno, pertanto, alle regole già viste in relazione alle misure investigative e più in generale allo svolgimento delle indagini144. In questo senso occorre, quindi, tenere presente che l’assunzione probatoria è improntata al principio della lex loci. Infatti, nei casi transfrontalieri, il compimento di un atto probatorio in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza del delegato

142 In questo senso v. CHIAVARIO M., Diritto processuale penale, Utet, Torino,

20156, p. 130.

143 In questo senso v. KOSTORIS R.E., Pubblico ministero europeo e indagini

“nazionalizzate”, in Cassazione penale 12/2013, p. 4740, il quale afferma inoltre

che “si è accolta,[…] anche in questo caso un’impostazione abbastanza diffusa a livello europeo, che si ispira ai moduli del processo misto di derivazione napoleonica. L’EPPO si comporta come un organo istruttore”.

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incaricato del procedimento avverrà secondo le norme di quel Paese.

Con questa premessa è possibile passare all’esame dell’art. 30 della Proposta, il quale, al par. 1, fissa il principio generale per cui le prove presentate in giudizio dalla Procura europea, qualora siano state assunte nel rispetto dell’equità del procedimento (“fairness of the procedure”) e delle garanzie difensive assicurate dagli artt. 47 (“Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”) e 48 (“Presunzione di innocenza e diritti della difesa”) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dovranno considerarsi ammissibili senza “necessità di convalida o altra operazione giuridica analoga”, anche quando il diritto interno preveda regole diverse e più rigorose per le prove corrispondenti145. Al par. 2 si precisa, poi, che l’ammissione al processo delle prove provenienti dalla Procura europea non pregiudica la competenza degli organi giurisdizionali nazionali a valutarle liberamente. In altri termini, la prova assunta dall’EPPO può circolare liberamente nello spazio giudiziario europeo, anche quando l’acquisizione della stessa sia avvenuta secondo regole diverse da quelle previste

145 L’art. 30 par. 1 recita testualmente “Ove l'organo giurisdizionale di merito

ritenga che l'ammissione delle prove presentate dalla Procura europea non pregiudica l’imparzialità del giudice né i diritti della difesa sanciti dagli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ammette tali prove al processo senza necessità di convalida o altra operazione giuridica analoga, anche se il diritto nazionale dello Stato membro in cui ha sede l'organo giurisdizionale prevede norme diverse per la raccolta e la presentazione delle prove”. Non si può fare a meno di segnalare che l’uso dell’indicativo presente “ammette” evoca chiaramente una condizione d’obbligo che può essere disattesa solo nei casi espressamente previsti. Viceversa risulta difficile comprendere gli esatti confini della categoria “altra operazione giuridica analoga”, di per se del tutto vuota e generica. In questo senso v. SQUILLACI E., In margine alla Proposta di

istituzione della Procura europea per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione

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dall’ordinamento in cui si trova la giurisdizione di merito146. Che le prove presentate dal pubblico ministero europeo debbano avere valore in tutta l’Unione dovrebbe discendere dalla stessa ragion d’essere di questo organo: “sarebbe nichilista la soluzione di lasciare che ogni ordinamento sia libero di non ammetterle sulla base dei propri criteri interni (altro discorso riguarda naturalmente la loro valutazione, che resta affidata alle scelte del giudice nel caso concreto)”. Da questo punto di vista è doveroso segnalare che “nell’economia della Proposta questa fruibilità generale non deriva dall’osservanza di norme comuni europee sulla raccolta e la formazione delle prove, ma dall’applicazione del diritto nazionale del luogo in cui la prova è stata raccolta”147.

Si può dunque affermare che, sotto questo aspetto, la Proposta si attesta su un terreno molto più arretrato (quello della lex loci) rispetto al Corpus Juris che, sulla base del c.d. “verbale europeo di audizione”, si era spinto sino a prevedere, per alcuni mezzi di prova, una disciplina unitaria sia sotto il profilo dell’ammissione, sia sotto quello della acquisizione148. E’ stato,

146 Da questo punto di vista v. VENEGONI A., Considerazioni sulla normativa

applicabile alle misure investigative intraprese dal pubblico ministero europeo nella Proposta di regolamento COM (2013)534, in Diritto penale contemporaneo, 2013,

pp. 11-12, il quale ritiene che il regime dettato dall’art. 30 è volto a porre rimedio alle possibili conseguenze negative in ordine all’ammissibilità della prova in sede processuale derivanti dalla varietà di normative applicabili all’acquisizione della stessa in uno Stato membro diverso da quello in cui l’indagine è stata aperta ed è in corso. Inoltre, tale principio risulterebbe essere in linea con la Giurisprudenza delle Corti Supreme di alcuni Paesi, in materia di prova acquisita all’estero.

147 Così ancora KOSTORIS R.E., Pubblico ministero europeo e indagini

“nazionalizzate”, in Cassazione penale 12/2013, p. 4740, il quale afferma inoltre

che “si è accolta, insomma, anche in questo caso un’impostazione abbastanza diffusa a livello europeo, che si ispira ai moduli del processo misto di derivazione napoleonica. L’EPPO si comporta come un organo istruttore”.

148 V. supra Cap. 1 par. 1.5. La soluzione proposta nelle Model Rules appare,

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infatti, rilevato che la Proposta finisce per investire il giudice comune di un compito immane: “ovvero quello di comporre le differenze tra sistemi procedurali attraverso il confronto dell’elemento di prova con i diritti essenziali, con l’obiettivo dichiarato di non disperdere le prove raccolte”149. Inoltre,

momento che all’art. 19 si legge: “national courts may not treat as illegally or

improperly obtained evidence that has been gathered in accordance with these Rules”

e nell’explanatory note: “this Rule does not prejudice, however, the right of the trial

court to freely assess the evidence”. A ben vedere, però, a differenza della

Proposta le Model Ruls non prevedono il ricorso al criterio della lex loci e pertanto la norma in esame acquista un significato molto diverso rispetto a quello dell’articolo 30 della Proposta. Inoltre, ancora KOSTORIS R.E.,

Pubblico ministero europeo e indagini “nazionalizzate”, in Cassazione penale

12/2013, pp. 4746- 4747, afferma che si è preferito adottare un sistema basato sul mutuo riconoscimento “passivo”(che a differenza di quello “attivo” , sinora impiegato più frequentemente e che implica un facere per eseguire una decisione giudiziaria altrui, richiede solo di recepire come se fosse proprio, un prodotto formato secondo regole diverse), la cui peculiarità consisterebbe in questo caso nel fatto di avere ad oggetto prove assunte da (o per conto di) uno stesso organo (l’EPPO), ma in base a normative diverse. “Una soluzione certo meno avanzata di quella che l’Unione stessa sta perseguendo sul piano dell’armonizzazione legislativa con il varo delle prime direttive sui diritti processuali di indagati e imputati e, in definitiva, incongrua rispetto alla stessa configurazione di uno spazio giudiziario comune, che, nell’assetto complessivo delineato dalla Proposta, finisce per rilevare solo come spazio operativo di indagine (e, beninteso, nessuno ne disconosce l’importanza e l’indubbio progresso che segna rispetto ad un modello di cooperazione tra autorità), ma non anche come spazio di applicazione di regole comuni da parte di un organo comune”. Anche per CAIANIELLO M., Sull’istituzione del

pubblico ministero europeo in Rivista di diritto processuale 6/2013, p. 1457, “La

previsione sembra […] dar vita a quella libera circolazione della prova (rectius, al mutuo riconoscimento in materia di prove) indicato come un obiettivo da raggiungere dall’art. 82 par. 2 del TFUE: articolo, quest’ultimo, che tuttavia è chiamato ad operare nel sistema della cooperazione giudiziaria, e non in un modello implicante l’unificazione quale è quello del Pubblico ministero europeo secondo l’art. 86 TFUE”. In senso contrario v. RUGGERI F., The European Public Prosecutor: A stranger among us, in Processo

penale e Giustizia 6/2013 (web), p. 4 la quale afferma che la scelta di imporre

l’ammissibilità di prove assunte in modo diverso (ma nel rispetto dei diritti fondamentali e del diritto di difesa) da quanto previsto nell’ordinamento di destinazione, sembra sottintendere, “anche in modo condivisibile”, il principio del mutuo riconoscimento.

149 Così RECCHIONE S., European Public Prosecutor Office. Anche gli entusiasti

diventano scettici?, in Diritto penale contemporaneo, 2014, p. 126, la quale

afferma inoltre “che il paradigma interpretativo cui può riferirsi il giudice comune non può che essere il diritto vivente elaborato dalla Corte di Strasburgo, che si riconferma essere, anche in questo caso “l’architetto dei

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secondo alcuni, risulterebbe tradita la logica dell’art. 86 par. 3 TFUE: questo, nello stabilire che il regolamento istitutivo dell’EPPO deve disciplinare “le regole procedurali applicabili alle sue attività e all'ammissibilità delle prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell'esercizio delle sue funzioni”, non si limita ad assicurare la compatibilità tra atti eterogenei, ma si sostanzia nell’elaborazione di regole comuni per la formazione di atti di indagine posti in essere da un unico organo, il pubblico ministero europeo, e destinati ad essere valutati, dopo l’esercizio dell’azione penale, in una pluralità di sistemi giudiziari150.

Infine, non si può fare a meno di considerare che nel progetto della Commissione non figura alcun riferimento alle prove precostituite. Sotto questo profilo, data la diversità delle discipline nazionali, sembra difficile che gli Stati possano

diritti fondamentali” sottesi all’integrazione, l’organo cui è affidata la tessitura di un sistema valoriale comune costruito non (solo) sulla condivisione di regole, ma (anche) sulla omogeneità del livello, riconosciuto come necessario, di tutela dei diritti fondamentali”.

150 Così ALESCI T., La Procura europea per i reati lesivi degli interessi finanziari: la

proposta di regolamento tra luci ed ombre in Archivio penale 1/2014 (web), p. 13 in

questo senso v. anche ALLEGREZZA S., L’armonizzazione della prova penale

alla luce del Trattato di Lisbona, in Cassazione penale 2008 pp. 3882 ss. Un

alternativa alla elaborazione di regole probatorie comuni, ritenuta da CAMALDO L., La creazione della Procura europea in uno spazio investigativo

comune, in L’istituzione del procuratore europeo e la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea, a cura di Camaldo L, Giappichelli, Torino, 2014,

p. XII, preferibile alla soluzione adottata dalla Proposta, è costituita dal meccanismo del c.d. “double lock” in base al quale, l’utilizzabilità dell’apporto probatorio raccolto in un determinato Stato, nel processo da celebrarsi in un altro Paese, è subordinata al rispetto delle condizioni di ammissibilità di entrambi i sistemi processuali. Secondo l’autore, infatti, questo meccanismo “ridurrebbe in modo significativo la preoccupazione relativa a forme di forum

shopping finalizzate ad ottenere l’ammissione di prove diversamente escluse

in un atro Stato”. Lo stesso autore si era già espresso in questi termini rispetto alle previsioni del Corpus Juris, ritenendo, anche in quella occasione, preferibile l’impiego del criterio di “doppia legalità”(v. supra Cap. 1 par. 1.6.).

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accettare di riconoscere de plano le prove formate all’estero senza una più approfondita armonizzazione delle reciproche legislazioni151. Basti considerare che alcune tecniche speciali d’investigazione sono proibite in alcuni Paesi, ammessi in altri, non regolate del tutto in altri ancora152.