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Laso di Ermione

3. I POETI “CANONICI” E LASO DI ERMIONE

3.6 Laso di Ermione

Laso di Ermione (31.) visse in pieno VI sec. a.C., in un panorama musicale che era ancora al di qua della linea di demarcazione tra la musica antica (considerata nobile) e la musica nuova. In questo contesto, la sua personalità rappresenta una voce fuori dal coro, stando a quanto si legge nel De Musica. Egli, infatti, operò poco prima di poeti del calibro di Simonide, Bacchilide, Pindaro e, anzi, sappiamo che di quest’ultimo Laso fu addirittura maestro514. Eppure lo Pseudo-Plutarco riferisce che egli portò la musica “alla rivoluzione”. Per tale motivo, ho deciso di collocarlo alla fine di questo capitolo sui poeti canonici, subito prima di introdurre il capitolo su quella che fu chiamata Musica Nuova.

Mus. 29, 1141c = Lasus T 6 Campbell (III p. 300)

Λᾶσος δ' ὁ Ἑρμιονεὺς εἰς τὴν διθυραμβικὴν ἀγωγὴν μεταστήσας τοὺς ῥυθμούς, καὶ τῇ τῶν αὐλῶν πολυφωνίᾳ κατακολουθήσας, πλείοσί τε φθόγγοις καὶ διερριμμένοις χρησάμενος, εἰς μετάθεσιν τὴν προϋπάρχουσαν ἤγαγε μουσικήν.

Laso di Ermione, spostando i ritmi nel movimento ditirambico e seguendo la molteplicità dei suoni appartenenti agli auli, facendo uso di note più numerose e disseminate lungo la scala515, portò la musica antica alla rivoluzione.

514 Privitera 1965, 82.

515Ballerio traduce la frase πλείοσί τε φθόγγοις καὶ διερριμμένοις con “facendo uso di note più numerose per il

frazionamento degli intervalli”, similmente alla traduzione fornita nel 1954 da Lasserre. Privitera e Barker, invece (credo giustamente), hanno interpretato diversamente il participio διερριμμένοις, come sarà illustrato a breve. Qui ho preferito l’interpretazione di Pisani, che traduce l’intera espressione con “numero maggiore di note disseminate lungo la scala” (Pisani 2017, 2219), seguendo egli stesso, evidentemente, una delle interpretazioni proposte da Barker.

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Che la fonte di questo passo sia Aristosseno è possibile arguirlo, a detta di Privitera, dal fatto che il capitolo 29 è compreso in una sezione (capitoli 28-31) in cui sono esposte due teorie che rimontano al Tarantino, la prima riguardante l’idea che le innovazioni musicali non sono da condannare in quanto tali, ma solo quando imbruttiscono la musica, la seconda relativa alla buona formazione, capace di evitare tale imbruttimento della musica516.

Già si è detto precedentemente che in questo capitolo Westphal rileva, sebbene con molte riserve, l’influenza di una seconda fonte: Dionigi di Alicarnasso il giovane. Anche Privitera è di un avviso simile, ma limita tale influenza alla sola presentazione, del resto molto schematica, di Laso in qualità di capofila dei ditirambografi del V sec. a.C., che portarono la musica alla rivoluzione, o forse è meglio dire alla degenerazione517.

Le innovazioni di Laso, dunque, si compiono in due ambiti: il primo è quello della ritmica. All’Ermioneo, infatti, è attribuito l’utilizzo di ritmi ditirambici, ma l’interpretazione della frase che si riferisce a tale innovazione (εἰς τὴν διθυραμβικὴν ἀγωγὴν μεταστήσας τοὺς ῥυθμούς) è stata definita incerta da Privitera. Lo studioso ha contestato la spiegazione fornita da Lasserre, il quale vedeva in questa innovazione un mutamento della struttura strofica del ditirambo, secondo il modello di altri carmi lirici. Privitera, al contrario, ritiene che il testo parli di un mutamento dei ritmi non ditirambici secondo l’agogè ditirambica. La questione resta aperta.

L’altra innovazione attribuita a Laso è di natura precipuamente musicale e la sua menzione da parte dello Pseudo-Plutarco si inserisce nel dibattito sulla differenza tra lo stile degli antichi e quello dei moderni, che è costante in tutto il trattato: si tratta dell’incremento del numero di note nell’atto della composizione. In questo caso, sono due i termini sulla cui interpretazione occorrerà incentrare l’analisi: il sostantivo πολυφωνία ed il verbo διαρρίπτω.

Sul significato di πολυφωνία si è pronunciato Privitera, accennando alla corrispondenza fra tale concetto e quello di πολυχορδία. Questo termine compare molti capitoli prima nel trattato. In Mus. 18, 1137a-b, infatti, si legge:

οὐ γὰρ ἡ ἄγνοια τῆς τοιαύτης στενοχωρίας καὶ ὀλιγοχορδίας αὐτοῖς αἰτία γεγένηται, οὐδὲ δι' ἄγνοιαν οἱ περὶ Ὄλυμπον καὶ Τέρπανδρον καὶ οἱ ἀκολουθήσαντες τῇ τούτων προαιρέσει περιεῖλον τὴν πολυχορδίαν τε καὶ ποικιλίαν. 516 Privitera 1965, 73-74. 517 Privitera 1965, 75. 172

Non fu a causa di una conoscenza limitata che i compositori antichi si attennero a una estensione ridotta e a un numero ristretto di note, né per questo motivo Olimpo, Terpandro e quelli che condivisero le loro scelte musicali evitarono l’uso di un numero molteplice di note e di uno stile compositivo improntato alla complessità.

(Trad. A. Gostoli)

Dal testo risulta chiaro che il concetto di oligochordia è legato all’aspetto nobile della musica, mentre quello di polychordia è considerato uno degli elementi che portarono la musica del V sec. a.C. alla degenerazione. Ora, se la polychordia consiste in un incremento del numero di note nella composizione di una melodia per strumenti cordofoni, il concetto di

polyphonia sarà da intendere, similmente, come un modo di comporre melodie che prevede

l’impiego di più note, con la sola differenza che la polyphonia è associata dallo Pseudo- Plutarco agli strumenti a fiato. Ciò è, appunto, confermato da quanto è detto dallo Pseudo- Plutarco nel brano su Laso: τῇ τῶν αὐλῶν πολυφωνίᾳ κατακολουθήσας, πλείοσί τε φθόγγοις καὶ διερριμμένοις χρησάμενος. In questa porzione di testo sono due le espressioni che individuano i caratteri della polyphonia, la prima è il sintagma τῶν αὐλῶν, che definisce lo strumento; la seconda è πλείοσί τε φθόγγοις che, invece, definisce la quantità delle note518

. Legata alla questione della polyphonia è la problematica interpretrazione del participio διερριμμένοις. Privitera ha sottolineato il fatto che in questo capitolo il participio del verbo διαρρίπτω (il cui significato di base è “getto attraverso” e quindi “sparpaglio”, “getto qua e là”) si deve intendere nel senso di “distanzio”519 e non di “fraziono” come è stato inteso da Lasserre e, in seguito, da Restani e da Ballerio. Privitera, perciò, rifiuta la traduzione dell’intera espressione fornita da Lasserre (“notes plus nombreuses par le fractionnement des intervalles”520), appoggiando, invece, quella precedente di Weil e Reinach, che rendevano “notes plus nombreuses et plus espacées”521.

Lo studioso sceglie questa traduzione anche per il valore che Weil e Reinach attribuirono al καί che unisce πλείοσί τε φθόγγοις e διερριμμένοις, spiegando che qui il καί non ha valore correlativo (sia…sia), bensì esplicativo e che quindi il senso della frase è che Laso si servì di suoni più numerosi e perciò più distanziati522.

518Gentili, invece, associa la πολυχορδία e la πολυφωνία rispettivamente alla varietà dei suoni di uno strumento

e alla varietà dei suoni di un’aria musicale (Gentili 20062, 50).

519 Il verbo assume questo significato in Arriano (De. Ven. 15, 2 οἳ δὲ καὶ διαρρίψαντες τὰ μέλη, καθάπερ οἱ

σκιρτῶντες). 520 Lasserre 1954, 37. 521 Weil-Reinach 1900, 117. 522 Privitera 1965, 79. 173

Barker, invece, avanza due ipotesi per l’interpretazione del participio διερριμμένοις. In

primis egli ritiene che lo si possa rendere con “note sparse qua e là”, “disseminate”523, con riferimento alla pratica della modulazione, perché, spiega, la “molteplicità delle note” era notoriamente una caratteristica dell’aulo e Platone la metteva in relazione alla capacità dello strumento di modulare facilmente da un’armonia ad un’altra. Subito dopo, però, richiamandosi anche al paragrafo successivo in cui torna lo stesso verbo (ma relativamente alle modifiche apportate al numero di corde della lira all’epoca di Timoteo), Barker giustifica la sua scelta di rendere διέρριψεν nel senso di “were scattered about”, affermando che il participio può essere inteso sia nel senso di “disconnesse” in riferimento alle note non correlate e appartenenti a diverse armonie, o semplicemente come “estese”, in riferimento all’incremento dell’estensione della scala524.

Sia l’interpretazione di Privitera che quelle di Barker poggiano su validi argomenti, ma implicano due diversi tipi di innovazione da parte di Laso. Se accogliamo l’interpretazione di Privitera, risulterà che l’innovazione di Laso consistette in una modifica della struttura intervallare delle scale musicali, in quanto “il frazionamento dell’intervallo diatonico, nel momento in cui produceva una pluralità di suoni (semitoni e quarti di tono), dilatava l’intervallo stesso, creando l’impressione che le note non si susseguissero secondo il loro ordine naturale, ma si allontanassero l’una dall’altra per effetto dei semitoni e quarti di tono interposti”525. Ciò sarebbe anche in linea con la teoria lasiana del suono concepito come un’entità materiale alla quale si può attribuire un platos, probabilmente inteso come “estensione” o, forse, come “larghezza”. Privitera afferma che è difficile stabilirlo, ma che la seconda concezione è la più verosimile, in quanto presuppone e comprende la prima526.

Se, invece, accogliamo le interpretazioni di Barker, l’innovazione avrà a che fare, nel primo caso (διερριμμένοις = “disconnesse, disseminate”) con la pratica musicale della modulazione tra più scale; nel secondo caso (διερριμμένοις = “ampiamente estese”), invece, semplicemente con la maggiore estensione dell’ambitus di una scala.

Privitera, sulla base della sua interpretazione del passo, si è occupato di valutare adeguatamente il significato delle riforme di Laso, considerandole nel quadro generale del De

Musica e secondo la concezione storico-musicale di Aristosseno, e giungendo a due

constatazioni: da un lato, che Aristosseno considerò Laso, diversamente dagli innovatori

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Pisani 2017, 2219 lo intende allo stesso modo.

524 Barker 1984, 236 n. 192. 525 Privitera 1965, 79. 526 Privitera 1965, 66-67.

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successivi, un precursore isolato; dall’altro, che il giudizio dato dallo Pseudo-Plutarco sulle innovazioni lasiane va considerato con prudenza, perché “nella sua parte aristossenica è indebolito di partigianeria; nella sua parte post-aristossenica (dovuta a Dionisio il Musico o allo stesso Ps.Plutarco) è aduggiato da grave schematismo”527.

La conclusione generale alla quale arriva Privitera è che nel brano analizzato si debbano distinguere tre strati: prima di tutto, la notizia oggettiva delle innovazioni apportate da Laso; poi il giudizio che ne diede Aristosseno; infine, la schematica associazione di Laso ai ditirambografi del V secolo, ad opera di Dionigi e dello Pseudo-Plutarco.

In nessuno di questi strati, credo, emerge quel giudizio negativo che è, invece, riservato alla rivoluzione musicale del V sec. a.C. Quella dello Pseudo-Plutarco sulle innovazioni lasiane non sembra essere una critica, quanto piuttosto una pura constatazione.

527 Privitera 1965, 82-83.

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