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Polimnesto di Colofone

2. LE ORIGINI STORICHE DELLA LIRICA

2.8 La seconda katastasis musicale

2.8.2 Polimnesto di Colofone

Sul conto di Polimnesto (19.) ricaviamo poche e brevi notizie di vario genere disseminate in tutto il trattato, dalla vita agli aspetti più tecnici della sua attività musicale. Eppure egli dovette essere un poeta di non poca importanza visto che fu menzionato sia da Alcmane che da Pindaro344, come lo stesso Pseudo-Plutarco riferisce:

Mus. 5, 1133b = Polymnestus T 2 Campbell (II p. 330)

τοῦ δὲ Πολυμνήστου καὶ Πίνδαρος (fr. 188 Sn.-M.) καὶ Ἀλκμὰν (fr. 225 Calame) οἱ τῶν μελῶν ποιηταὶ ἐμνημόνευσαν.

Polimnesto è menzionato anche dai poeti lirici Pindaro e Alcmane.

Ancora una volta, lo Pseudo-Plutarco non costruisce un discorso sistematico, dal momento che, prima ancora di sapere chi fosse Polimnesto, veniamo a conoscenza delle forme poetiche da lui impiegate:

Mus. 3, 1132c = Polymnestus T 1 Campbell (II p. 330)

καὶ Πολύμνηστον τὸν Κολοφώνιον τὸν μετὰ τοῦτον (scil. Κλονᾶν) γενόμενον τοῖς αὐτοῖς χρήσασθαι ποιήμασιν.

Anche Polimnesto di Colofone, che visse in un periodo successivo a quello di Clona, impiegò le stesse forme poetiche.

Il trattatista qui si riferisce ai versi epici ed elegiaci, gli stessi attribuiti dalla tradizione a Clona. Il fatto di vedere Polimnesto accostato a Clona per l’attività poetica fa intuire da subito che egli praticava prevalentemente l’aulodia, il che è poi esplicitamente riferito qualche capitolo dopo:

344 Ercoles 2009b, 159. Probabilmente l’intento dello Pseudo-Plutarco – o della sua fonte – consiste nel conferire

autorevolezza a Polimnesto.

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Mus. 10, 1134d = Polymnestus T 4 Campbell (II p. 332)

Καὶ Πολύμνηστος δ' αὐλῳδικοὺς νόμους ἐποίησεν· εἰ δὲ τῷ Ὀρθίῳ νόμῳ <ἐν> τῇ μελοποιίᾳ κέχρηται, καθάπερ οἱ ἁρμονικοί φασιν, οὐκ ἔχομεν [δ'] ἀκριβῶς εἰπεῖν· οὐ γὰρ εἰρήκασιν οἱ ἀρχαῖοί τι περὶ τούτου.

Anche Polimnesto compose nomoi aulodici; non possiamo dire con precisione se egli avesse impiegato il nomos Orthios nel comporre le sue melodie, come affermano gli studiosi della scienza armonica, dal momento che gli antichi scrittori non riferiscono nulla al riguardo.

Del nomos Orthios si è già parlato nel capitolo su Olimpo345, relativamente alla sua paternità. Si è già detto, infatti, che non è prudente attribuirlo con ogni certezza al mitico auleta frigio, dal momento che nel trattato non c’è alcun riferimento esplicito che leghi tale composizione al suo nome.

Al contrario, le composizioni orzie sono associate al nome di Polimnesto due volte, nel capitolo 10 – come abbiamo appena verificato – e, prima, nel capitolo 9:

Mus. 9, 1134c = Polymnestus T 4 Campbell (II p. 332)

ἦσαν δ' οἱ μὲν περὶ Θαλήταν τε καὶ Ξενόδαμον καὶ Ξενόκριτον ποιηταὶ παιάνων, οἱ δὲ περὶ Πολύμνηστον τῶν Ὀρθίων καλουμένων, οἱ δὲ περὶ Σακάδαν ἐλεγείων.

I poeti della scuola di Taleta, Senodamo e Senocrito componevano peani, quelli della scuola di Polimnesto i cosiddetti Orzii, e quelli della scuola di Sacada elegie.

Confrontando i due capitoli, possiamo constatare un’analogia evidente con il caso di Taleta: nel capitolo 9 al nome di Polimnesto è associata una scuola i cui membri avrebbero composto i “cosiddetti Orzii”, proprio come ai nomi di Taleta, di Senodamo e di Senocrito era associata una scuola di peani. Inoltre, allo stesso modo in cui nel capitolo 10 viene messo in dubbio che Taleta fosse un compositore di peani, anche di Polimnesto si dice che non si può essere certi che egli abbia impiegato il nomos Orthios. Lo stesso si verifica, come vedremo, nel caso di Senocrito.

È interessante notare il modo in cui il trattatista inserisce queste informazioni nel discorso: non c’è, infatti, nessuna indicazione nel testo che ci permetta di capire con certezza che nel passaggio da un capitolo all’altro la fonte cambia. Lo Pseudo-Plutarco potrebbe aver

345 Cf. § 1.2.3.

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giustapposto due fonti diverse che affrontavano lo stesso argomento, ma contenevano informazioni in contrasto l’una con l’altra. Oppure si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi che ambedue le fonti fossero già contenute nella Synagogè eraclidea – la fonte principale per questa prima sezione – e che il trattatista abbia epitomato in modo non accorto il testo che aveva davanti.

Polimnesto è presentato, inoltre, come un innovatore nel campo musicale, un innovatore che però è capace di mantenere uno stile nobile, in modo da non risultare trasgressore346.

Mus. 12, 1135c (manca in Campbell)

Πολύμνηστος δὲ μετὰ τὸν Τερπάνδρειον τρόπον καινῷ ἐχρήσατο, καὶ αὐτὸς μέντοι ἐχόμενος τοῦ καλοῦ τύπου, ὡσαύτως δὲ καὶ Θαλήτας καὶ Σακάδας.

Polimnesto, dopo Terpandro, impiegò una nuova maniera, ma si attenne anch’egli al carattere nobile, come pure Taleta e Sacada.

Tra le sue innovazioni lo Pseudo-Plutarco ricorda l’invenzione del modo ipolidio e l’aumento delle cosiddette ἔκλυσις ed ἐκβολή.

Mus. 29, 1141b = Polymnestus T 6 Campbell (II p. 334)

Πολυμνήστῳ δὲ τόν θ' ὑπολύδιον νῦν ὀνομαζόμενον τόνον ἀνατιθέασι, καὶ τὴν ἔκλυσιν καὶ τὴν ἐκβολὴν πολὺ μείζω πεποιηκέναι φασὶν αὐτόν.

A Polimnesto viene attribuito il tonos ora denominato ipolidio e si dice che gli abbia aumentato molto l’eklysis e l’ekbolè347.

La determinazione temporale di contemporaneità, νῦν, si riferisce plausibilmente, qui come nel resto del trattato, alle forme e ai contesti esecutivi della musica tra la fine del V e il IV sec. a.C., il che si spiega se si tiene conto del fatto che lo Pseudo-Plutarco utilizza per lo più fonti risalenti a quel periodo348. Inoltre, l’affermazione relativa al fatto che “ora” – e quindi tra V e IV sec. a.C. – il modo è denominato ipolidio, implica che anticamente, all’epoca di Polimnesto, tale modo dovesse avere un altro nome. Dell’Ipolidio West dice che il suo nome

346 Ercoles 2009b, 159. 347

Ballerio traduce τόν θ' ὑπολύδιον νῦν ὀνομαζόμενον τόνον “il modo ora denominato ipolidio”. Io preferisco lasciare, almeno per il momento, il calco della parola greca, per motivi che saranno spiegati a breve. Per i significati di ἔκλυσις e di’ἐκβολή cf. il Glossario alla fine di questo lavoro.

348 Meriani 2003, 56.

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fu creato per una sistemazione astratta delle tonalità349 e che esso non è attestato come un modo di epoca classica, ma che probabilmente prese quel nome per un parallelismo, affinché, al pari del modo frigio e di quello dorico, che avevano come modi corrispondenti l’ipofrigio e l’ipodorico (entrambi una quarta sotto le rispettive scale di partenza), anche il modo lidio avesse un proprio corrispettivo350.

Quindi, con quale modo antico dovrebbe identificarsi questo ὑπολύδιος νῦν ὀνομαζόμενος τόνος? Sempre West osserva che, nel periodo classico, tra le specie d’ottava351

elaborate da Eratocle (V sec. a.C.) ne era menzionata una che portava il nome di “ipolidia”, che corrispondeva alla scala lidia di Damone (V sec. a.C.)352. Dal momento che in Mus. 8, 1133f si dice espressamente che al tempo di Polimnesto (VII sec. a.C.) esisteva il τόνος lidio (τόνων γοῦν τριῶν ὄντων κατὰ Πολύμνηστον καὶ Σακάδαν, τοῦ τε Δωρίου καὶ Φρυγίου καὶ Λυδίου) si potrebbe ipotizzare che il τόνος ὑπολύδιος del capitolo 29 sia da intendersi in riferimento alla scala eratoclea e sia quindi identificabile con la più antica scala lidia conosciuta da Damone.

Abbiamo visto che Eratocle visse nel V sec. a.C. e che le fonti utilizzate dallo Pseudo- Plutarco sono per lo più di V e IV sec. a.C. È quindi ipotizzabile che tali fonti conoscessero e commentassero le sette scale codificate da Eratocle.

Del resto, il capitolo 29 sembra essere di natura aristossenica353 e Aristosseno è a conoscenza di Eratocle, dal momento che lo menziona nei suoi Elementa Harmonica, criticandone l’operato. Non è assurdo, quindi, ipotizzare che questo ὑπολύδιος νῦν ὀνομαζόμενος τόνος si ritrovasse in un altro trattato di matrice aristossenica, tenuto presente per questa sezione dallo Pseudo-Plutarco, e che si riferisse alla scala eratoclea.

L’unica perplessità sta nel fatto che, trattandosi di un contesto aristossenico, qui τόνος dovrebbe assumere il significato di tonalità354, che veicola un concetto sicuramente più tecnico delle specie d’ottava attribuite ad Eratocle. In tal caso cambierebbe profondamente la natura di questo tonos hypolydios che, identificandosi con il tonos hypolydios di Aristosseno355, finirebbe con l’avere una struttura scalare diversa da quella della scala eratoclea. È pur vero, però, che lo Pseudo-Plutarco spesso utilizza i termini musicali in modo

349

West 1992, 183 n. 92.

350 West 1992, 228.

351 Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro. 352 West 1992, 227-228.

353

Meriani 2003, 79.

354 Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro.

355 Il tonos hypolydios è una scala che si trova ad un intervallo di quarta sotto la scala Lydia nel sistema delle

scale codificato da Aristosseno (cf. Da Rios 1954, 54 n. 1).

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improprio: basti pensare al capitolo 8, dove τόνος è usato come sinonimo improprio di ἁρμονία, nel suo significato di “modo musicale”356

.

Riassumendo, abbiamo due possibilità: immaginare che τόνος ὑπολύδιος si riferisca alla scala eratoclea e che in questo contesto, come in altri, lo Pseudo-Plutarco impieghi il termine aristossenico τόνος in modo improprio; oppure interpretare τόνος ὑπολύδιος in senso aristossenico e quindi come qualcosa di diverso dalla scala ipolidia eratoclea identificata con quella lidia damoniana. La prima ipotesi è suggestiva ma labile, perché dal testo, così come lo leggiamo, non si ricavano indizi evidenti. È certamente più prudente propendere per la seconda ipotesi. Resta il fatto che non è possibile avere la certezza assoluta.

Molto poco, invece, si può dire dell’eklysis e dell’ekbolè. Sappiamo da Aristide Quintiliano che l’eklysis è come un intervallo discendente di 3/4 di tono e che l’ekbolè è come un intervallo ascendente di 5/4 di tono; Bacchio, nella sua Eisagogè (Is. 300, 17-20; 301, 20; 302, 6 Jan) aggiunge che eklysis ed ekbolè ricorrono solo nel genere enarmonico. Ad ogni modo, si tratta solo di alterazioni degli intervalli normali e non di veri e propri intervalli, alterazioni che Polimnesto, probabilmente, prese ad utilizzare in modo più frequente rispetto al passato357. De Simone ritiene che non si possa escludere che l’espressione ἔκλυσιν καὶ τὴν ἐκβολὴν πολὺ μείζω πεποιηκέναι possa riferirsi non all’incremento dell’impiego di questi intervalli, ma a qualche forma di ampliamento del loro spazio intervallare358.

L’ultimo passo su Polimnesto riguarda dei nomoi che secondo la critica venivano considerati innovativi359.

Mus. 5, 1133a = Polymnestus T 2 Campbell (II p. 330)

γεγονέναι δὲ καὶ Πολύμνηστον ποιητήν, Μέλητος τοῦ Κολοφωνίου υἱόν, ὃν [Πολύμνηστόν] *** τε καὶ Πολυμνήστην νόμους ποιῆσαι.

(Altri autori riferiscono che) ci fu anche un poeta di nome Polimnesto, figlio di Meleto di Colofone, che scrisse i nomoi Polimnesti.

Il passo qui riportato presenta un problema testuale, perché nei codici si legge Πολύμνηστόν τε καὶ Πολυμνήστην. Tale lezione è stata mantenuta da Weil e Reinach e da Lasserre, mentre è stata emendata in Πολύμνηστόν δὲ καὶ Πολυμνήστιον da Volkmann.

356

Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro.

357 Barker 1984, 235 n. 188. 358 De Simone 2011, 87 n. 5. 359 Ercoles 2009b, 159.

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Ziegler, invece, ha pensato di espungere il nome Πολύμνηστον e di supporre una lacuna prima di τε καὶ Πολυμνήστην, lacuna che Pohlenz propone di integrare con < ἄλλους >. Weil e Reinach non hanno ritenuto necessario emendare il testo, perché hanno supposto che il secondo nomos, il Polimneste, fosse semplicemente dedicato alla sorella di Polimnesto. Ballerio non tiene in considerazione la proposta di Ziegler, pur riportandola nel testo a fronte greco, e traduce “i nomoi Polimnesti”360. Ercoles, invece, menziona i due nomoi separatamente, come nomos Polimnesto e nomos Polimneste, spiegando che, anche se non è fornito nessun dato in merito all’armonia e al ritmo specifici, se ne intuisce il carattere innovativo che li rendeva bene individuabili. A questi nomoi, inoltre, sarebbero riconducibili i

Polimnesteia361, canti di V sec. a.C., considerati lascivi da Cratino (fr. 338 K.-A.) e criticati da Aristofane (Eq. 1287). L’atto di associare il nome di Polimnesto a dei canti trasgressivi e differenti dalla melopea tradizionale può essere indice del fatto che la sua figura, nel V sec., doveva effettivamente essere percepita come innovativa, come, del resto, afferma lo Pseudo- Plutarco in Mus. 12, 1135c: si tratta, comunque, di un carattere innovativo che conservò uno stile nobile, nel rispetto della tradizione.