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Pindaro come un modello di stile

3. I POETI “CANONICI” E LASO DI ERMIONE

3.5 Pindaro (e Simonide e Bacchilide)

3.5.2 Pindaro come un modello di stile

Come ho già accennato in precedenza, sulla musica di Pindaro lo Pseudo-Plutarco non fornisce informazioni strettamente tecniche, ma lo cita spesso come un modello di stile nobile.

506 Pauly-Wissowa s.v. Deipnon, 378.

507 Cannatà Fera 1992, 103. Che questi versi pindarici provengano da uno skoliòn indirizzato a Ierone di Siracusa

si evince da un passo di Ateneo (14, 635b).

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In effetti, il caso di Pindaro è particolare, in quanto si tratta di un poeta che vive in un’epoca liminare, in cui la musica praticata è ancora quella tradizionale, ma inizia a conoscere uno sviluppo progressivo che porterà poi alla cosiddetta “Musica Nuova”, la musica “rivoluzionaria” dei ditirambografi del V sec. a.C.

Viene spontaneo chiedersi, dunque, come si ponga Pindaro nei confronti di queste innovazioni in ambito musicale. Sappiamo che il suo stile è considerato difficile sia per l’esegesi che per la comprensione stessa dei suoi versi.

Tale complessità si riflette anche sul piano metrico, data la ricca varietà di metri utilizzati dal poeta. D’altro canto, sul piano musicale, sappiamo che il poeta stesso definiva la sua musica “variegata” (ποικίλη)508

.

Giovanni Marzi, partendo da un’analisi di tutti i riferimenti agli strumenti e alla musica presenti nella poesia di Pindaro, ha provato a tracciare un profilo del poeta, definendolo “saldamente legato alla musica di tradizione e insieme aperto alle voci dei novatori”. Secondo lo studioso, dunque, il poeta tebano cercò un punto d’incontro tra musica tradizionale e musica nuova509.

Del resto, lo stesso Pindaro in un suo ditirambo critica il ditirambo antico (fr. 70b 1-2 Sn.- M.)510:

πρὶν μὲν εἷρπε σχοινοτένειά τ' ἀοιδὰ δ̣ι̣θ̣⌊υράμβων

Prima si strascicava teso come una fune il canto dei ditirambi

(Trad. S. Lavecchia)

Questa complessità e ricchezza in ambito stilistico-musicale, congiuntamente ad un’esplicita ammissione di apertura nei confronti del nuovo diritambo, tuttavia, non impedì ai conservatori dei secoli successivi di apprezzare la musica di Pindaro e di considerarla un modello, in contrapposizione alla “musica nuova”. Lo Pseudo-Plutarco non si discosta da

508 P. es. Ol. 3, 8 (φόρμιγγά τε ποικιλόγαρυν), 4, 2 (ποικιλοφόρμιγγος ἀοιδᾶς), Nem. 4, 14 (ποικίλον κιθαρίζων).

West rimanda anche ad altri passi pindarici. La mia scelta è dettata dal fatto che in questi tre casi l’aggettivo

poikilos è strettamente connesso alla sfera musicale. Cf. West 1992, 345 e n. 78.

509 Marzi 1972, 10.

510 Per la discussione sul significato da attribuire all’espressione σχοινοτένειά τ' ἀοιδά cf. § 2.4.

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questa visione ed il suo giudizio positivo sull’opera pindarica emerge in modo chiaro dalle sue testimonianze sul poeta.

Dei quattro passi in cui compaiono queste testimonianze, il primo attesta alcuni dei generi lirici coltivati da Pindaro, senza tuttavia approfondirne le caratteristiche:

Mus. 9, 1134d

κέχρηται δὲ τῷ γένει τῆς ποιήσεως ταύτης καὶ Πίνδαρος. ὁ δὲ παιὰν ὅτι διαφορὰν ἔχει πρὸς τὰ ὑπορχήματα, τὰ Πινδάρου ποιήματα δηλώσει· γέγραφε γὰρ καὶ παιᾶνας καὶ ὑπορχήματα.

Anche Pindaro impiegò questo genere di composizione poetica (gli iporchemi). La differenza tra peana e iporchema risulterà chiara dalla opere di Pindaro, dal momento che egli compose sia peani che iporchemi.

L’informazione, pur essendo molto generica, è una testimonianza implicita dell’importanza attribuita al poeta, al punto che le sue composizioni sono presentate come un esempio per poter comprendere quale sia la distinzione tra iporchemi e peani.

Le due testimonianze successive (Mus. 17, 1136f; Mus. 20, 1137e-f) vedono il nome di Pindaro affiancato dai nomi di altri due importantissimi poeti: Simonide (29.), menzionato due volte in tutto il trattato, e Bacchilide (30.) menzionato solo una volta. Già si è detto che stupisce questa esigua presenza di testimonianze riguardanti due lirici così eminenti, soprattutto se si considera che solo per Pindaro si contano, all’interno del trattato, quattro citazioni e quattro testimonianze.

La ragione, probabilmente, è da individuarsi nel fine ultimo dello Pseudo-Plutarco che, lo ricordiamo, non è quello di tracciare una esposizione sistematica dello stile musicale dei vari poeti, bensì quello di proporre il loro stile musicale come modello positivo all’interno di una discussione sulla storia della musica, che si regge su una doppia antinomia, insieme cronologica (musica antica vs. musica nuova) e morale (musica nobile vs. musica degenerata). Probabilmente, tra i tre lirici tardo-arcaici Pindaro era avvertito come il più importante e quindi è anche il poeta menzionato più di frequente511.

511 Più in generale, Castagna ha osservato che dei nove poeti del canone quello più citato nel intero corpus

Plutarcheum è Pindaro, con più di cento citazioni (Castagna 1972, 167).

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Mus. 17, 1136f

οὐκ ἠγνόει δ' ὅτι πολλὰ Δώρια Παρθένεια [ἄλλα] Ἀλκμᾶνι καὶ Πινδάρῳ καὶ Σιμωνίδῃ καὶ Βακχυλίδῃ πεποίηται, ἀλλὰ μὴν καὶ ὅτι προσόδια καὶ παιᾶνες.

(Platone) sapeva che molti partenii furono composti da Alcmane, Pindaro, Simonide, Bacchilide nell’harmonia dorica, nonché canti processionali e peani.

Mus. 20, 1137e-f

ὁ γὰρ αὐτὸς καὶ Παγκράτην ἂν εἴποι ἀγνοεῖν τὸ χρωματικὸν γένος. ἀπείχετο γὰρ καὶ οὗτος ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ τούτου, ἐχρήσατο δ' ἔν τισιν. οὐ δι' ἄγνοιαν οὖν δηλονότι, ἀλλὰ διὰ τὴν προαίρεσιν ἀπείχετο· ἐζήλου γοῦν, ὡς αὐτὸς ἔφη, τὸν Πινδάρειόν τε καὶ Σιμωνίδειον τρόπον καὶ καθόλου τὸ ἀρχαῖον καλούμενον ὑπὸ τῶν νῦν.

Parimenti si potrebbe dire che anche Pancrate ignorava questo genere, dal momento che anch’egli per lo più lo evitò, pur impiegandolo in alcune composizioni. Evidentemente non ne fece uso, non perché non lo conoscesse, ma per scelta. Come egli stesso dichiarò, era sua intenzione imitare lo stile di Pindaro e Simonide e in genere la maniera che i compositori di oggi definiscono antica.

Entrambe le testimonianze contengono informazioni poco dettagliate. Dal capitolo 17, di matrice platonica, si apprende solo che Pindaro componeva, come del resto gli altri grandi lirici Alcmane, Simonide, Bacchilide, parteni in armonia dorica, l’unica armonia che, insieme alla frigia, poteva essere accettata e studiata all’interno dello Stato ideale, secondo Platone, per il suo carattere che la rendeva adatta agli uomini coraggiosi e alle azioni di guerra, e quindi ispiratrice di forza e coraggio512.

Del resto, lo stesso Pindaro in più di un’ode fa esplicito riferimento all’armonia dorica, e da un frammento di un peana si evince che egli riteneva il melos dorico il più solenne e dignitoso513.

Nel capitolo 20, invece, troviamo i nomi di Pindaro e di Simonide compresi nel novero di quei poeti che adoperarono uno “stile antico”. L’informazione è ricavata da un certo Pancrate, in un contesto di discussione sulle origini del genere cromatico. Di questo genere, lo Pseudo- Plutarco dice che non era impiegato dai tragediografi, mentre era diffuso nella citarodia, ben

512 Resp. 399a.

513Δώριον μέλος σεμνότατόν ἐστιν (fr. 67 Sn.-M.).

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più antica della tragedia. Il trattatista continua, poi, affermando che il genere cromatico era più antico di quello enarmonico, ma che né Eschilo né Frinico lo utilizzarono e lo stesso fece Pancrate, non per ignoranza, ma per scelta, poiché decise di seguire lo stile antico di poeti come Pindaro e Simonide.

Benché sia menzionata, qui, la maniera antica di comporre (τὸ ἀρχαῖον καλούμενον ὑπὸ τῶν νῦν), la focalizzazione non è, almeno non esplicitamente, sul contrasto tra il carattere della musica antica e quella nuova, ma sull’impiego che è stato fatto del genere cromatico sin dai primi tempi della citarodia. La contrapposizione tra musica antica e musica nuova non è assente, ma resta implicita, e si può cogliere nel fatto che Pancrate, un musico che probabilmente operò nel IV sec. a.C., quando ormai la musica nuova si era affermata, abbia scelto di imitare lo stile antico.

Se questa contrapposizione tra antico e nuovo resta implicita nel capitolo 20, nel capitolo 31 (che è anche l’ultimo in cui compare il nome di Pindaro) essa affiora apertamente:

Mus. 31, 1142b-c τῶν γὰρ κατὰ τὴν αὑτοῦ ἡλικίαν φησὶ Τελεσίᾳ τῷ Θηβαίῳ συμβῆναι νέῳ μὲν ὄντι τραφῆναι ἐν τῇ καλλίστῃ μουσικῇ, καὶ μαθεῖν ἄλλα τε τῶν εὐδοκιμούντων καὶ δὴ καὶ τὰ Πινδάρου, τά τε Διονυσίου τοῦ Θηβαίου καὶ τὰ Λάμπρου καὶ τὰ Πρατίνου καὶ τῶν λοιπῶν ὅσοι τῶν λυρικῶν ἄνδρες ἐγένοντο ποιηταὶ κρουμάτων ἀγαθοί· καὶ αὐλῆσαι δὲ καλῶς καὶ περὶ τὰ λοιπὰ μέρη τῆς συμπάσης παιδείας ἱκανῶς διαπονηθῆναι· παραλλάξαντα δὲ τὴν τῆς ἀκμῆς ἡλικίαν, οὕτω σφόδρα ἐξαπατηθῆναι ὑπὸ τῆς σκηνικῆς τε καὶ ποικίλης μουσικῆς, ὡς καταφρονῆσαι τῶν καλῶν ἐκείνων ἐν οἷς ἀνετράφη, τὰ Φιλοξένου δὲ καὶ Τιμοθέου ἐκμανθάνειν, καὶ τούτων αὐτῶν τὰ ποικιλώτατα καὶ πλείστην ἐν αὑτοῖς ἔχοντα καινοτομίαν.

(Aristosseno) riferisce, infatti, la vicenda accaduta ai suoi tempi a Telesia di Tebe: istruito da giovane nello stile musicale più nobile, apprese le opere dei compositori più illustri, tra cui Pindaro, Dionisio di Tebe, Lampro, Pratina e altri poeti lirici, valenti autori di brani strumentali. Fu un abile suonatore di aulo e coltivò accuratamente le altre discipline di tutto il ciclo formativo. Ma superati i quarant’anni, si lasciò sedurre dalla musica elaborata e prodotta per il teatro, al punto che arrivò a disprezzare lo stile nobile, e apprese le composizioni di Filosseno e Timoteo, in particolare le più complesse e ricche di elementi innovativi.

Rinviando la discussione su Telesia ad un altro momento, vorrei invece concentrarmi in particolare sulla figura di Pindaro. Emerge, qui, esplicitamente che lo stile di Pindaro, già precedentemente accostato a quello dei poeti “antichi”, è considerato nobile ed in netta 170

contrapposizione con le stile compositivo dei poeti della musica nuova quali Filosseno e Timoteo, molto più complesso e ricco di elementi innovativi.

Dunque, senza mettere in dubbio che Pindaro abbia effettivamente cercato un punto di incontro tra musica tradizionale e musica nuova, si può affermare che lo Pseudo-Plutarco – forte soprattutto dell’atteggiamento conservatore delle fonti di V e IV sec. a.C. da lui impiegate – inserisce a pieno titolo il poeta tebano all’interno della tradizione musicale nobile, proponendo la sua musica come modello assolutamente antinomico rispetto a quella che iniziava già a svilupparsi negli stessi anni in cui egli operò.