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Olimpo e l’invenzione del genere enarmonico

1. LE ORIGINI MITICHE DELLA LIRICA E LA QUESTIONE DELLE FONTI

1.2 Le origini mitiche dell’aulodia

1.2.2 Olimpo e l’invenzione del genere enarmonico

Al di là della precisa identità di Olimpo, dalla lettura del trattato pseudo-plutarcheo risulta subito evidente che i Greci tenevano questa figura in grande considerazione. A lui, infatti, si attribuivano varie invenzioni, quali la musica strumentale (κροῦμα119), i nomoi musicali, alcuni tipi di metro, il genere enarmonico.

Come si è detto nell’Introduzione, lo Pseudo-Plutarco non costruisce un discorso organico e coerente sui poeti, iniziando, per esempio, dalle informazioni sulla vita per concludere con quelle sullo stile. Al contrario, all’interno di ogni capitolo del trattato, troviamo disseminate informazioni di vario tipo sui vari poeti, che possono riguardare tanto la cronologia e la vita, quanto le innovazioni da loro apportate alla musica oppure lo stile metrico da loro utilizzato.

Non fa eccezione la trattazione di Olimpo, dal momento che le informazioni sul suo operato sono distribuite per tutta l’opera e, in alcuni casi, un solo concetto è ripetuto più volte. Per questo, nella discussione che riguarda le invenzioni dell’auleta frigio non seguirò l’ordine dei capitoli, ma procederò per temi.

Il primo argomento che mi accingo a trattare è l’invenzione del genere enarmonico, che si ritrova nei seguenti passi:

Mus. 7, 1133e = Olympus T 3 Campbell (II p. 274)

οὗτος (Olimpo) γὰρ παιδικὰ γενόμενος Μαρσύου καὶ τὴν αὔλησιν μαθὼν παρ' αὐτοῦ, τοὺς νόμους τοὺς ἁρμονικοὺς ἐξήνεγκεν εἰς τὴν Ἑλλάδα οἷς <ἔτι καὶ> νῦν χρῶνται οἱ Ἕλληνες ἐν ταῖς ἑορταῖς τῶν θεῶν.

119 Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro e § 4.1.4.

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Questi, infatti, era il favorito di Marsia e aveva appreso da lui l’arte di suonare l’aulo; fu costui a introdurre in Grecia i nomoi enarmonici che ancor oggi i greci impiegano nelle feste religiose.

Mus. 11, 1134 f-1135b = Olympus T 5 Campbell (II p. 276)

Ὄλυμπος δέ, ὡς Ἀριστόξενός φησιν (fr. 83 Wehrli), ὑπολαμβάνεται ὑπὸ τῶν μουσικῶν τοῦ ἐναρμονίου γένους εὑρετὴς γεγενῆσθαι· τὰ γὰρ πρὸ ἐκείνου πάντα διάτονα καὶ χρωματικὰ ἦν. ὑπονοοῦσι δὲ τὴν εὕρεσιν τοιαύτην τινὰ γενέσθαι· ἀναστρεφόμενον τὸν Ὄλυμπον ἐν τῷ διατόνῳ καὶ διαβιβάζοντα τὸ μέλος πολλάκις ἐπὶ τὴν διάτονον παρυπάτην, τοτὲ μὲν ἀπὸ τῆς παραμέσης, τοτὲ δ' ἀπὸ τῆς μέσης, καὶ παραβαίνοντα τὴν διάτονον λιχανόν, καταμαθεῖν τὸ κάλλος τοῦ ἤθους, καὶ οὕτως τὸ ἐκ τῆς ἀναλογίας συνεστηκὸς σύστημα θαυμάσαντα καὶ ἀποδεξάμενον, ἐν τούτῳ ποιεῖν ἐπὶ τοῦ Δωρίου τόνου· οὔτε γὰρ τῶν τοῦ διατόνου ἰδίων οὔτε τῶν τοῦ χρώματος ἅπτεσθαι, ἀλλ'οὐδὲ τῶν τῆς ἁρμονίας. εἶναι δ' αὐτῷ τὰ πρῶτα τῶν ἐναρμονίων τοιαῦτα. τιθέασι γὰρ τούτων πρῶτον τὸ Σπονδεῖον, ἐν ᾧ οὐδεμία τῶν διαιρέσεων τὸ ἴδιον ἐμφαίνει, εἰ μή τις εἰς τὸν συντονώτερον σπονδειασμὸν βλέπων αὐτὸ τοῦτο διάτονον εἶναι ἀπεικάσειε. δῆλον δ' ὅτι καὶ ψεῦδος καὶ ἐκμελὲς θήσει ὁ τοιοῦτο τιθείς· ψεῦδος μὲν ὅτι διέσει ἔλαττόν ἐστι τόνου τοῦ περὶ τὸν ἡγεμόνα κειμένου· ἐκμελὲς δ' ὅτι, καὶ εἴ τις ἐν τῇ τοῦ τονιαίου δυνάμει τιθείη τὸ τοῦ συντονωτέρου σπονδειασμοῦ ἴδιον, συμβαίνοι ἂν δύο ἑξῆς τίθεσθαι δίτονα, τὸ μὲν ἀσύνθετον, τὸ δὲ σύνθετον· τὸ γὰρ ἐν ταῖς μέσαις ἐναρμόνιον πυκνὸν ᾧ νῦν χρῶνται οὐ δοκεῖ τοῦ ποιητοῦ εἶναι. ῥᾴδιον δ' ἐστὶ συνιδεῖν, ἐάν τις ἀρχαϊκῶς τινος αὐλοῦντος ἀκούσῃ· ἀσύνθετον γὰρ βούλεται εἶναι καὶ τὸ ἐν ταῖς μέσαις ἡμιτόνιον. Τὰ μὲν οὖν πρῶτα τῶν ἐναρμονίων τοιαῦτα· ὕστερον δὲ τὸ ἡμιτόνιον διῃρέθη ἔν τε τοῖς Λυδίοις καὶ ἐν τοῖς Φρυγίοις.

Olimpo, come afferma Aristosseno, è considerato dagli studiosi di musica l’inventore del genere enarmonico, dal momento che tutte le composizioni musicali prima di lui erano diatoniche e cromatiche. Si immagina che la scoperta sia avvenuta in questo modo. Olimpo, componendo nel genere diatonico e portando spesso la melodia alla parypate diatonica, ora dalla paramese, ora dalla mese, saltando la lichanòs diatonica, si accorse della bellezza del carattere prodotto. Preso da ammirazione per la scala costruita per analogia, l’adottò, componendo in essa, secondo il modo dorico; e non si attenne, infatti, alle caratteristiche proprie del genere diatonico, né del cromatico e neppure dell’enarmonico. Tali erano le caratteristiche dei suoi primi pezzi enarmonici. Le nostre fonti considerano primo di essi lo Spondeion, nel quale nessuno dei tre generi presenta i propri caratteri distintivi a meno che, considerando lo spondeiasmòs più acuto, non si congetturi che esso stesso sia diatonico, ma è evidente che una simile congettura risulterà falsa ed estranea alle leggi della melodia. Risulterà falsa, perché l’intervallo in questione è inferiore di un diesis al tono accanto alla nota dominante, ed estranea alle leggi della melodia, in

quanto, anche se si considerasse del valore di un tono il carattere peculiare dello spondeiasmòs più acuto, verrebbero a trovarsi due ditoni successivi, l’uno indiviso, l’altro diviso. Il pyknòn120 enarmonico dei tetracordi medi, di cui ora si fa uso, sembra che non appartenesse alle opere del compositore. Si può capire facilmente ciò, se si ascolta un auleta che suoni all’antica maniera, dal momento che essa comporta che anche il semitono dei tetracordi medi sia indiviso. Questo fu il carattere delle prime melodie enarmoniche. In seguito il semitono fu diviso nelle composizioni lidie e frigie.

Mus. 29, 1141b = Olympus T 8 Campbell (II p. 278)

καὶ αὐτὸν δὲ τὸν Ὄλυμπον ἐκεῖνον, ᾧ δὴ τὴν ἀρχὴν τῆς Ἑλληνικῆς τε καὶ νομικῆς μούσης ἀποδιδόασι, τό τε τῆς ἁρμονίας γένος ἐξευρεῖν φασι.

Di quel famoso Olimpo, cui viene ricondotta l’origine della musica greca e dei nomoi, si dice che fu l’inventore del genere enarmonico.

Nel capitolo 7 per la prima volta, si riferisce che Olimpo introdusse in Grecia i nomoi enarmonici, che poi sarebbero stati utilizzati anche successivamente nelle feste religiose. Quest’ultima affermazione trova conferma, credo, nel capitolo 11, dove lo Pseudo-Plutarco, nel descrivere il modo in cui Olimpo avrebbe scoperto il genere enarmonico, afferma anche che il primo tra i componimenti in tale genere fu lo Spondeion. Tale nome significa “della libagione” e rimanda, pertanto, ad un contesto religioso.

Su questo passo ci sono alcune considerazioni da fare. Una di queste è di carattere lessicale e riguarda il modo in cui lo Pseudo-Plutarco riprende la fonte aristossenica. Una differenza sostanziale rispetto al suo modello, infatti, sta proprio nella denominazione del genere enarmonico: leggendo gli Elementa Harmonica di Aristosseno, emerge che il Tarantino, per riferirsi a questo tipo di γένος, utilizza il termine ἁρμονία, mentre impiega l’aggettivo ἐναρμόνιος quando vuole riferirsi alla caratteristica di un altro elemento musicale, diverso dal γένος, come, ad esempio, la λιχανός121

, il diesis, il σύστημα e non lo collega mai al termine γένος. L’esempio più calzante è l’espressione τεττάρων δ'οὐσῶν παρυπατῶν ἡ μὲν ἐναρμόνιος ἴδιός ἐστι τῆς ἁρμονίας122

: “tra le quattro (note) che sono παρυπάται123 quella enarmonica è propria del genere enarmonico (ἁρμονία)”. Si nota, appunto, che l’aggettivo

120 Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro.

121 È il nome di una nota. Λιχανός significa “indice” in riferimento al dito con cui è pizzicata la corda. 122 Cf. El Harm. 64, 17.

123 È il nome di una nota. Si chiama così perché si trova vicino alla hypate.

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ἐναρμόνιος si riferisce alla nota παρυπάτη, mentre per indicare il genere vero e proprio Aristosseno ha impiegato il termine ἁρμονία.

Nel passo pseudo-plutarcheo in analisi, il genere enarmonico è reso con l’espressione ἐναρμόνιον γένος. Tuttavia, pochi righi dopo, sempre in riferimento a tale genere, è impiegato il termine ἁρμονία. Dal momento che all’inizio del capitolo il trattatista cita esplicitamente Aristosseno come fonte di riferimento, dovrebbe derivarne l’utilizzo del termine ἁρμονία per indicare il genere enarmonico, e invece ciò non accade. Al contrario, lo Pseudo-Plutarco sembra utilizzare in modo quasi indifferente le due denominazioni, la qual cosa si evince anche e soprattutto dal capitolo 29, in cui troviamo addirittura l’espressione τό τε τῆς ἁρμονίας γένος, con un accostamento dei due termini ἁρμονία e γένος, laddove ci saremmo aspettati o γένος ἐναρμόνιον oppure, semplicemente, il vocabolo ἁρμονία utilizzato alla maniera aristossenica.

Per il resto, comunque, se si considera complessivamente il lessico musicale utilizzato in questa porzione di testo, ne appare chiara la derivazione aristossenica. Compaiono, infatti, termini che arrivarono ad una ben definita codificazione solo con Aristosseno, come σύστημα e τόνος124

.

Un’altra considerazione riguarda il modo in cui lo Pseudo-Plutarco descrive la modalità di nascita del genere enarmonico, partendo da un esempio pratico di scale musicali. Come si evince dalla lettura dell’intero capitolo 11, Olimpo, componendo nel genere diatonico e portando spesso la melodia alla parypate diatonica, ora dalla paramese, ora dalla mese, saltando la lichanòs diatonica, si sarebbe accorto della bellezza del carattere prodotto e quindi avrebbe costruito, per analogia, una scala (σύστημα) secondo la tonalità dorica (ἐπὶ τοῦ Δωρίου τόνου125

). Innanzitutto, è necessario dare alcune delucidazioni a proposito dei nomi delle note: se si bada al loro reale significato, essi si dovranno tradurre rispettivamente come segue:

 παρυπάτη: “corda vicina a quella più in alto”.  λιχανός: “corda dell’indice”.

 μέση: “corda centrale”.

 παραμέση: “corda vicino a quella centrale”.

124 Per i significati dei termini cf. il Glossario alla fine di questo lavoro. Non sempre, nel trattato, lo Pseudo-

Plutarco utilizza il termine τόνος in senso aristossenico: la questione sarà affrontata quando si presenterà un’ambiguità di significato di tale termine. È chiaro, tuttavia, che in questo passo il vocabolo assume il significato aristossenico di tonalità o scala tonale.

125 È logico che, trovandoci in un contesto di citazione esplicitamente aristossenica, molto probabilmente qui il

termine τόνος sia da intendersi nel senso aristossenico di tonalità. Non si può non osservare, tuttavia, che il termine adoperato in un tale contesto dà luogo ad un anacronismo.

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Queste note fanno parte dello spettro delle sette corde della prima lira classica che comprendeva, almeno secondo la nostra fonte più antica (Filolao), ὑπάτη, παρυπάτη, λιχανός, μέση, τρίτη, παρανήτη, νήτη e al cui interno, tra la μέση e la τρίτη, le fonti più tarde aggiungono la παραμέση menzionata qui dallo Pseudo-Plutarco126.

Tale denominazione è dovuta al fatto che le note sono identificate in relazione alla posizione delle corde sulla lira, a partire da quella più lontana dal corpo di chi suona127: la corda più in basso (νήτη) corrisponde a quella più lontana, la corda più in alto (ὑπάτη), invece, corrisponde a quella più vicina al corpo del citarista. Contrariamente all’apparenza, però, dal punto di vista dell’altezza tonale delle note, la corda “più bassa” (νήτη) corrisponde alla nota più alta, mentre la corda definita “più alta” (ὑπάτη) corrisponde alla nota più bassa.

Se veniamo alla scala diatonica, a partire dalla quale Olimpo avrebbe scoperto il genere enarmonico, è ovvio che lo Pseudo-Plutarco nomina solo alcune delle note presenti in essa. Tuttavia, per capire come cambia la sequenza intervallare, dobbiamo considerare anche la ὑπάτη. Si ottiene così che, se la successione intervallare di un tetracordo di una scala diatonica procede per intervalli di semitono, tono, tono, allora la distanza tra hypate e

parypate sarà di un semitono, quella tra parypate e lichanòs sarà di un tono, come anche

quella tra lichanòs e mese. Dunque, Olimpo, saltando la lichanòs, avrebbe creato un intervallo di due toni, caratteristico del genere enarmonico.

Lo Pseudo-Plutarco, però, precisa che nella composizione l’auleta frigio non si attenne alle caratteristiche proprie di nessuno dei tre generi. Per capire che cosa intenda il trattatista con questa affermazione, dobbiamo saltare alla parte conclusiva del capitolo, dove è scritto che il

pyknòn enarmonico dei tetracordi medi (ossia l’insieme dei due intervalli più gravi del

tetracordo)128 era indiviso. Dato che i due intervalli più bassi del genere enarmonico sono i due quarti di tono, ne deriva che, essendo essi indivisi, danno luogo ad un semitono, che corrisponde esattamente all’intervallo semitonale hypate-parypate dell’originaria scala diatonica.

Ma le informazioni sulla scoperta di Olimpo non sono ancora finite. Il capitolo del De

Musica è molto denso e pone, come abbiamo visto, problemi sia lessicali che di contenuto. A

questo proposito, come ho anticipato, mi sembra opportuno porre l’attenzione su un argomento che viene trattato nella seconda parte del passo. Si tratta della scala detta “delle libagioni”, τὸ Σπονδεῖον: lo Pseudo-Plutarco la identifica con il primo dei componimenti

126 Per ulteriori approfondimenti cf. West 1992, 218-228. 127 West 1992, 64.

128 Cf. il Glossario alla fine di questo lavoro.

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enarmonici di Olimpo; tuttavia, tiene a precisare che in esso nessuno dei tre generi presenta i propri caratteri distintivi. Sembra logica conseguenza che tale scala si trovi in un rapporto di identità con il genere di musica enarmonica (o forse è meglio dire proto-enarmonica) di cui si è parlato prima, come già sosteneva Winnington-Ingram che, in un suo articolo, si è occupato di spiegare in modo esaustivo la natura di questo Spondeion129, avendo come punto di riferimento altri due passi oltre a questo: il primo dei due fa ancora parte del De Musica e riguarda un tipo di componimento denominato dallo Pseudo-Plutarco Spondeiazon tropos130, che, se non ha esattamente le stesse caratteristiche dello Spondeion, presenta comunque delle affinità con esso; il secondo, invece, è un brano del trattato di Aristide Quintiliano, che riguarda le scale musicali131.

Dello Spondeiazon tropos parlerò in seguito. In questa sede, invece, mi sembra opportuno riportare brevemente il ragionamento di Winnington-Ingram a proposito della descrizione che lo Pseudo-Plutarco fa dello Spondeion. L’intento principale dello studioso è stato quello di dare informazioni dettagliate su questo tipo di scala, cercando di confutare la tesi di Weil e Reinach, secondo i quali lo Pseudo-Plutarco o, meglio, la sua fonte (Aristosseno) avrebbe commesso un errore nel descrivere un intervallo particolare dello Spondeion, lo “spondeiasmo” più acuto (σπονδειασμός συντονώτερος), fraintendendo la natura del diesis che lo caratterizza.

Per capire meglio la questione, occorre tornare al testo pseudo-plutarcheo. Il trattatista, infatti, scrive:

Mus. 11, 1135a-b

Le nostre fonti considerano primo di essi132 lo Spondeion, nel quale nessuno dei tre generi133 presenta caratteri distintivi, a meno che, considerando lo Spondeiasmòs più acuto, non si congetturi che esso stesso sia diatonico, ma è evidente che una simile congettura risulterà falsa ed estranea alle leggi della melodia. Risulterà falsa, perché l’intervallo in questione è inferiore di un diesis al tono accanto alla nota dominante, ed estranea alle leggi della melodia, in quanto, anche se si considerasse del valore di un tono il carattere peculiare dello spondeiasmòs più acuto, verrebbero a trovarsi due ditoni successivi, l’uno indiviso, l’altro diviso.

129 Winnington-Ingram 1928, 83-91. 130

Mus. 19, 1137b.

131 Aristid. Quint. De Mus. p. 18, 6-25 W.-I. 132 Il riferimento è ai brani enarmonici di Olimpo. 133 Diatonico, cromatico, enarmonico.

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La prima osservazione di Winnington-Ingram riguarda la tonalità della scala. Egli, infatti, la considera una tonalità dorica (e in questo concorda con Weil e Reinach)134. Di conseguenza, afferma, gli antichi Greci dovevano conoscere una scala del genere: MI FA LA SI DO (MI).

Lo studioso, poi, continua affermando che dal testo si ricavano altre informazioni sulla scala: lo Pseudo-Plutarco, per dimostrare che lo Spondeion non presentava nessuno dei caratteri distintivi dei tre generi, parla di un elemento della scala che si colloca dopo la mese, e che potrebbe essere descritto come diatonico, cioè lo spondeiasmòs syntonoteros (più acuto), precisando, però, che questo è un modo sbagliato di guardare a tale scala e implica una successione non melodiosa di intervalli, cioè un ditono indiviso seguito da un altro ditono diviso (di modo da avere MI-FA-LA-si-DO#135. Si spiega, dunque, che l’intervallo si-DO# non è di un tono, ma di tre quarti di tono, quindi più piccolo: (Mi Fa La) si-DO*136.

A Weil e Reinach, continua Winnington-Ingram, queste affermazioni non piacquero e quindi sostennero che Aristosseno (il cui pensiero è riportato nel passo pseudo-plutarcheo) aveva commesso un errore, interpretando un vecchio spondeiasmòs di tre semitoni (legati al diesis inteso alla maniera pitagorica come innalzamento di un semitono) come se fosse di tre diesis moderni (corrispondenti a tre quarti di tono)137.

Winnington-Ingram confuta questa teoria mostrandone le conseguenze assurde: prima di tutto che l’intervallo conosciuto come spondeiasmòs cambi dall’ampiezza di un tono e mezzo (tre semitoni) ad una di tre quarti di tono, semplicemente a causa di un diverso uso della parola δίεσις; oppure che non ci sia mai stato un intervallo spondeiasmòs nello Spondeion, ma solo un intervallo di tre semitoni, che poi Aristosseno avrebbe confuso per un errore con lo

spondeiasmòs successivo, che invece conosceva; o, infine, che l’unico spondeiasmòs

realmente esistito fosse quello caratterizzato dai tre diesis pitagorici e che Aristide (p. 28, 1-8 W-I) avesse perpetuato l’errore di Aristosseno, il che secondo Winnington-Ingram è possibile, ma non probabile.

Ora, se consideriamo lo Spondeion comprensivo dello spondeiasmòs syntonoteros, così come lo descrive Aristosseno, otterremo la seguente scala: MI-FA-LA-SI-DO*-(MI), che è, dunque, caratterizzata da un primo tetracordo diviso in semitono indiviso MI-FA; da un

134 Winnington-Ingram 1928, 84.

135 Dove FA-LA è il ditono indiviso; e LA-si-DO# è il ditono diviso.

136 Il simbolo “*” indica un innalzamento di un quarto di tono, mentre il simbolo “#” indica un innalzamento di

un semitono.

137 Ciò sarebbe dovuto, secondo Weil e Reinach, al fatto che il diesis per i Pitagorici consisteva

nell’innalzamento di un semitono, mentre per i contemporanei di Aristosseno corrispondeva ad un innalzamento di un quarto di tono.

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ditono FA-LA; da un tono di disgiunzione LA-SI tra i due tetracordi; ed infine da un secondo tetracordo diviso in un intervallo di tre quarti di tono SI-DO* ed un altro, ipotetico, di un tono e tre quarti DO*-MI.

Ma questo spondeiasmòs syntonoteros è una variante particolare rispetto al normale

spondeiasmòs che caratterizza lo Spondeion, preso in considerazione dallo Pseudo-Plutarco

proprio per confutare l’ipotesi che tale scala potesse essere considerata diatonica138.

Concludendo, dunque, vorrei cercare di mettere in evidenza il carattere proto-enarmonico di questa scala che viene considerata il primo brano di Olimpo, senza tenere in considerazione lo spondeiasmòs syntonoteros. Il risultato sarà una scala d’ottava che ha il semitono più basso MI-FA composto da: due quarti di tono indivisi; il ditono FA-LA; il tono di disgiunzione LA- SI tra primo e secondo tetracordo della scala; il secondo semitono SI-DO composto da due quarti di tono indivisi; infine, il secondo ditono DO-(MI). Anche se il quarto di tono non si riscontra, perché (come afferma lo stesso Pseudo-Plutarco) pare che non appartenesse alle opere di Olimpo, esiste ed è ben evidente il ditono, altra caratteristica del genere enarmonico.