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Le citazioni di Pindaro come fonte letteraria

3. I POETI “CANONICI” E LASO DI ERMIONE

3.5 Pindaro (e Simonide e Bacchilide)

3.5.1 Le citazioni di Pindaro come fonte letteraria

Tutte le citazioni di Pindaro presenti nel De Musica tramandano notizie relative alla tradizione musicale e letteraria e hanno per oggetto altri poeti. Non a caso West ha definito Pindaro “a composer with a marked interest in musical and literary history”, proprio perché egli prende in considerazione e commenta le invenzioni e l’attività di altri poeti488.

Quattro sono i luoghi del De Musica in cui si individuano citazioni pindariche. Di queste, due contengono testimonianze generiche su poeti vissuti molto prima di Pindaro (Polimnesto e Sacada), la terza è relativa alle origini mitiche dell’armonia lidia, mentre l’ultima riguarda un’invenzione musicale attribuita dal poeta a Terpandro.

Il valore di due tra queste citazioni consiste nel fatto che per esse si può trovare un riscontro effettivo nei frammenti di Pindaro giunti fino a noi, anche se non è possibile attribuire questi ultimi ad un preciso genere poetico. Invece, nel caso della citazione contenuta in Mus. 15, 1136c si verifica il contrario: in essa viene specificato il genere di composizione, un peana, ma, come vedremo a breve, non si è riusciti a individuare con certezza il relativo frammento.

Il primo passo d’interesse per questa analisi ha dunque in oggetto Polimnesto di Colofone:

Mus. 5, 1133b = Pindarus fr. 188 Sn.-M.

τοῦ δὲ Πολυμνήστου καὶ Πίνδαρος (fr. 188 Sn.-M.) καὶ Ἀλκμὰν (fr. 225 Calame) οἱ τῶν μελῶν ποιηταὶ ἐμνημόνευσαν.

Polimnesto è menzionato anche dai poeti lirici Pindaro e Alcmane.

Tale citazione è inserita all’interno di un più ampio discorso di natura cronologica: nel capitolo 5, come abbiamo già avuto modo di vedere, viene esposta la concezione di Glauco, alternativa a quella eraclidea, che considera la nascita dell’aulodia antecedente a quella della citarodia. Sono menzionati poi vari poeti e, soprattutto, viene messo in risalto il rapporto temporale che vige tra loro. Come si è già detto, con una certa probabilità il motivo per cui lo Pseudo-Plutarco riferisce che Polimnesto fu menzionato anche da Pindaro e Alcmane consiste nell’intento di conferigli autorevolezza489.

488 West 1992, 344-345. 489 Cf. § 2.8.2.

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Il frammento pindarico contenente la citazione di Polimnesto, che funge da conferma a quanto viene detto nel De Musica, è giunto fino a noi tramite un passo della Geografia di Strabone490:

Pindarus fr. 188 Sn.-M.

φθέγμα μὲν πάγκοινον ἔγνω-

κας Πολυμνάστου Κολοφωνίου ἀνδρός conosci la celebre canzone

di Polimnesto di Colofone.

Da quale fonte lo Pseudo-Plutarco abbia ricavato la notizia che Pindaro e Alcmane menzionassero Polimnesto è davvero difficile stabilire: sappiamo che la fonte di base impiegata per questo capitolo è Glauco, ma è pur vero che esso si apre con un riferimento ad Alessandro Poliistore e che, verso la fine, nei periodi immediatamente precedenti a quello in cui sono menzionati Pindaro e Alcmane, si fa parola di altre fonti, non meglio specificate. Dubito, comunque, che lo Pseudo-Plutarco avesse direttamente davanti a sé i versi di Pindaro e di Alcmane; altrimenti, credo, li avrebbe riportati verbatim, come fa con i due passi di Omero491 e con un brano comico di Ferecrate492.

La seconda citazione pindarica riguarda, invece, il poeta Sacada:

Mus. 8, 1134a = Pindarus fr. 269 Sn.-M.

γέγονε δὲ καὶ Σακάδας <ὁ> Ἀργεῖος ποιητὴς μελῶν τε καὶ ἐλεγείων μεμελοποιημένων· ὁ δ' αὐτὸς καὶ αὐλητὴς ἀγαθὸς καὶ τὰ Πύθια τρὶς νενικηκὼς ἀναγέγραπται· τούτου καὶ Πίνδαρος μνημονεύει (fr. 269 Sn.-M.).

Anche Sacada d’Argo fu compositore di versi lirici ed elegiaci posti in musica. Egli fu inoltre un valente auleta ed è attestato che riportò tre volte la vittoria agli agoni pitici. Costui è ricordato anche da Pindaro.

490 Strab. XIV, 1, 28: λέγει δὲ Πίνδαρος καὶ Πολύμναστόν τινα τῶν περὶ τὴν μουσικὴν ἐλλογίμων “φθέγμα μὲν

πάγκοινον ἔγνωκας Πολυμνάστου Κολοφωνίου ἀνδρός”. Cf. anche Cannatà Fera 1992, 125.

Pindaro, invece, menziona anche un certo Polimnesto tra coloro che erano illustri nell’ambito della musica “conosci la celebre canzone di Polimnesto di Colofone”.

491 Mus. 2, 1131e e 42, 1146c = Il. 1. 472ss.; Mus. 40, 1145e = Il. 9. 186-189. 492 Mus. 30, 1141e-1142a = Pherecr. fr. 155, 1-25 Kassel-Austin.

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Sfortunatamente, in questo caso non si ha un riscontro con i versi di Pindaro ed è, perciò, impossibile stabilire quante e quali delle notizie riportate dallo Pseudo-Plutarco fossero effettivamente presenti anche nei versi pindarici.

Cannatà Fera osserva che tale frammento va completato con una notizia di Pausania, secondo il quale Pindaro avrebbe composto un prooimion per Sacada (9, 30, 2). Varie sono le ipotesi riportate dalla studiosa sull’entità di tale carme: secondo Boeckh si trattava di un prosodio; Bergk riteneva, invece, che facesse parte del terzo libro dei Parteni, Turyn lo pone tra i peani493.

Il caso della terza citazione pindarica è più complesso, perché il trattatista riferisce il genere di composizione da cui ricava la notizia, cioè un peana, ma in nessun peana di Pindaro compare in modo chiaro e inconfutabile il contenuto della citazione pseudo-plutarchea. Sono state, tuttavia, avanzate alcune ipotesi che a breve saranno discusse. Per prima cosa propongo il passo in questione:

Mus. 15, 1136c = Pindarus fr. 64 Sn.-M. (Pae. *XIII)

Πίνδαρος δ' ἐν Παιᾶσιν ἐπὶ τοῖς Νιόβης γάμοις (fr. 64 Sn.-M.) φησὶ Λύδιον ἁρμονίαν πρῶτον διδαχθῆναι.

Pindaro, invece, nei suoi peani sostiene che l’harmonia lidia fu introdotta per la prima volta alle nozze di Niobe.

Il passo si inserisce nel contesto di una discussione sulle origini e sull’impiego dell’armonia lidia, dove, tra le varie testimonianze, compare in primis quella di Platone sul carattere di tale armonia, poi quella di Aristosseno, che ne lega le origini ad Olimpo, un’altra ancora, che ne attribuirebbe l’invenzione a Melanippide494 e, infine, la testimonianza di Pindaro, che si focalizza ancora sull’invenzione, rendendo nota l’occasione in cui l’harmonia lidia fu introdotta, ma senza menzionarne l’inventore. Snell ritiene che tutto il passo pseudo- plutarcheo, compresa la testimonianza di Pindaro, provenisse da Aristosseno, ma, come ha fatto notare Cannatà Fera, tra la notizia attribuita al Tarantino riguardo all’epicedio per Pitone eseguito da Olimpo e quella attribuita a Pindaro, si frappone una notizia relativa a

493 Cannatà Fera 1992, 147.

494 La questione è controversa e sarà affrontata nella sezione dedicata a Melanippide (§4.1.1).

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Melanippide introdotta dall’espressione εἰσὶ δ' οἳ […] φασί. È quindi altamente improbabile che tutto il passo possa essere riferito ad Aristosseno495.

Nel XIX secolo si è tentato di integrare alcuni luoghi di questo capitolo sulla base della testimonianza di Polluce (IV 79), che attribuisce l’invenzione dell’armonia lidia ad un certo Antippo. Molto utile è la sinossi di Ercoles in merito a questo problema filologico. Egli ricorda, infatti, che Volkmann ha proposto di sostuire il nome di Melanippide con quello di Antippo e, inoltre, accogliendo un’integrazione di Burette e Boeckh, ha integrato anche la porzione di testo successiva al verbo διδαχθῆναι con la congettura <ὑπ’ Ἀνθίππου>, “facendo di Pindaro la fonte di questa tradizione eurematografica”. Bergk, in seguito, ha accolto il primo dei due interventi, ma ha criticato il secondo, ritenendo che Pindaro non menzionasse alcun inventore, ma solo l’occasione in cui l’armonia lidia fu inventata496.

Anche Rutherford nega che qui si tratti di Antippo, adducendo però una motivazione diversa: secondo lo studioso, Antippo è un poeta storicamente attestato e, dal momento che l’occasione descritta da Pindaro è il matrimonio di Niobe, sarebbe più plausibile ritenere che l’invenzione dell’armonia lidia fosse dal poeta attribuita a una qualche divinità497.

Un’altra osservazione molto interessante da parte di Rutherford riguarda un ipotetico prosieguo del peana, che probabilmente raccontava la morte dei figli di Niobe provocata da Apollo e da Artemide, ipotesi plausibile, poiché ci si aspetta che un peana riguardi anche il dio Apollo e la sua famiglia498.

Snell, in passato, ha provato ad identificare il contenuto del peana chiamato in causa dallo Pseudo-Plutarco con un componimento molto frammentario (Pae. XIII Sn.-M.). Egli concordava con Zuntz nell’individuarvi un riferimento ad un matrimonio nella parte iniziale, e suggeriva, appunto, che si trattasse del matrimonio di Niobe. Tuttavia, osserva Rutherford, non ci sono dettagli che possano confermare tale ipotesi, né si spiegherebbe la presenza di Atena, il cui epiteto compare al v. 5 del peana in questione, al matrimonio di Niobe499.

In realtà già D’Alessio, prima di Rutherford, ha confutato la proposta di Snell, affermando addirittura che i resti del testo non presentano le caratteristiche proprie dei peani500. Lo studioso, invece, avanza l’ipotesi che il peana menzionato nel De Musica si possa identificare con un altro frammento attribuito alla raccolta dei peani pindarici, cioè il peana XXII. In esso,

495 Cannatà Fera 1992, 81. 496 Ercoles 2017, 38-39 e 39 n. 1.

497 Rutherford 2001, 55. Diversa, invece, l’opinione di Ercoles, che identifica questo Antippo con l’antenato

dell’Argonauta Polifemo citato da Hygin. Fab. 14.

498 Rutherford 2001, 55-56. 499 Rutherford 2001, 422. 500 D’Alessio 1997, 34.

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infatti, è menzionato l’imeneo, una composizione tipica delle cerimonie nuziali (ὑμεναίῳ (b) 4). Inoltre, vi è nominato Pelope, fratello di Niobe501. Infine, D’Alessio segnala la presenza di uno scolio molto difficile da leggere, sul fondo della colonna del papiro che tramanda il peana XXII, dove ricorrono due volte alcune forme della parola ἁρμονία, in un contesto che suggerisce la discussione su un’invenzione502.

Ritengo che la proposta di D’Alessio sia convincente, e benché, effettivamente, anche il peana XXII sia piuttosto frammentario, di sicuro esso contiene più dati a favore di una sua identificazione col peana descritto in Mus. 15, 1136c rispetto al peana XIII, in cui tali dati sono praticamente inesistenti.

Il contenuto dell’ultima citazione di Pindaro riguarda una delle invenzioni attribuite a Terpandro – l’invenzione del genere degli skolià – che, in quanto tale, è già stata analizzata nella sezione a lui dedicata503.

Mus. 28, 1140f = Pindarus fr. 125 Sn.-M.

καθάπερ Πίνδαρός φησι (fr. 125 Sn.-M.), καὶ τῶν σκολιῶν μελῶν Τέρπανδρος εὑρετὴς ἦν. Secondo Pindaro, Terpandro fu anche l’iniziatore dei canti chiamati skolià.

È interessante, tuttavia, considerare il carme pindarico a cui la critica associa questo passo pseudo-plutarcheo. Infatti, in nessuna delle composizioni di Pindaro giunte per intero, né in alcuno dei suoi frammenti, è fatto esplicito riferimento all’invenzione degli skolià da parte di Terpandro. Tuttavia, Boeckh per primo504 ha ritenuto di poter associare l’informazione pseudo-plutarchea ad un frammento pindarico in cui, plausibilmente, si menziona un’altra invenzione attribuita a Terpandro, quella del barbito505:

Pind. fr. 125 Sn.-M.

τόν ῥα Τέρπανδρός ποθ' ὁ Λέσβιος εὗρεν πρῶτος, ἐν δείπνοισι Λυδῶν

ψαλμὸν ἀντίφθογγον ὑψηλᾶς ἀκούων πακτίδος

501

La presenza di Pelope al matrimonio della sorella pare confermata dalla pittura vascolare. Per approfondimenti cf. D’Alessio 1997, 44 e Schmidt 1990, 221-226.

502 D’Alessio 1997, 43-44. 503 Cf. §2.2.6.

504

La stessa scelta è effettuata da Snell e Maehler.

505 Il frammento è tramandato da un passo di Ateneo, in cui si dà anche una spiegazione dei versi pindarici (Ath.

14, 635b-d): Σαφῶς Πινδάρου λέγοντος τὸν Τέρπανδρον ἀντίφθογγον εὑρεῖν τῇ παρὰ Λυδοῖς πηκτίδι τὸν βάρβιτον (Ath. 14, 635d). Cf. Cannatà Fera 1992, 103.

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Il lesbio Terpandro, dunque, allora per primo lo inventò (il barbito), durante i banchetti dei Lidi, ascoltandone il suono dalla sonorità che risponde a quello dell’acuta pektìs.

Ciò che potrebbe indurci a concordare con la scelta della critica di riferire il passo pseudo- plutarcheo a tale frammento è l’affinità di argomento: dal momento che Pindaro in questo componimento attribuisce a Terpandro l’invenzione di uno strumento, nulla vieta che poco prima o poco dopo, nel testo per noi perduto, egli attribuisse al poeta di Lesbo anche l’invenzione del genere degli skolià. Tuttavia, è anche possibile che Pindaro abbia parlato di queste due invenzioni di Terpandro in diversi componimenti.

Un altro elemento che potrebbe spingerci a concordare con la tendenza prevalente della critica– ma si tratta di una semplice suggestione – è il fatto che effettivamente gli skolià venivano eseguiti in un contesto simposiale e che, nel fr. 125, sono menzionati i δεῖπνα Λυδῶν. Ora, è noto che il termine δεῖπνον, originariamente, si riferiva al momento del pasto in generale e, quindi, non era legato necessariamente al contesto simposiale. Tuttavia, a partire dal V sec. a.C., ad Atene, il termine δεῖπνον iniziò a riferirsi esclusivamente al momento della cena, durante la quale si rispettava un ordine stabilito: prima il pasto, che poteva articolarsi in più portate, poi il dolce e, infine, si giungeva al momento del simposio506. Del resto Cannatà Fera osserva che, stando a quanto riferisce Proclo (Chrestom. 60 Severyns), il barbito era uno strumento particolarmente indicato nell’accompagnamento di canti simposiali e aggiunge che il fr. 125 proviene proprio da uno skoliòn indirizzato a Ierone di Siracusa507.

Dunque, potremmo ipotizzare che Pindaro abbia menzionato i δεῖπνα Λυδῶν riferendosi a un simile contesto, che contemplava anche il momento simposiale. Di conseguenza, potremmo supporre, in via del tutto teorica, che Pindaro, facendo riferimento a questo stesso contesto simposiale, attribuisse a Terpandro non solo l’invenzione del barbito, ma anche quella degli skolià.