Il superamento del sistema dei ruoli contrattuali 3.10
3.10.1 Dalla mansione al ruolo: il rilievo delle competenze professionali
L’evoluzione più recente dei modelli di progettazione dell’attività lavorativa è caratterizzata dai contesti di attività ove sono in atto processi difficili da analizzare e da ricondurre a stan-dard, che richiedono quindi il ricorso a forti livelli di autonomia e discrezionalità professio-nale.
Si tratta tipicamente di moduli operativi sviluppati originariamente all’interno della forma organizzativa professionale e innovativa, oppure nell’ambito delle funzioni manageriali, ma ormai diffusi anche in altri contesti.
In questi ambiti, il concetto di mansione, che costituisce il principale strumento ancora oggi giuridicamente operante al fine di definire i ruoli contrattuali, costituito dall’insieme di attività da svolgere da parte di un soggetto avente uno specifico profilo professionale defi-nito con le declaratorie contrattuali, può essere nella pratica utilmente sostituito da quello di ruolo professionale, che dà evidenza ad aspetti come il riferimento non a singole attività ma a un insieme coerente di prestazioni considerato nella sua globalità e continuità e fina-lizzato a un risultato significativo; la presenza quindi di un processo operativo da seguire e ottimizzare nel suo svolgimento; il contributo qualitativo al problem solving in un contesto di relazioni con altri ruoli organizzativi.
In pratica il contenuto del ruolo non è identificabile isolandolo dal contesto, ma è definito in base alle attese di comportamento e di requisiti di prestazione, che derivano dall’inseri-mento in un sistema di ruoli tra loro interdipendenti e collocati in un ambito organizzativo specifico; rimanda quindi a una capacità propria del soggetto di rispondere in modo
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le e originale con le proprie risorse di conoscenza, abilità e comportamento ai requisiti della situazione operativa.
Il concetto di ruolo comporta:
- il riferimento non a singole attività, ma a un ciclo di prestazioni considerato nella sua globalità e continuità e finalizzato a un risultato significativo;
- la presenza di un processo operativo da seguire e ottimizzare nel suo svolgimento;
- il contributo qualitativo al problem solving in un contesto di relazioni con altri ruoli or-ganizzativi;
- il rilievo della gestione del rischio e dell’inaspettato.
L’analisi del contenuto dei ruoli professionali comporta che si rivolga l’attenzione a tre diverse dimensioni (Goeta, 1992): quella tecnica, quella relazionale e quella gestionale. Il modello proposto per questo tipo di analisi articola il concetto di professionalità, riferito a uno specifico ruolo o profilo professionale, identificando le implicazioni di ciascuna compo-nente, come segue:
- componente tecnica: quanto è complesso il processo per produrre gli output finali di competenza del ruolo professionale e quindi quale è l’entità delle conoscenze scien-tifiche e delle metodologie professionali necessarie per operare utilmente. Ciò si lega anche al grado di incertezza che è necessario affrontare per produrre risultati non sem-pre definibili a priori di fronte alla probabilità di avere imsem-previsti, varianze, eccezioni, in numero e importanza notevoli;
- componente relazionale: quanto complesse e delicate sono le relazioni da attivare e mantenere per ottenere risorse, informazioni, supporto, consenso da interlocutori su cui occorre esercitare influenza senza disporre della leva gerarchica. Si tratta tipica-mente dei rapporti con clienti/fornitori sia esterni che interni all’azienda;
- componente gestionale: quanto ampie e delicate sono le eventuali risorse economiche e/o umane assegnate, cioè sotto la responsabilità del ruolo. Questo riguarda quindi la rilevanza della responsabilità decisionale e comunque di utilizzo, riferita in modo com-binato a risorse economiche e collaborazione di persone.
Il concetto di ruolo supera le contrapposizioni tra aspetto individuale/organizzativo o di gruppo e tra oggettività dei compiti/soggettività individuale.
Infatti, il contenuto del ruolo non è identificabile isolandolo dal contesto, ma è definito in base alle attese di comportamento e di requisiti di prestazione, che derivano dall’inseri-mento in un sistema di ruoli tra loro interdipendenti e collocati in un ambito organizzativo specifico.
Inoltre il concetto di ruolo professionale rimanda a una capacità propria del soggetto di
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rispondere in modo personale e originale con le proprie risorse di conoscenza, abilità e com-portamento ai requisiti della situazione operativa.
Seguendo questa traccia di ragionamento si possono quindi evidenziare facilmente le di-versità di contenuto e orientamento che distinguono diversi ruoli e posizioni di lavoro, siano essi semplici o complessi.
Nell’ambito degli scenari evolutivi richiamati emerge come aspetto centrale anche la grande rilevanza assunta dalle differenze individuali di performance e si afferma l’esigenza di introdurre adeguati approcci metodologici e valide tecniche di gestione che tengano ade-guatamente conto delle determinanti della performance lavorativa.
Il concetto di competenza professionale costituisce in questa logica il riferimento fonda-mentale, e anche il necessario complemento del concetto di ruolo.
Questo se si riconosce che le competenze professionali possedute dalle persone sono la base per una positiva risposta alle richieste di ruolo che emergono da un contesto orga-nizzativo complesso; e quindi rappresentano per le stesse aziende un oggetto centrale di attenzione e di investimento. Ma valorizzare le competenze significa innanzitutto disporre di strumenti per definirle e misurarle.
La letteratura scientifica e le applicazioni aziendali in materia di competenze professio-nali nei più diversi settori di attività configurano uno spettro di definizioni molto ampio.
Per orientarsi, è utile distinguere due tipologie di approcci, che possiamo denominare rispettivamente top-down e bottom-up.
La prima visione è di tipo business-oriented: l’attenzione è alle competenze distintive aziendali e quindi a quell’insieme di capacità e abilità che consentono a un’impresa di offrire un particolare beneficio ai clienti. In pratica, le competenze richieste al personale vengono dedotte dall’individuazione delle core competencies aziendali, cioè dal tipo di conoscenze, capacità, abilità operative sulle quali, a livello organizzativo e non del singolo operatore, si fonda il successo dell’organizzazione.
Il secondo approccio è invece di tipo bottom-up. In sostanza l’attenzione è posta in via privilegiata sulle caratteristiche richieste al lavoratore perché la sua prestazione professio-nale assuma un profilo di elevata qualità e rendimento. Il contesto organizzativo e aziendale (tanto più la strategia) viene considerato solo parzialmente e indirettamente. Si guarda alle prestazioni come vengono fornite in un contesto aziendale e si cerca di capire quali sono le determinanti di una prestazione eccellente, riferita in genere ai lavoratori che vengono considerati best performer nella categoria o mansione di appartenenza. Questo filone è stato sviluppato soprattutto da studi condotti da psicologi, attenti quindi agli aspetti individuali, più che a quelli aziendali. In questo campo i principali contributi sono stati dati da Boyatzis (1982) e Spencer & Spencer (1995) i quali, non solo hanno codificato specifiche tipologie di competenze che si sviluppano nei contesti organizzativi, ma hanno anche individuato delle metodologie per la loro valutazione.
Usando la definizione di Lyle e Signe Spencer, molto operativa ai fini gestionali, «Per competenza intendiamo: una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente
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legata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito» (Spencer & Spencer, 1995:30). Essi individuano cinque tipi di caratteristiche personali, che definiscono la «competenza profes-sionale», alcune delle quali maggiormente osservabili, quali la conoscenza intesa come in-formazioni e nozioni di cui una persona dispone su un campo specifico; le skill, intese come abilità di compiere un certo compito fisico o mentale; altre competenze, meno osservabili, come quelle connesse alla personalità di un individuo quali il concetto di sé, definito come atteggiamenti, valori e l’immagine di sé di una persona; le motivazioni: intese come schemi mentali, bisogni e spinte interiori che guidano, dirigono e selezionano il comportamento di una persona verso certi scopi e certe azioni e lo allontanano da altri (ciò che un soggetto costantemente pensa o desidera, e che guida e dirige il suo comportamento); e i tratti, cioè le caratteristiche fisiche e reazioni costanti a situazioni o informazioni.
Questi due tipi di modelli di analisi delle competenze possono naturalmente essere adat-tati e applicati ricercando una migliore aderenza alle diverse realtà operative. Se adeguata-mente strutturati essi portano a esplicitare ed eventualadeguata-mente graduare gli aspetti rilevanti di un’attività lavorativa, in modo da dettare soluzioni negli ambiti di intervento di cui l’azienda dispone. Essi partono dalla constatazione della grande rilevanza assunta dalle differenze individuali di performance e finiscono in questo per porre notevole enfasi sui fattori di com-portamento.
Allargando l’attenzione dal ruolo in sé allo spazio o ambiente organizzativo in cui lo stes-so si svolge, diventa utile considerare due distinti piani di valutazione della performance e dei comportamenti che la esprimono con riferimento a uno specifico ruolo lavorativo (Rebo-ra, 2017):
- la performance di compito, che presenta una relazione diretta con il «cuore» tecnico dell’organizzazione, perché ne esegue i processi tecnici o perché contribuisce a mante-nerne o servirne i requisiti tecnici;
- la performance di contesto, che non interessa direttamente i processi tecnici, ma contri-buisce a costituire, mantenere e migliorare nel tempo le condizioni di ambiente organiz-zativo, sociale e psicologico che favoriscono o promuovono un efficace funzionamento del nucleo tecnico.
A sua volta, la performance di contesto può essere analizzata nelle due componenti:
- della performance di contesto nel gruppo o nell’unità di appartenenza, che include atti-vità come l’aiuto offerto ai colleghi, la collaborazione volontaria (anche al di là delle prescri-zioni organizzative formali), la perseveranza nell’azione, tutte orientate a conferire efficacia alla rete sociale e organizzativa e a rafforzare il clima psicologico nel quale è inserito il fun-zionamento tecnico vero e proprio;
- della performance di contesto nell’organizzazione, che comprende comportamenti che
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contribuiscono direttamente all’efficacia dell’organizzazione nel suo insieme, ad esempio attraverso la promozione e tutela degli interessi e dell’immagine dell’organizzazione nelle relazioni di confine e quindi nell’ambiente esterno, oppure nel contribuire a un’innovazione di rilevanza aziendale e non solo settoriale.