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Modelli gerarchici e modelli matriciali

Nel documento LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE (pagine 84-88)

I modelli di gestione delle risorse umane 2.1 e le innovazioni organizzative in sanità

2.1.1 Modelli gerarchici e modelli matriciali

Le aziende sanitarie si presentano ad oggi nel pieno di un intenso processo di cambiamento che richiede l’utilizzo di forme organizzative innovative e il passaggio da modelli di tipo fun-zionale a modelli di tipo divisionale e/o a matrice (Bergamaschi, 2009; Lega, 2018).

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Storicamente, infatti, nelle aziende sanitarie le principali configurazioni organizzative facevano riferimento a modelli di tipo funzionale, che prevedono un’aggregazione in aree omogenee per ambito di attività/specializzazione (amministrazione, acquisti, ufficio tecni-co, produzione divisa a sua volta per ambito specialistico – medicina, chirurgia, riabilitazione ecc.).

Il principale vantaggio di queste forme è dato dalla possibilità di raggiungere elevati livelli di efficienza e di specializzazione; per contro, il principale svantaggio è quello di ottenere un’organizzazione che lavora per «compartimenti stagni», dove ogni unità operativa opera autonomamente, spesso con il rischio di scarso coordinamento con le altre e con difficoltà nel perseguire obiettivi comuni.

A fronte dell’elevato livello di specializzazione presente nelle aziende sanitarie e del li-vello di innovazione scientifica e tecnologica, tutto ciò ha portato nel tempo a (Bergamaschi, 2009; Lega, 2018):

- una struttura con una dimensione orizzontale molto ampia (elevato numero di unità operative), e tendenzialmente piatta (con pochi livelli gerarchici);

- una netta distinzione tra il livello strategico e il livello operativo;

- la presenza di meccanismi di integrazione prevalentemente delegati alle relazioni ge-rarchiche.

Tali modelli, pur generando un forte sviluppo del know-how e garantendo economie di specializzazione, hanno reso nel tempo difficile il controllo sulle singole parti dell’azienda e non sono stati in grado di rispondere agli elementi di complessità dei processi che andavano sempre più aumentando.

La disponibilità di tecnologie sempre più sofisticate, la maturazione dell’utenza, sempre più attenta agli aspetti di qualità del servizio, l’evoluzione dei bisogni di salute e in partico-lare l’invecchiamento della popolazione e la cronicizzazione delle malattie, le forti pressioni derivanti dall’ambiente istituzionale di riferimento e l’introduzione di meccanismi sempre più fortemente competitivi, hanno spinto nell’ultimo ventennio le aziende a rivedere i propri modelli organizzativi, alla ricerca di soluzioni che consentissero maggiore flessibilità e inte-grazione (Bergamaschi, 2000 e 2009).

Le aziende sanitarie hanno quindi razionalizzato la propria struttura organizzativa, adot-tando modelli divisionali o a matrice.

Riaggregazione delle responsabilità e delle attività per grandi aree di bisogno, risultato o mercato, valorizzazione dell’autonomia dirigenziale, aggregazione delle diverse unità opera-tive secondo schemi divisionali, introduzione di livelli gerarchici intermedi tra il vertice stra-tegico e le unità operative, rappresentano alcuni dei must dei nuovi modelli organizzativi.

In particolare, nella struttura divisionale l’azienda viene «segmentata» per linee di pro-dotto/servizio o per mercato. Tipicamente, ciascuna divisione presenta al suo interno una

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struttura funzionale, con alcune funzioni duplicate tra una divisione e l’altra, mentre altre funzioni, non specifiche, vengono centralizzate (ad esempio amministrazione e sistemi in-formativi).

Il principale vantaggio del modello divisionale è la possibilità di generare maggiori forme di cooperazione e coordinamento tra unità operative che partecipano, seppure con compe-tenze distintive, a un unico processo di erogazione del servizio. Per contro, il principale svan-taggio è la difficoltà nello sfruttamento di economie di scala e di sinergie nell’utilizzo delle risorse. Anche in questo caso si può manifestare il rischio di creazione di aziende distinte all’interno della stessa azienda.

Concretamente l’applicazione di criteri divisionali nelle aziende sanitarie ha determinato (Bergamaschi, 2009):

- sul territorio, l’articolazione in gruppi definiti di popolazione identificati o su base geografica (distretti) o sulla base dei bisogni di cui sono portatori (per esempio gli anziani);

- negli ospedali, l’introduzione di aggregazioni organizzative sufficientemente ampie da rendere possibile l’attribuzione di responsabilità sull’intero processo di erogazione.

La struttura a matrice rappresenta invece un mix delle precedenti e cerca di superarne gli svantaggi. Tale struttura si sviluppa su entrambe le dimensioni: una tipicamente funzionale (specializzazione) e un’altra divisionale (linea di prodotto/servizio o mercato). Ha dunque il vantaggio di coniugare specializzazione e coordinamento, sebbene tendenzialmente pre-senti più alti costi di gestione. La struttura si presenta inoltre più articolata in quanto si svi-luppa su due dimensioni, e richiede meccanismi di governo che consentano di mantenere un adeguato equilibrio tra le due.

Concretamente l’applicazione del modello a matrice nelle aziende sanitarie ha deter-minato:

- sul territorio, un superamento del modello di tipo funzionale in cui la responsabilità uni-ca procedeva in senso vertiuni-cale lungo la specialità presieduta da ciascun servizio (me-dicina di base, igiene pubblica, veterinaria ecc.), a favore di soluzioni che prevedono un’organizzazione delle risorse e una responsabilità della produzione in capo alle arti-colazioni territoriali (distretti) o, alternativamente, la responsabilità della programma-zione dei consumi in capo al distretto (ruolo di committenza) e quella della produprogramma-zione in capo ai dipartimenti, attraverso un processo di programmazione tra i due;

- negli ospedali, la presenza congiunta di due linee di responsabilità, una gerarchi-co-funzionale legata alla tipologia di attività erogata (ad esempio dipartimento di medicina) e una di integrazione e coordinamento professionale (ad esempio dipar-timento di urgenza).

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2.1.2 Il telelavoro

Il passaggio a una concezione più moderna e flessibile dell’organizzazione presuppone an-che la possibilità di introdurre all’interno delle aziende sanitarie modelli in grado di conciliare i tempi di lavoro con quelli della famiglia, al fine di migliorare la qualità di vita del lavoratore.

In questo contesto il telelavoro inteso come «la prestazione di lavoro eseguita dal di-pendente in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’infor-mazione e della comunicazione che consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce» (DPR n. 70/1999), rappresenta uno strumento fondamentale, soprattutto a fronte del fatto che non sempre le leve tradizionali (sistemi di incentivazione) hanno impatto sui progetti di miglioramento delle performance.

Investire in strumenti tesi a migliorare le condizioni lavorative migliora le capacità rela-zionali dei dipendenti e crea le precondizioni per raggiungere performance più adeguate.

Oltre a conciliare i tempi di lavoro e di vita, il telelavoro consente un impiego flessibile delle risorse umane su settori di attività in carenza di personale, una razionalizzazione delle risorse logistiche, una tendenziale riduzione delle assenze dal servizio, un miglioramento del benessere organizzativo.

Le aziende sanitarie hanno ampia autonomia nell’individuazione delle attività telelavorabi-li. L’attività, inoltre, può essere effettuata in vari luoghi (domicilio o locale del lavoratore; altra sede; altra amministrazione). Con lo sviluppo delle nuove tecnologie è possibile, inoltre, un’al-tra forma di telelavoro definito «mobile», che prevede l’utilizzo del computer portatile e del te-lefono cellulare che consentono di svolgere l’attività in luoghi che non sono di pertinenza né del lavoratore, né dell’amministrazione (Piano per l’utilizzo del Telelavoro. Ministero della Salute)

CRITERI DI INDIVIDUAZIONE DELLE ATTIVITÀ TELELAVORABILI Attività che richiedano l’utilizzo di un applicativo dedicato;

Attività che consentano accessibilità dall’esterno all’applicativo dedicato;

Attività che consentano la tracciabilità del dato (intesa come verificabilità dell’attività media effettuata);

Attività che non comportino lo spostamento di materiale cartaceo (atti e documenti);

Attività trasversali a più strutture;

Attività che richiedano un’implementazione o lo smaltimento di lavoro arretrato;

Attività semplici che prevedano un lavoro di immissione, estrazione o elaborazione dati.

(Continua)

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Tabella 2.1 – Le attività telelavorabili: criteri e tipologie.

Fonte: Piano per l’utilizzo del Telelavoro. Ministero della Salute. Direzione generale del Personale, Organizzazione e Bilancio (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_minpag_1117_listaFile_itemName_2_file.pdf)

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