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Il mercato del BuyOut in Italia

Come è già stato discusso, il mercato del BuyOut in Italia, più nello specifico del

Leveraged BuyOut in Italia, ha subito delle limitazioni a causa del quadro

normativo-civilistico e fiscale sfavorevole fino alla riforma del diritto societario. Altro limite che l’Italia ha dovuto affrontare è il sistema finanziario, in particolare, in passato esistevano esclusivamente operatori disposti a concedere finanziamenti sulla base di garanzie patrimoniali, come gli immobili.

Negli anni a venire la situazione è migliorata sia dal lato giuridico che dal lato del sistema finanziario: la riforma del diritto societario ha sancito la liceità delle operazioni di leveraged buy-out e ciò ha portato l’ingresso di investitori specializzati in Italia; dal punto di vista del mercato, le operazioni italiane di LBO si differenziano notevolmente da quelle statunitensi. Nella realtà americana il

leveraged buy-out è connotato come strumento aggressivo correlato a scalate ostili,

operazioni molto rare in Italia dato che il contesto economico italiano è caratterizzato da un tessuto imprenditoriale costellato da società di piccole e medie dimensioni non quotate in Borsa, e sono proprio tali imprese le protagoniste di operazioni di LBO. Questo ha permesso sia uno sviluppo più omogeneo di tale tecnica finanziaria, sia la possibilità di cogliere gli aspetti rigenerativi dell’impresa piuttosto che quelli di speculazione finanziaria. La più grande differenza tra le operazioni di LBO applicate negli USA e quelle applicate in Italia è dovuta alla quotazione sul mercato di Borsa: in particolare, il sistema aziendale italiano, storicamente bancocentrico, continua ad essere prevalentemente dipendente dal finanziamento bancario e questo rende le aziende italiane poco appetibili agli occhi degli investitori istituzionali, ragion per cui non si può parlare di LBO come strumento ostile.

In Italia, il settore degli operatori professionali e specializzati nell’attività di investimento nel capitale di rischio nasce a metà degli anni ’80, con l’unione di nove società finanziarie private e di emanazione bancaria che diedero vita

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all’AIFI139. Fino al 1986, l’attività di investimento nel capitale di rischio non era

consentita alle aziende di credito, solo successivamente, con delibera del CICR140 (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) e con l’emanazione della

normativa da parte della Banca d’Italia, anche questi istituti furono abilitati all’attività di investimento, seppur nel rispetto di precisi vincoli. Lo stimolo allo sviluppo del settore è stato principalmente segnato dall’istituzione dei fondi chiusi di diritto italiano nel 1993, che sono divenuti il principale strumento per lo svolgimento dell’attività di investimento nel capitale di rischio delle imprese non quotate. “L’espansione del Private Equity è stata rapida a partire dagli anni ’90;

mentre, in una prima fase (tra il 1986 e il 1996) il numero limitato e stabile di operatori svolgeva attività di investimento in capitale di rischio, il vero e proprio sviluppo del settore si osserva tra il 1997 e il 2001, quando la diffusione delle nuove tecnologie dell’ITC ha attratto risorse finanziarie favorendo la nascita di nuovi operatori. Successivamente è seguito un periodo di relativa stabilità, interrotto, nel 2005, dall’avvio di un nuovo ciclo, contraddistinto da uno sviluppo ulteriore del settore e da segnali di rinnovata vivacità del segmento dell’early stage”141.

La presenza diffusa di imprese familiari comporta la nascita di problemi dovuti alla successione generazionale o a crisi create da inefficienza imprenditoriale: nel territorio italiano, la tecnica del leveraged buy-out si è sviluppata per consentire cambiamenti di proprietà e il ricambio generazionale, trasferendo il controllo e la gestione nelle mani di manager/dipendenti motivati e ambiziosi, che hanno piena conoscenza dell’azienda target e del settore in cui opera. Avviene così un cambiamento del proprio ruolo: da manager/dipendenti a imprenditori.

139 L’Associazione nasce nel maggio del 1986 per sviluppare, coordinare e rappresentare, in sede

istituzionale, i soggetti attivi sul mercato italiano nel Private Equity e nel Venture Capital. Rappresenta fondi e società che operano attraverso il capitale di rischio, investendo in aziende con l’assunzione, la gestione e lo smobilizzo di partecipazioni prevalentemente in società non quotate. Scopo finale dell’investimento è realizzare un piano di sviluppo delle aziende partecipate.

140 È l’autorità creditizia con compiti di alta vigilanza in materia di credito e di tutela del

risparmio, di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria. Esso delibera, di fatto

sulla base delle proposte dalla Banca d’Italia, sulle misure di politica monetaria e creditizia necessarie per realizzare gli obiettivi di politica economica del Governo.

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Nello specifico, il mercato italiano del buyout inizia a svilupparsi dagli anni ’90, grazie ad operazioni come quelle di Seat e Ducati142. La crescita più significativa

si verifica tra il 1995 e il 2001, quando il contesto politico – economico porta ad una contrazione delle transazioni. La maggiore crescita si è registrata tra il ’98 e il 2000 passando da 38 operazioni con un volume di €242 milioni a 76 operazioni con un volume di €1550 milioni. Si registra una forte ripresa nel 2003143. Tuttavia,

negli anni a seguire, si è registrato un andamento discontinuo: nel 2004 si registra un calo delle operazioni di 59,43 punti percentuali rispetto al 2003, mentre, nel 2005 ricomincia la fase di ripresa fino al 2007 con un tasso di crescita medio annuo del 6,14%. Inoltre, in questo periodo, le società coinvolte in operazioni di BuyOut sono state piccole e medie imprese. Nel 2009 e nel 2010, il settore vede una contrazione a causa della crisi finanziaria, ma, nonostante ciò, attestano il netto vantaggio delle operazioni di BuyOut per ammontare investito144. Dunque, la crisi

finanziaria ha contribuito a mantenere elevato il numero delle operazioni di BuyOut poiché le stesse prevedono “processo di ristrutturazione e di rilancio

aziendale, ove la società risultante sarà un’azienda con un business profondamente ottimizzato, nelle aree di attività e nei processi operativi, sia interni all’azienda che d’interfaccia con l’ambiente esterno”145.

Il rapporto AIFI sul mercato italiano del 2017146 evidenzia una raccolta sul mercato

pari a 5.063 milioni di euro, con un +285,6% rispetto ai 1.313 milioni del 2016. Il dato risulta fortemente influenzato dall’attività di alcuni soggetti istituzionali, che nel corso dell’anno hanno effettuato closing di significative dimensioni. Nel corso dell’anno, gli operatori che hanno svolto almeno una delle attività di investimento, di disinvestimento o di raccolta di capitali sono stati 139, in crescita del 5% rispetto ai 133 dell’anno precedente.

142 Cfr. Operazioni di buyout: il caso Ducati Motor Holding, MFFinance

143 BOLLAZZI F. & SOLDATI M., Il Mercato Italiano dei BuyOut: un’Analisi dal 1998 al 2004,

p. 2 e segg.

144 AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt

145 CERRATO G. & VIETTI E., Il Business Plan in un’Operazione di Leverage Buyout, op. cit. 146 AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt

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Evoluzione dei capitali raccolti (Euro Mln)

NB: sotto la linea bianca, la raccolta sul mercato. Nel grafico è inclusa la raccolta dei soggetti istituzionali (CDP Equity, F2i, Fondo Italiano di Investimento, Invitalia, Ventures, QuattroR)

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Evoluzione dell’attività di investimento

Fonte: AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (2017)

Come negli anni precedenti, il segmento di mercato per il quale è stato rilevato il maggior numero di investitori attivi è stato quello dei buyout, seguito dal comparto dell’expansion. Infatti, sul versante della distribuzione della raccolta per tipologia di investimento target si prevede che la maggior parte dei capitali affluiti al mercato verranno utilizzati per la realizzazione di operazioni di buyout (54%); seguono gli investimenti nel comparto dell’expansion (23%) e dell’early stage (18%).

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Distribuzione della raccolta per tipologia di investimento target

Fonte: AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (2017)

Le operazioni che si sono registrate sul mercato italiano del Private Equity e del

Venture Capital sono state 311 per un controvalore di 4.938 milioni di euro, il 40%

in meno rispetto al 2016, anno in cui le risorse complessivamente investite sono state pari a 8.191 milioni di euro. Il dato del 2017 risulta comunque il terzo valore più alto registrato nel mercato italiano negli ultimi 10 anni, dopo le cifre raggiunte nel 2016 e nel 2008.

Con riferimento alla tipologia di operazioni realizzate, nel 2017 i buyout hanno continuato a rappresentare il comparto del mercato verso il quale è confluita la maggior parte delle risorse, seguiti dagli investimenti in infrastrutture e del segmento dell’expansion. In termini numerici, con 133 investimenti realizzati l’early stage si è posizionato ancora una volta al primo posto, seguito dai buyout (90 operazioni), mentre le operazioni di expansion sono state 45. Il segmento del

Turnaround continua a mantenere un ruolo di nicchia, anche se in crescita rispetto

all’anno precedente, con la realizzazione di 10 investimenti, contro i 3 del 2016, mentre l’ammontare è passato da 66 a 111 milioni di euro.

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Distribuzione degli investimenti 2017 per tipologia

Fonte: AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (2017)

Sempre nel corso dell’ultimo anno, l’ammontare disinvestito è cresciuto del 3% rispetto al 2016, raggiungendo un ammontare di 3.752 milioni di euro contro i 3.656 milioni registrati l’anno precedente. “Per quanto concerne le modalità di

cessione delle partecipazioni, la vendita a soggetti industriali ha rappresentato il canale di disinvestimento preferito, seguito dalla cessione sui mercati quotati

(IPO, cessione post-IPO e SPAC). Il riacquisto da parte

dell’imprenditore/management ha rappresentato la tipologia di exit più utilizzata in termini di numero, grazie soprattutto ad un’operazione che ha coinvolto più fondi, con 62 exit seguito dalla vendita a partner industriali”147.

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Evoluzione della distribuzione % del numero di disinvestimenti per tipologia

Fonte: AIFI, Il Mercato Italiano del Private Equity, Venture Capital e Private Debt (2017)