ap-prova alzi la mano. E approvato.
P r e s i d e n t e : — N. 2°.
1 Comuni devono dividersi in classi, nei riguardi delle n. 2°. Classificazione
. . . 7 • 7 • Comuni.
loro funzioni e dei loro ordinamenti ; gli attuali vincoli di con- c o n t r o l l o e tutela.
trotto e di tutela saranno diminuiti ai Comuni maggiori.
C a l d e i - i n i (Novara): lo credo assai grave ed assai perico-loso per la questione delle autonomie locali il dividere i Co-muni in classi, e su questo numero, io non parlerò se non contro la divisione dei Comuni.
Noi non possiamo prescindere da quanto abbiamo letto nella relazione di Milano. 1 Comuni che si vorrebbero di prima classe, non sarebbero oltre i quattrocento; di altre classi, secondo il concetto di Milano, ve ne sarebbero 7850.
Ora io dico e domando se facciamo cosa buona, nel pro-pugnare l'autonomia di 400 Comuni, per abbandonare quella di 7850. Mi basta avere accennato a queste cifre, perchè cia-scuno di noi, senz'altro, vegga che — quando noi avremo affermato con voto solenne che vi sono 400 Comuni i quali appartengono alla prima classe, e 7850 alle altre classi, e che la tutela differisce nel senso che va diminuita per i primi e conservata od aggravata per i secondi — non avremo certo bene provveduto alle autonomie dei corpi locali.
Nella relazione di Milano si dice che i Comuni minori, non di prima classe, appartengono in gran parte alla Lom-bardia, al Piemonte ed al Genovesato. Questa è per me una ragione di più che dimostra quanto sia perniciosa la divi-sione dei Comuni. Chi conosce la vitalità dei Comuni in queste regioni, comprenderà che il voto nostro non potrebbe pro-durre una buona impressione su queste popolazioni. La
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lità di questi Comuni è tale che, nonostante le disposizioni delle leggi del 1859, 1865, 1889 e 1898, che prevedono le unioni facoltative e coattive dei Comuni, credo non sia av-venuto un caso che due Comuni abbiano perduta la loro autonomia per fondersi fra di loro, cancellando il proprio nome. La relazione di Milano dice: « Se voi volete mante-nervi la zavorra dei 7500 Comuni minori, non otterrete l'au-tonomia dei Comuni maggiori ». Non regge l'argomento; se i colleghi che appartengono al Parlamento vogliono confessarlo, potranno confermare che la maggiore -tutela e in ispecie le restrizioni introdotte nella nuova legge, relativamente ai mutui, non sono per i piccoli Comuni, sebbene per i grandi. Se tante opposizioni si fanno alle autonomie locali, si deve piuttosto ai grandi che ai piccoli Comuni. Confessiamolo; non ci vuole una grande capacità per amministrare i Comuni. Ci vuole una grande integrità ed un grande disinteresse. (Benissimo!).
L'insieme di quei pochi articoli che riflettono tutti gli atti del Consiglio comunale, che sono sottoposti a tutela, com-prende, per la massima parte, provvedimenti che non eccedono per nulla un atto ordinario di amministrazione di un buon padre di famiglia. Sono atti che quasi tutti i Consiglieri fanno per conto proprio come per conto del Comune e ne co-noscono perfettamente la portata.
Per decidere se si possano o non dividere i Comuni in due classi, sopratutto sotto l'aspetto della tutela, bisogna che ci mettiamo bene d'accordo sul significato di questa parola ed in che essa differisca dal controllo e dalla sorveglianza. 11 con-trollo e la sorveglianza mirano a far rispettare la legge, così com'è, da tutti gli enti amministrativi del Regno. La tutela, invece, è la integrazione di quegli enti che si suppone non ab-biano capacità sufficiente per amministrare convenientemente i propri beni. Qui interviene un tutore, ed il corpo morale si ritiene come un inabilitato od un interdetto (mi si passi la parola). Il tutore entra ad esaminare le materie deliberate e giudica nel merito.
Quanto alla sorveglianza, essa tende a far rispettare la legge da tutti: quindi, i Comuni non si devono distinguere in piccoli e grandi rispetto alla sorveglianza.
Ma nemmeno rispetto alla tutela, trovo che si debba distin-guere fra Comuni maggiori o minori. Si dice: badate che i Comuni maggiori hanno certe spese che dovrebbero essere
127 ritenute necessarie, mentre per i Comuni piccoli sono del tutto facoltative. Ma se ciò avviene in alcuni casi, come ad esempio, per le spese di illuminazione, io non ho che a ricordare il dis-posto della legge attuale, per dimostrare subito che certe spese che sono facoltative per tutti i Comuni, quando un Co-mune abbia presa una deliberazione di massima, può renderle obbligatorie. Vi sono spese che i Comuni piccoli non faranno; per esempio, quelle per l'insegnamento secondario, l'insegnamento superiore; ma allorquando un Comune, o per convenzione, o per deliberazione abbia preso impegno di sostenere le spese d'istruzione secondaria, oppure — unendosi in consorzio — le spese di istruzione superiore (come Torino), queste spese di-ventano obbligatorie e quindi questa divisione delle spese in facoltative e necessarie; non costituisce ragione per suddivi-dere i Comuni in due classi.
Esiste, è vero, una differenza enorme di fatto fra Comune e Comune; ma altro è una differenza di fatto, altro è una distinzione di diritto. Non posso approvare che vi sia un Co-mune, che è stato bene amministrato, che ha amministratori integri e zelanti, il quale debba subire una tutela non ne-cessaria e diversa da quella di altri Comuni.
Quindi prego i Colleglli di volere ben meditare, nel delibe-rare questa divisione, quale passo enorme si farebbe contro l'autonomia della grandissima maggioranza dei Comuni del
Regno. (Approvazioni).
' r i c c i (Siena): Io sono d'accordo col collega Calderini, e nemmeno non vorrei distinzioni o vincoli per quei Comuni che hanno dimostrato di non averne bisogno. Diverso invece è per quelli che hanno dimostrato averne necessità. I dissesti am-ministrativi non sono dei Comuni minori; quattromila Comuni non hanno un soldo di debito, e mi pare che ciò provi che hanno amministrato bene e che non sarebbe quindi giusto che si sottoponga chi amministra bene e si liberi chi ammi-nistra male.
Siccome gli stessi Delegati di Milano nella loro relazione dicono Ghe la ingerenza del Governo è una pedanteria buro-cratica, non capisco perchè vogliano regalarla ai piccoli Co-muni, da cui le Provincie attingono la sovraimposta che è la loro risorsa. Non debbono i rappresentanti delle Provincie (che rappresentano gli interessi collettivi dei Comuni) deliberare che alcuni Comuni siano sottoposti ad una tutela e
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mente i Comuni che concorrono di più — poiché il cespite principale è l'imposta fondiaria. La tutela perpetua imposta a questi Comuni sarebbe una vera ingiustizia.
Io sono quindi contrarissimo a questa proposta. Il Comune non è una creazione artificiale delia legge; esso rappresenta, non solo un aggregato d'interessi, ma quel complesso di sen-timenti morali che legano la popolazione ad un dato luogo. Non v'è differenza nella indole delle funzioni essenziali fra Comune e Comune. Nelle grandi città si ha un complesso di interessi maggiori, nelle campagne si hanno interessi più limitati; ma le funzioni sono le stesse ; è questione di estensione maggiore o minore, ma rimangono le stesse.
La base di un ordinamento amministrativo deve essere questa: che gli enti dei quali si compone, abbiano la forza indispensabile per raggiungere il loro scopo. Abbiamo in Italia 8250 Comuni; di questi nientemeno che duemila hanno popo-lazione inferiore ai mille abitanti. Capisco che si conservi l'au-tonomia, quando è un mezzo per conseguire lo scopo, e quando la vita autonoma rappresenti i mezzi per conseguirlo. Ma do-mando io se Comuni di cento abitanti...
P r e s i d e n t e : L'oratore entra a parlare del N. 3. Debbo pregarlo di limitare la discussione all'art. 2.
' r i c c i (Siena): Vi ha una connessione strettissima fra il contenuto di due articoli; e quindi è impossibile scindere la discussione.
P r e s i d e n t e : È vero; già, Ella ha sempre ragione: con-tinui pure.
T i c c i (Siena): Io dico che, se volete il decentramento, bi-sogna rafforzare la vita dei Comuni, perchè una conseguenza del decentramento è di assegnare ai Comuni ed alle Provincie delle funzioni che non hanno ora. Ora, domando, credete voi che questa idea si possa attuare con Comuni che non rag-giungono i mille abitanti ? L'assurdità di questo fatto è sal-tata agli occhi alla stessa rappresentanza di Milano, che ha compreso il bisogno della costituzione di questi Comuni in con-sorzio; la necessità dell'unione dei Comuni è sempre stata rico-nosciuta dalla Commissione di Milano. Se ha riconosciuto questa necessità di riunione per adempiere alle funzioni, non pare più logico che si stabilisca che i Comuni i quali, per scarsità di popolazione, dovrebbero aggregarsi, si uniscano, si fondano, eliminando ì consorzi, che sono contìnua causa di dissensi?
Ca-129 pisco In difficoltà. In Italia non si sopprime mai niente, nem-meno una caserma dei Carabinieri ! Ma le classi dirigenti de-vono sapere affrontare i pregiudizi ; se no, di riforme non se ne fanno, ed io sento il coraggio, a costo di impopolarità, di fare il voto perchè si sopprimano quei Comuni che per le loro condizioni non fossero in grado di adempiere alle funzioni che la legge loro attribuisce.
P r e s i d e n t e : Dunque Ella ai num. 2 e 3, ove si propone la distinzione dei Comuni in classi, sostituirebbe la proposta che si aboliscano quelli che sono sotto i mille abitanti.
F o s e l i i n i (Benevento) : La relazione della Deputazione di Milano pare un capitolo di Carlo Cattaneo, ma io spero che si respingerà questa proposta, e che, in quest'aula dove si è fatta l'Italia, non si prenderà una deliberazione così grave e perico-losa. I nostri sono voti più o meno platonici; ma la questione fu già portata al Congresso di Roma del 1891, ed io la combatto in tutto quanto può toccare i sentimenti delle nostre regioni, che soffrirono tanto e che vollero l'unità d'Italia col regime dei Comuni così com'è. Parlo a nome del mezzogiorno d'Italia.
Il voler mutare il Comune da quello che è, è un voler spezzare le sante reliquie delle nostre tradizioni che noi vo-gliamo conservare intatte. La divisione è inutile, perchè prime resterebbero quelle capitali che sarebbero più esiziali delle capitali antiche le quali per forza di sacrifizio e di volontà abbiamo voluto distruggere. Questa divisione di Comuni rap-presenterebbe specialmente nelle nostre contrade qualche cosa di difficilissimo ad attuarsi. Avremmo 400 Comuni di prima classe e 5000 di seconda.
Ma di questi 400 si dovrebbe fare una seconda divisione; i grossi e grandi Comuni di Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo! Ma come rappresentante del Mezzogiorno, vi dico che, così facendo, noi vedremo novellamente manifestarsi gli antichi attriti fra Provincia e Comune centrale, vedremo rinno-vate quelle capitali che si vollero radunate tutte in Roma ca-pitale d'Italia! Avrete Milano caca-pitale della Lombardia, Na-poli capitale del Mezzogiorno, avrete i Comuni accentratori ! Ma il piccolo Comune anche di 100 abitanti ha il suo campanile, le sue tradizioni, le sue glorie e le vuole eternate. E sa-remo noi rappresentanti delle Provincie italiane che vorremmo spezzate queste sante tradizioni ?
In questo momento non discutete un argomento amministra-9 *
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tivo, ma un argomento alto, solenne, un immenso concetto politico che fece titubare gli statisti più insigni d'Italia! Si-gnori ! Voi non farete questo ; non infrangerete queste tradizioni '
^ i T o ^ t e i l n »"««•" (Tonno): Senza prendere la cosa così dall'alto,
z i o n i °r t o a l l e l o r o f m" 1 0 n o n v o r r e i 01 l mpeciassimo nella questione dell'autonomia Emendamento Daneo dei Comuni. Sull'autonomia dei Comuni piccoli o grandi non
è il caso di discutere, e della loro riduzione, siano pure in-feriore ai mille abitanti, per carità non discutiamo in Italia; ricordiamo che è il paese delle grandi memorie, ma anche il paese delle guerre civili, e noi qui si sarebbe fatta cattiva cosa. I Comuni vivono con ciò che possono fare; l'autono-mia è l'unica forza che possa dare onestà ed intelligenza a quelle piccole vite; piuttosto occupiamoci di quanto vi sia di discutibile nella formóla di Milano.
I Comuni secondo esso devono dividersi in classi riguardo od all'ordinamento od alle funzioni. Io non dividerei completa-mente il pensiero dei relatori, nel senso che io fermerei l'at-tenzione sulle funzioni e non parlerei di ordinamento. Relati-vamente alle funzioni, mi perdoni il collega Calderini, noi non siamo qui per restringere i vincoli attuali, nemmeno per i piccoli Comuni. Siamo qui per vedere fin dove onestamente si può attendere una maggiore libertà, siamo qui per vedere fin dove deve arrivare la tutela attuale, salvo le riserve ultime sulla Giunta amministrativa elettiva.
I relatori si sono fermati timidi davanti alla paura di esten-dere di troppo questa maggiore libertà, là dove, nei centri minori, non giungendo più il controllo dell'opinione pubblica, e della stampa, certe necessità funzionali sono evidentemente maggiori che nei grandi Comuni. Per esempio può essere c o m -pito dal governo di Roma, Milano, Torino, ecc., il dare una dote a teatri, a spettacoli di musica, mentre non è compito dei piccoli Comuni. Volendo andare su questo terreno, io ri-cordo certi Comuni che si rovinarono per costrurre un teatro, ed è quindi opportuno che per essi questi limiti esistano, per le grandi città no. Ricordiamo che vi sono grandi Comuni che eserciscono i trams come servizio pubblico, ma nessuno con-siglierebbe di lasciare ai piccoli Comuni di esercire ferrovie, anche se locali. Sono elementi così diversi di vita, e quando sì domanda libertà da vincoli, l'estenderla fin là, non lo ri-tengo opportuno; ma nessuna restrizione nè di funzioni, nè di controllo oltre quelle attuali.
131 Distinzione fra Comuni ! Ma, se per l'istruzione, per l'igiene, per la viabilità vi sono funzioni, tanto per i grandi municipi come per i piccoli, ben minori sono le esigenze per i piccoli Comuni. Per la sanità pubblica, abbiamo visto quanto grave sia l'adempimento di certi obblighi; ad ogni modo diverse sono le ragioni di igiene, di edilizia, di viabilità ; diversi e più gravi sono gli obblighi per l'illuminazione, per l'istru-zione nei grandi centri. Io comprendo che la distinl'istru-zione ri-sieda nella natura delle funzioni. Tutti i Comuni hanno le loro funzioni, ed essi, qualunque siano, devono adempiere a tutti i bisogni che la collettività rende ragionevoli.
Se invece uscisse di qui un voto per un diverso ordina-mento, si potrebbe temere, di quelli che non vogliono toccare in nessun modo l'Autorità comunale, che per mezzo di forme di bilanci od altro, si chiedesse che diversamente fossero am-ministrati i piccoli Comuni. Questo no. Eguale corpo eletto-rale, eguali diritti. Anche i piccoli Comuni hanno forse la conoscenza delle grandi cose, come hanno la.conoscenza delle piccole cose; hanno la conoscenza del loro Municipio ed hanno diritto di amministrarsi direttamente il loro Comune. Però noi abbiamo visto che possono essere bene amministrati tanto i piccoli Comuni quanto i grandi. Non faccio il paragone del collega Calderini che sia più cattiva l'amministrazione delle grandi città. Noi non lo facciamo, e qualunque possano essere state le apparenze, non lo crediamo.
Nelle grandi città, per la maggiore vitalità, vi è l'opposi-zione tenace nelle amministrazioni, tutto si mette in luce, la stampa giudica e fa del bene, vi è l'opinione pubblica per trovare le marachelle, per discuterle e mettere tutto in luce. Si nascondono invece molto facilmente le malversazioni ed i domini delle famiglie, e tutto quanto succede nei piccoli Comuni, e le Provincie ne sanno qualche cosa. Nei C o -muni piccoli vi sono famiglie che dominano, vi sono quelli che monopolizzano le cariche ; tutto questo invece non può accadere nelle grandi città.
Ma, lasciando a parte tutto questo, io propongo questa mo-difica sulla formola proposta : non si parli di ordinamento che può portare più in là di quanto vogliono i Relatori ; non par-liamo di dividere i Comuni in classi ; anche a me pare che il criterio della popolazione che sia. piuttosto di 1000 abitanti che di 2 o 3 mila, come pure di essere capoluogo di
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dario o mandamento, non soddisfa. La popolazione non è criterio assoluto ; vi sono Comuni i quali hanno agglomerati di 10,000 abitanti che hanno carattere contadinesco, mentre vi sono invece Comuni di 4-000 con carattere urbano ; quindi non conviene .entrare in certi particolari. Perciò lasciamo al legislatore lo studiare, in modo più ponderato di quanto possa uscire dalla nostra discussione, quante e quali debbano essere le classi e quanti e quali i criteri.
Un concetto giusto è quello che non vanno messi tutti in-sieme, che le stesse regole non valgono per tutti; è giusta la distinzione in classi poiché gli stessi obblighi imposti per igiene, istruzione, viabilità, ecc., non sono eguali negli uni e negli altri.
Che debbano essere distinti i Comuni maggiori per quanto riflette i vincoli del controllo, mi pare che basti ad acque-tare il timore sollevato qui, la considerazione che non si tratta di aggravare nessuno, ma anzi e solo di liberare, fin dove sia possibile, i vincoli di tutela. Questi vincoli sono già meno rigorosi per le grandi città, perchè ivi l'opposizione è sempre viva, e l'opera della stampa continua ed efficace.
Mi riassumo dunque colla formale proposta che si sopprima la differenza dì ordinamento dei Comuni, limitandolo alle