Nelle province dello Stato Romano, l’agricoltura era la principale occupazione degli abitanti nonostante la gran povertà della contadi-nanza e della plebe, nel 1661 le genti dello Stato ecclesiastico dimi-nuivano e il vescovo di Senigallia disse che in soli dodici anni nella sua diocesi, che comprendeva il comune di Mondolfo, le anime si erano ridotte da 46.000 a 39.000 e lo Stato di Urbino era infinita-mente diminuito di popolo40.
Dopo la fase di ritirata dei coltivatori dalle campagne e l’avanza-re delle terl’avanza-re incolte, pl’avanza-rende campo nelle Marche il rinnovamento dell’organizzazione agricola, a partire dalle colline e dai fondovalle pianeggianti della costa, dove vengono creati un numero crescente di poderi condotti a mezzadria, un patto questo tra il proprietario del terreno e la famiglia del coltivatore che connoterà l’agricoltura marchigiana per un lunghissimo periodo. La conduzione mezzadrile costava poco e garantiva una forza lavoro permanente, regolata da consuetudini concordate dai nonni o dai genitori e quindi comu-nemente accettate. Il sistema seppure ben strutturato in base alla grandezza della famiglia, della forza di lavoro animale, della dimen-sione della casa e degli annessi, venne tuttavia appesantito dal patto colonico, e con l’aumento del peso padronale urbano e la mancanza di ammodernamenti strumentali cresceva la povertà dei contadini41.
40 Francesco Corridore. La popolazione dello stato romano (1656-1901). 1906. Pagg.
11,12.
41 Sergio Anselmi. L’agricoltura marchigiana nella dimensione storica. 1985.
Nel XVIII secolo i sudditi dello Stato erano vessati dai tributi che servivano per la maggior parte a mantenere il fasto della corte Ponti-ficia42. La popolazione torna ai livelli del XIV secolo e le città inglo-bano nelle mura i quartieri sorti all’esterno, dando luogo a notevoli addensamenti popolari, ma la gran parte delle genti è soprattutto costituita da famiglie disperse nelle campagne, con la forza lavoro necessaria per coltivare un terreno43.
Ogni cittadina è “metropoli” di un contado coloniale dal quale trae derrate alimentari per se e da avviare al commercio. La proprie-tà terriera, frazionata in piccole uniproprie-tà poderali anche quando è di grande estensione, vende legnami e granaglie traendone eccellenti entrate. Esse consentono di abbellire i municipi, chiusi nell’orgoglio delle proprie mura, ove scuole, accademie, cappelle musicali e sale di recitazione dan tono a piccole società aristocratiche, spesso latineg-gianti. Il benessere degli abbienti corrisponde al malessere degli altri che si farà pesante nel corso dell’Ottocento quando la popolazione marchigiana cresce. Ma con la presenza di un buon artigianato urba-no, della pesca, del piccolo cabotaggio e, soprattutto dell’impianto agricolo mezzadrile, raramente la povertà assume il volto drammati-co della disperazione44.
Nella metà del 1800 lo Stato Ecclesiastico era il meno popola-to dei regni e principati italiani, la popolazione si sviluppava lenta-mente, mentre nelle altre regioni stante le riforme e le conseguenti migliorate condizioni economiche, era avvenuto un notevole incre-mento45.
42 David Silvagni. La Corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX. 1883, vol. II pag.
26.
43 Sergio Anselmi. L’agricoltura marchigiana nella dimensione storica. 1985.
44 Sergio Anselmi. Introduzione a L’Italia odierna: Marche. 1986.
45 Francesco Corridore. La popolazione dello stato romano (1656-1901). 1906. Pagg. 42.
Pianta catastale di Mondolfo del 1825. Archivio di Stato di Pesaro. Da “Mondolfo - Le mura delle Marche 1999”.
Nella terra di Mondolfo le rilevazioni censuarie e la conta delle anime nella Parrocchia di Santa Giustina che corrispondeva all’in-tero comune, evidenziano una lenta ma progressiva crescita della popolazione, l’aumento degli abitanti si registrava in particolare nei casali delle campagne:
46
Rilevazione Anno Popolazione
di Mondolfo note
Censimento 1656 1.831 Anime da 3 anni
in su
Censimento 1701 2.218 Due parrocchie
Censimento 1708 2.421 Due parrocchie
Censimento 1736 2.372
Censimento 1782 2.961
Censimento 1810 3.435 Con Stacciola
Censimento 1816 3.071
Parrocchia S. Giustina 1827 3.370
Censimento 1833 3.460
Parrocchia S. Giustina 1844 3.420 Parrocchia S. Giustina 1847 3.492
Censimento 1853 3.660
Censimento 1861 3.610
Censimento 1871 3.693
Censimento 1881 3.856
Censimento 1901 4.309
46 Francesco Corridore. La popolazione dello stato romano (1656-1901). 1906. Censi-menti pag. 82.
Nel 1815 all’epoca del Congresso di Vienna, la campagna di Mondolfo suddivisa in rioni era complessivamente popolata da 1864 persone, il rione di Marotta corrispondente alla pianura costiera, era costituito da 30 famiglie e 203 abitanti. Nel 1852 a distanza di 37 anni la campagna del comune contava una popolazione 2042 abi-tanti e il rione di Marotta era cresciuto a 43 famiglie e 340 persone47. L’anno seguente compare il colera e la fascia costiera di Pesaro Urbi-no sarà la più colpita dall’epidemia, nella comunità di Mondolfo il morbo coglie 214 abitanti e per 89 di questi la malattia sarà mortale.
Un grande terrore si diffonde e molti abitanti abbandonarono le proprie case per spostarsi in altre regioni48.
Le pestilenze che comparivano con ciclica frequenza erano fa-vorite dalle insalubri condizioni di vita esistenti soprattutto nelle case coloniche. I casolari di campagna oltre che avere una funzione abitativa, erano per i contadini il centro della loro attività, la stalla, la cantina, il granaio e il fienile costituivano parti integranti della casa, dove tutto era disponibile senza bisogno di trasporto, per queste ca-ratteristiche le case coloniche erano straordinariamente funzionali ma anche malsane perché maltenute dai proprietari, tanto che at-traverso i pavimenti sconnessi delle cucine e delle camere filtravano cattivi odori dalle stalle sottostanti49.
Si ritiene che sin dal secolo XVIII alcuni abitanti del territorio di Mondolfo fossero dediti alla pesca e al commercio del pesce, non come attività principale, ma come integrazione all’economia conta-dina del podere. La pesca avveniva perlopiù sottocosta e, quando si prendeva il largo lo si faceva quasi esclusivamente nella bella stagio-ne. Tra le tecniche di pesca impiegate quella di “tirare la tratta”, che
47 Alessandro Berluti. Mondolfo e Marotta nel Risorgimento, 2011 cap. XXV pagg. 437-438.
48 Alessandro Berluti. Mondolfo e Marotta nel Risorgimento, 2011 cap. XXVIII pag.
468.
49 Sergio Anniballi. Edoardo Noya, 2019. La comunità rurale pag. 37.
consiste nel gettare una lunga rete in un ampio tratto di mare sotto-costa con l’ausilio di una barca, poi restringerla verso riva tirando da due lati con la sola forza delle braccia di due gruppi di pescatori50.
Altra tecnica originale che evidenzia il legame con la terra di quei pescatori: venivano calate in acqua fascine di spini ben avviticchia-ti, raccomandate ad una fune con il capo che restava galleggiante a fior d’acqua mediante un gavitello di materia leggera. Nella notte i crostacei entravano nelle fascine, poi i pescatori si avvicinavano col battello, prendevano il capo della fune e lentamente tiravano le fa-scine, infine con un forte sbalzo le facevano saltare nello scafo prima che i pesci si fossero sciolti dei rami. Terminata la pesca la barca ve-niva lasciata lungo la spiaggia o alla foce del Cesano dove si era soliti ormeggiare le imbarcazioni, mentre la vendita del pescato avveniva nei luoghi stabiliti del Castello di Mondolfo, per i pescatori tornati a casa, magari in quelle abitazioni più prossime al litorale, c’era la fatica dei campi a cui attendere51.
Nella zona costiera di Marotta, la popolazione residente era for-mata essenzialmente da agricoltori organizzati in nuclei famigliari multipli, con una dotazione di 10/12 ettari di terreno, attrezzatu-re semplici, l’aiuto di animali da soma e la forza lavoro di tutti i componenti famigliari. In seguito le proprietà dei fertili terreni della pianura vennero maggiormente frazionate, le case coloniche sul ter-ritorio aumentarono senza tuttavia determinare un aumento della popolazione, poiché a causa delle difficili condizioni di vita nelle campagne, molti giovani emigrarono verso il continente americano.
Il patto colonico divenne sempre più gravoso per i coloni e nel rapporto di intermediazione tra padroni e contadini venne inserito il
“fattore”, questa figura era generalmente un buon conoscitore dell’a-gricoltura, rispondeva ai proprietari delle terre e si adoperava per
50 Alessandro Berluti. Mondolfo e Marotta nel Risorgimento, 2011 cap. II pagg. 23-24.
51 Alessandro Berluti. Mondolfo e Marotta nel Risorgimento, 2011 cap. II pagg. 24-25.
incrementare i loro patrimoni, la sua opera contribuiva di riflesso a progredire le tecniche di coltivazione, la produttività dei terreni e aumentare il carico di lavoro dei mezzadri52.
Nel 1871 la superficie del comune di Mondolfo di 22,25 Kmq veniva coltivata a seminativo per 1.900 ettari pari a 19 kmq, il terri-torio era ormai privo del manto boschivo e le abitazioni sparse nelle campagne erano complessivamente di 295 casolari, contro le 344 case agglomerate nel paese di Mondolfo. Anche nella pianura costie-ra predominava il paesaggio agcostie-rario che aveva accentuato le cacostie-ratte- caratte-ristiche del seminativo semplice e “vitato”, prevalevano le colture del grano, del mais e dell’olivo con la presenza ai bordi dei campi di filari di vigna, con la vite spesso alberata sui pioppi53.
52 Sergio Anselmi. L’agricoltura marchigiana nella dimensione storica. 1985.
53 Giacinto Scelsi. Statistica della Provincia di Pesaro Urbino 1881, Parte prima: Condi-zioni Economiche, Tavola Sinottica I.