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4. Metodi della ricerca: questioni teoriche e scelte operative

4.3. Paleo-idrologia: spunti di riflessione

L’analisi dei contesti alluvionali di San Rossore e, in particolare, dell’Area 5 ha reso necessaria una riflessione metodologica anche sulle teorie paleoidrologiche, discusse in letteratura. La ricerca ha,

1972 BELTRAME 2014, p. 114; GREEN 2004, p. 244. 1973 BELTRAME 2014, p. 114; NICOLARDI 2011, p. 10. 1974 BELTRAME 2014, p. 114. 1975 SEMERARO ET ALII 2012. 1976 TSAI 1993. 1977CAMPANA-FORTE 2003. 1978MAROZAS-ZACK 1990.

1979 CAMPANA-FORTE 2003; FORTE 2002;PEUCKER ET ALII 1978. 1980 CAMPANA-FORTE 2003.

in tal senso, sviluppato interessanti spunti di indagine, che possono consentire di caratterizzare, in maniera sempre più analitica, i processi formativi dei depositi ceramici dell’Area 5.

In tal senso, le procedure statistiche, già applicate in altre sperimentazioni di idraulica antica, sono state adoperate nell’ambito della piattaforma GIS per valutare alcune cara

tteristiche fisiche del flusso alluvionale, quali: l’intensità e la portata del flusso antico.

Rispetto ai vari calcoli idrologici, proposti in letteratura, è stata operata una selezione delle misurazioni applicabili all’area in esame, mancando una serie di dati utili alla ricostruzione dei fenomeni paleoidrogeologici, ma si propone, in questa sede, una sintesi metodologica. Ad esempio, Baker ha proposto una formula per calcolare l’intensità del flusso antico alluvionale, utilizzando questa espressione DS/1.65d=0.06, dove D è la profondità del flusso, S è l’energia del versante e d è il diametro della particella intermedia1981. Nel nostro caso, il campione indagato è solo una minima parte in

estensione dell’intero canale e poco rappresentativo nella determinazione di parametri quali l’energia del versante o profondità del flusso.

Relativamente alla portata alluvionale, Brown suggerisce una formula, che può essere applicata ad ogni canale moltiplicando le sezioni trasversali al di sotto del livello dell’acqua per la velocità di flusso1982. Il calcolo della portata alluvionale è risultato di estremo interesse ai fini della ricerca e, in

special modo, di facile applicabilità, anche se è stato necessario rielaborare alcuni dati necessari ai calcoli richiesti. In primo luogo, è stato calcolato il livello dell’acqua in relazione ai flussi alluvionali riconosciuti, misurando la distanza tra le superfici delle fasi individuate nella sequenza stratigrafica e associate a fenomeni di dissesto idrogeologico.

Nella letteratura relativa all’Alluvial Geoarchaeology è evidente un grande interesse nei confronti di alcuni parametri fisici caratterizzanti gli eventi alluvionali; molte ricerche hanno sviluppato tecniche di analisi del trasporto dei sedimenti nell’ambito della ricostruzione idrogeologica degli eventi alluvionali antichi.

In letteratura, Il calcolo del trasporto di sedimento è legato alla stima della capacità di flusso derivante dalla misura dell’energia potenziale dell’acqua (Pe) =Mgh, dove m è la massa d’acqua, g è

l’accelerazione gravitazionale e h è l’altezza sul dato1983.

Nello specifico, per calcolare la capacità dell’acqua di un corso d’acqua di passare in un punto per un dato tempo (portata o Q), di solito misurata al secondo (S-1), è stata sviluppata la seguente

equazione: Q=WDV

dove W rappresenta l’ampiezza del fiume; D è la media della profondità e V è la velocità dell’acqua1984.

Per calcolare la profondità del flusso è possibile utilizzare la formula elaborata da Foulds, che prende in considerazione l’altezza della cresta della roccia e l’area compresa tra la base della piana alluvionale e la cresta1985.

Il flusso idrico, inoltre, perde lungo il suo percorso a valle la sua energia potenziale1986, risultante

dalla formula Ω=pgQS dove Ω è il potere, espresso in Watts per metri (Wm-1), p è il peso specifico

dell’acqua (1000 Kg m-3), g è l’accelerazione gravitazionale (9.8 ms-1), Q è la portata e s è la pendenza1987.

La potenza associata al trasporto di particelle di varie dimensioni è relativa alla capacità di scorrimento,

1981 BROWN 1997, p. 328. 1982 BROWN 1997, p. 320. 1983 BROWN 1997, p. 322. 1984 BROWN 1997, p. 322. 1985 FOULDS ET ALII 2014.

1986 BROWN 1997, p. 322.L’energia potenziale si esprime per unità di alveo (ω) ω= Ω/W. 1987 BROWN 1997, p. 322.

che è possibile stimare riccorendo alla seguente formula ω=τ0V ,dove τ0 è la pendenza calcolata in base

all’equazione τ0=pghsinS1988.

Una volta determinati questi parametri associati alla capacità di flusso, è possibile stimare il traporto dei sedimenti, ricorrendo a due equazioni:

J=f1 (V-Vth) o J=f2(ω)

dove J è il trasporto dei detriti per unità di ampiezza, V è la velocità media di flusso, Vth è la

velocità di flusso per la soglia di trascinamento dei sedimenti, ω è la potenza del torrente e f è una funzione1989. V e Vth possono essere rimpiazzate da τ0 e τth; queste ultime rappresentano i limiti rispettivi

della capacità di scorrimento a valle e il limite della capacità di scorrimento per la soglia di trascinamento1990. Il valore alto di J si verifica quando è necessaria più energia per spostare grandi

quantità di sedimento1991.

Relativamente al trasporto delle particelle nel corso di un evento alluvionale, Brown distingue, inoltre, diverse tipologie di sedimento, individuando un carico dissolto o sospeso (che rappresenta i depositi in soluzioni) e un carico d’alveo (che è costituito dal materiale non trascinato dal flusso)1992. La

prima tipologia di sedimento si sposta in relazione alla velocità dell’acqua o si diffonde in risposta al gradiente di concentrazione e deriva da fenomeni erosivi del suolo presente all’interno e all’esterno del sistema della piana alluvionale1993. Rientra nella stessa categoria di sedimento il carico dilavato, che si

trova in permanente sospensione su certe velocità di flusso o su determinate capacità di scorrimento1994.

Alcune particelle possono essere trasportate in sospensione nell’ambito di un flusso moderato al di sotto delle velocità richieste per il trasporto iniziale del materiale dell’alveo1995. Quando il flusso

aumenta una particella dapprima vibra, in un secondo momento ruota su se stessa, poi inizia a saltare fino ad essere coinvolta in collisioni e, infine, raggiunge una sospensione1996.

In generale, sono necessarie maggiori capacità e velocità di scorrimento per muovere particelle più pesanti e grandi; in particolare, come mostrato dalla curva modificata di Hjulstrom (Fig. 30), con particelle caratterizzate da un diametro di almeno 0,05 mm la velocità aumenta, perché la coesione aumenta con le dimensioni dei sedimenti; mentre nel caso di detriti limo-argillosi (sotto i 0,063 mm) si raggruppano formando concentrazioni maggiori di depositi sedimentari, tali da non riuscire a rimanere in sospensione e, così, cadere, entrando a far parte del materiale costituente dell’alveo1997. La curva di

Hjulstrom evidenzia anche la linea della velocità in caduta che differenzia la sedimentazione dal trasporto, indicando che la velocità critica iniziale richiesta per il movimento o trascinamento è maggiore di quella richiesta per il trasporto1998.

1988 BROWN 1997, p. 322. 1989 BROWN 1997, pp. 322-323. 1990 BROWN 1997, p. 323. 1991 BROWN 1997, p. 323. 1992 BROWN 1997, p. 323. 1993 BROWN 1997, p. 323. 1994 BROWN 1997, p. 323. 1995 BROWN 1997, p. 325. 1996 BROWN 1997, p. 325. 1997 BROWN 1997, p. 323. 1998 BROWN 1997, pp. 323-324.

Figura 30. Curva modificata di Hjulstrom (da BROWN 1997, p. 324, fig. A2).

La forza necessaria per muovere una particella su di un alveo è denominata forza critica trattiva e può essere calcolata ricorrendo all’equazione di Du Boys:

Qs=k τ0 (τ0 - τth) ,

dove Qs è la portata del sedimento, mentre K è la costante1999.

Per il calcolo della forza trattiva si ricorre alla più formula di Shield: Qs =10Qs( (τ0 − τth)d50

(psp − l) e all’equazione di Meyer-Peter e Muller2000;

Qs2/3=250Q2/3S-42.5d 50

Tutte le equazioni della forza trattiva sono limitate, però, nell’applicabilità rispetto alle condizioni di traporto del carico dell’alveo e alle caratteristiche litologiche di quest’ultimo2001.

Dal momento che nel flusso alluvionale il “carico” immerso assume un certo peso, è possibile calcolarlo ricorrendo alla seguente formula:

Js=[(Ps-p)p]msgVs ,

dove Ps è peso specifico del sedimento, p il peso specifico dell’acqua, ms la massa sospesa per unità d’area2002.

Sempre nell’ambito della valutazione del trasporto sedimentario, occorre prendere in considerazione il coefficiente di frizione, derivante dalla velocità di caduta Vf per quella di sedimento sospeso Vs ; la particella è tenuta in sospensione se la turbolenza fornisce una velocità verticale uguale quella di caduta della particella stessa2003. In tal modo è possibile calcolare il carico sospeso, ricorrendo

all’equazione:

JsVf/Vs = ωes(1-eb)

1999 BROWN 1997, p. 324.

2000 BROWN 1997, p. 324. Assumendo che la densità dell’acqua di 988kkg m-3 una formula equivalente semplificata è: Qs=0.253

(τ0 - τth)2/3.

2001 BROWN 1997, p. 324. 2002 BROWN 1997, p. 325. 2003BROWN 1997, p. 325.

dove eb è l’efficienza del materiale dell’alveo, che ha valore zero al di sotto della soglia del

trasporto2004.

La velocità di trasporto del sedimento risulta essere, inoltre, influenzata dalla forma dell’alveo, perché se presenta forma arrotondata può ridurre il potere di trasporto es, che rappresenta l’efficienza

del sedimento sospeso2005.

A. G. Brown riconosce nell’ambito dei fenomeni alluvionali non solo il trasporto ma anche il trascinamento dei detriti dell’alveo2006. Quest’ultimo fenomeno risulta essere correlato all’energia di

trasporto, da cui dipendono la velocità e profondità di flusso, da cui è possibile trarre una stima paleoidrologica del flusso paleo-alluvionale2007. Nei casi in cui questi fattori sono analoghi e in assenza

di coesione, la velocità necessaria per lo spostamento delle particelle è direttamente proporzionale al loro diametro2008. Nella maggioranza dei sedimenti fluviali è possibile ricorrere all’analisi della

dimensione delle particelle sedimentarie, ricorrendo ad una descrizione quantitativa dei sedimenti; questa stima è utile alla ricostruzione dei parametri idraulici antichi2009. I metodi impiegati in questo

genere di analisi prevedono la separazione di un campione nella frazione della dimensione e la misura della massa di ciascuna frazione; la massa è poi separata in classi dimensionali, da cui si ricava una curva cumulativa (che assume una forma lineare o S), ricavata dalla dimensione dei granuli per sedimento2010.

Il metodo usato varia in base alla dimensione del sedimento; ciottoli maggiori possono essere misurati singolarmente, mentre per detriti, come ghiaia, sabbia grossolana e fine, nonché limi si ricorre alla setacciatura (anche in acqua) o sedimentazione o analisi scientifiche (quali: sedigrafia, fotometria) per limi e argille2011.

In pratica, solo la frazione del materiale dell’alveo è utile a stimare la paleo-velocità di flusso, applicando la teoria della forza trattiva2012. Questa procedura è applicabile solo ai granuli maggiori

trasportati; così come il carico sommerso, è consigliata la funzione di Schield per la stima del trascinamento delle particelle e l’equazione Du Boys per il calcolo della profondità di flusso2013.

Per quanto riguarda il lavoro di ricerca affrontato, i frammenti ceramici, diversamente dai clasti litologici, non sono stati adoperati per calcolare il trasporto del sedimento trascinato dalla paleo- corrente alluvionale. Considerato il diverso grado di frammentazione e il differente valore dimensionale dei frammenti analizzati non è stato possibile formulare alcuna analisi paleo-idrogeologica, al pari di quelle sin qui discusse.

La ricostruzione degli eventi alluvionali, riconosciuti nella sequenza stratigrafica, ha consentito la restituzione della frequenza, nonché della magnitudine dei fenomeni analizzati.

In generale, nell’ambito degli studi dell’Alluvial Archaeology è piuttosto diffusa l’analisi della frequenza delle paleo-alluvioni. Il metodo più usato per la predizione dell’alluvione si basa sulla ricorrenza casuale delle alluvioni di una data magnitudine; questo significa che più lungo è il periodo di tempo intercorso tra un evento e l’altro, di maggiore intensità potrebbero essere le alluvioni future2014.

La media temporale che intercorre tra due eventi alluvionali di uguale magnitudine è il periodo di ritorno o intervallo di ricorrenza (RI)2015. In tal modo, un’alluvione con intervallo di ricorrenza di 100

anni potrebbe essere maggiore di quella con RI di 2 anni2016. Le alluvioni, che superano una particolare

2004 BROWN 1997, p. 325.

2005 BROWN 1997, p. 325. Bagnold fornisce un valore di efficienza es(1-eb) pari a 0.01. 2006 BROWN 1997, p. 327.

2007 BROWN 1997, p. 327. 2008 BROWN 1997, p. 327. 2009 BROWN 1997, p. 327.

2010 BROWN 1997, p. 327. Procedure statistiche consentono di elaborare una media della dimensione dei sedimenti.

2011 BROWN 1997, p. 328. La natura e misura del campione è importante affinchè la curva sia realmente rappresentativa

dell’unità campionate; per ghiaie grossolane larghi campioni sono essenziali (10-20 kg) laddove i campioni di limi e sabbie possono essere 1-2 kg e per limo e argilla 0.1 kg è abbastanza.

2012 BROWN 1997, p. 328.

2013 BROWN 1997, p. 328. Alla funzione di DuBoys sono associate le equazioni di Manning Limerinos o di Colebrook White. 2014 BROWN 1997, p. 331.

2015 BROWN 1997, p. 331. 2016 BROWN 1997, p. 331.

soglia di intensità, sono classificate da maggiori a minori e assegnate a periodi di ritorno in relazione all’alluvione maggiore e registrate nell’ambito del periodo di ritorno dell’evento maggiore2017. È così

possibile ricostruire una serie di durate parziali, ma se si fa riferimento all’alluvione più rilevante nell’arco di un anno si definisce la serie delle durate annuali2018.

La magnitudine alluvionale, invece, è calcolata nell’ambito del periodo di ritorno e si esprime attraverso una curva (dalla forma lineare)2019. Questa procedura, però, presenta un grosso limite, dal

momento che non prende in considerazione il cambiamento climatico, come fattore incisivo nella determinazione della magnitudine e del periodo di ritorno2020. Del resto, il metodo probabilistico offre

un utile strumento di confronto e di descrizione delle alluvioni, fornendo, inoltre, un’evidenza del cambiamento climatico2021.

Altre formule sono state ideate in grado di associare frequenza e magnitudine alluvionale; a tal proposito, Benson ha ideato un metodo per incorporare alluvioni storiche nelle serie alluvionali; per quanto riguarda le durate parziali la formula è RI=n+1/m dove RI è l’intervallo di ricorrenza in anni, n è il numero di anni di record e m è il grado di elementi posseduti2022. La formula di Benson rivisitata è

utile alla determinazione della magnitudine alluvionale (m1) che è calcolata: m1= A+(H – A/T – A)(m-A)

dove m1 la magnitudine raggiunta, A il numero di alluvioni annuali che eguagliano o superano gli eventi

minori, H è la lunghezza del totale delle alluvioni registrate negli anni e T è la lunghezza del periodo monitorato2023. Una delle criticità di questo tipo di approccio è che il momento iniziale delle serie

alluvionali deve essere nota e non è applicabile se solo un evento storico è noto e vi è un grosso intervallo cronologico tra una data alluvione e quella di magnitudine maggiore nelle serie registrate; così che in molti casi il record risulta essere incompleto e non utilizzabile per analisi quantitative2024.

Uno dei calcoli maggiormente utilizzato per stimare la magnitudine alluvionale è la formula di Costa (basata sui dati dal Colorado Front Range); secondo questo metodo la velocità media (V) è calcolata in base alla dimensione delle medie dei costoni (Di) e poi moltiplicata per l’area trasversale per stimare la portata del flusso2025. Altro metodo è la formula di Carling (sviluppata per un bacino idrico

nell’Inghilterra settentrionale), dove, A, γ, S e n rappresentano rispettivamente l’area trasversale bagnata, peso specifico dell’acqua, il versante medio del canale, il coefficiente di arrotondamento di Manning2026.

Le procedure matematiche sin qui valutate per stimare la frequenza e la magnitudine sono risultate di scarsa applicabilità per il contesto alluvionale di San Rossore, trattandosi di una piana caratterizzata da un profilo paleo-morfogenetico difficilmente ricostruibile e in continua trasformazione a seguito della sinergia di eventi naturali a carattere catastrofico e dell’impatto antropico, registrato per più di 1200 anni.

È stata, dunque, elaborata una strategia ad hoc, in grado di elaborare i dati sin qui raccolti per la restituzione sia degli intervalli di ricorrenza sia della magnitudine alluvionale. Per quanto riguarda il primo aspetto, le analisi cronologiche hanno fornito picchi di concentrazioni di materiali ceramici in corrispondenza degli eventi di eguale e maggiore magnitudine, consentendo la ricostruzione della frequenza delle alluvioni, che hanno interessato, in primo luogo, l’Area 5 e, nel complesso, l’intero approdo di San Rossore.

Dai dati, sin qui raccolti, è stato possibile ricostruire la magnitudine degli eventi alluvionali, facendo ricorso alla seguente formula j=^6âZ ^6â\YäVZ8Zãã]áehbcd lfJgfjàJgLj%e.

2017 BROWN 1997, p. 331. 2018 BROWN 1997, p. 331. 2019 BROWN 1997, p. 331. 2020 BROWN 1997, p. 331. 2021 BROWN 1997, p. 332. 2022 BROWN 1997, p. 332. 2023 BROWN 1997, p. 332. 2024 BROWN 1997, p. 332. 2025 FOULDS ET ALII 2014. 2026 FOULDS ET ALII 2014.

I risultati ottenuti hanno consentito di confermare le ipotesi formulate, sino ad oggi, per quanto riguarda la storia alluvionale della piana di San Rossore, caratterizzata da fenomeni di dissesto idrogeologico ad alta energia, ma non tali da causare l’abbandono del sito. Relativamente alla ricorrenza, gli intervalli cronologici derivanti dall’analisi del campione ceramico restituito dall’Area 5 trovano corrispondenze con le datazioni proposte nell’ambito della sequenza stratigrafica complessiva del Cantiere. Al tempo stesso, il lavoro di ricerca ha consentito di perfezionare, in relazione all’Area 5 e rispetto alle ipotesi interpretative precedenti, la datazione degli eventi alluvionali più recenti nell’ambito del complesso palinsesto storico di San Rossore.