C’è un particolare tipo di prestito alle persone con oltre 65 anni su cui merita soffermarsi: si tratta del cosiddetto prestito vitalizio, che permette di rendere liquido un immobile di proprietà di una persona anziana.
Procediamo però con ordine. Il collegato fiscale alla finanziaria per il 2006 (legge 248 del 2 dicembre 2005) istituisce, all’articolo 11-quaterdecies, comma XII, il prestito vitalizio ipotecario, che viene definito dalla normativa come un finanziamento a medio-lungo termine, emesso dalle banche o da intermediari finanziari di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario86, “con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistit[o] da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservat[o] a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti.” Ad oggi (novembre 2006) non mi risultano usciti i decreti ministeriali attuativi della norma; è però possibile analizzare partitamente la definizione data dalla legge e vedere quali sono le opportunità offerte alle banche.
Gli elementi che caratterizzano il prestito vitalizio ipotecario sono i seguenti:
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I dati nel testo sono prese da Il Sole24Ore, inserto Affari Privati, 6 marzo 2006, pag. I.
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Si tratta dei soggetti che esercitano “attività di assunzione di partecipazioni, di concessioni di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento o di intermediazione in cambi”, la cui attività è riservata ad apposite società iscritte in un albo tenuto dall’UIC.
a) L’operazione non può essere effettuata da chiunque, ma solo da intermediari bancari o finanziari abilitati;
b) Il prestito viene contratto da un ultrasessantacinquenne, ma il rimborso, calcolato secondo le modalità sotto indicate, spetta interamente agli eredi, senza nessun’altra possibilità; c) Il prestito è a medio-lungo termine. La legge pone un vincolo preciso sulla natura del
prestito: si tratta di un’operazione bancaria a medio-lungo termine; questo fatto, unito a quello di cui al punto a), comporta che non possa quindi essere effettuata mediante strumenti tecnici diversi dall’operazione di mutuo bancario. Le procedure al fine dell’ottenimento dell’erogazione del credito sono quindi quelle tradizionali di un qualsiasi tipo di mutuo-casa e la valutazione del merito creditizio ha come base gli stessi criteri di un’ordinaria istruttoria di mutuo.
d) Capitalizzazione annuale di interessi e spese. Al contrario di quanto accade nei mutui-casa per così dire ordinari si permette (rectius: si impone) la capitalizzazione annuale degli interessi e delle spese.
E’ una novità di vasto rilievo nel panorama dei prestiti in Italia. Gli interessi e le spese maturati ogni anno vengono capitalizzati e diventano oggetto a loro volta di interessi e spese, dando vita al ben noto fenomeno dell’anatocismo bancario. E’ la prima volta che in Italia viene data piena legittimazione legislativa a quella che era un tempo una prassi comune alle banche, legittimata dagli usi, ma dichiarata poi illegittima da una sentenza della Corte di Cassazione; è un passo indietro del legislatore, fortunatamente circoscritto all’ambito di cui stiamo discutendo. L’impatto sui portafogli dei clienti è però abbastanza forte, come vedremo tra poco.
e) Rimborso integrale. A scadenza, che coincide con la morte del beneficiario, gli eredi devono liquidare il montante fino ad allora accumulato in un’unica soluzione, senza possibilità di dilazione. Per la verità, anche se la legge impone il pagamento in un’unica soluzione è possibile a parer mio, interpretare la legge in modo estensivo e avere la possibilità di pagare l’intero ammontare in più tranche; quello che non sarà possibile sarà la restituzione del mutuo secondo un piano di ammortamento tradizionale, con quote capitali e interessi predefinite. D’altra parte non sarebbe nemmeno possibile, visto il postulato della capitalizzazione di interessi e spese.
f) Ipoteca di primo grado su immobili residenziali. La legge richiede un solo tipo di garanzia, l’ipoteca di primo grado su un immobile destinato ad uso residenziale; non quindi un’ipoteca di secondo o terzo grado e nemmeno un immobile ad uso ufficio. La ragione di questa categorica affermazione sta nella ratio stessa della norma: se si tratta di un prestito
che ha come ragion d’essere lo smobilizzo del patrimonio immobiliare del cliente, è ovvio che il legislatore ponga il vincolo dell’immobile. Meno si capisce perché debba per forza essere residenziale: non andrebbe bene lo stesso un garage o un terreno? In questo modo si costringe il cliente spesso ad ipotecare la casa dove abita, mentre sarebbe più logico che ipotecasse prima il patrimonio immobiliare dove non risiede.
g) Il mutuo è riservato a persone fisiche che hanno compiuto i 65 anni d’età. Non basta dunque avere 65 anni come millesimi, bisogna proprio averli compiuti. L’aver precisato che a contrarre il mutuo siano solo persone fisiche è in realtà pleonastico, vista l’impossibilità delle imprese persone giuridiche a compiere gli anni o ad andare in banca per ipotecare un capannone…
I decreti ministeriali attuativi della norma appena commentata non sono mai usciti per cui i problemi che ha sollevato la norma al momento della sua entrata in vigore sono ancora attualissimi.
Innanzi tutto la solvibilità del richiedente o meglio, degli eredi del richiedente. Siccome infatti il prestito lo devono rimborsare gli eredi, la banca dovrebbe analizzare più la solvibilità di questi ultimi piuttosto che quella del richiedente credito. Ora, se questo fatto non ha il benché minimo impatto sull’aspetto patrimoniale, visto che i beni del debitore passano agli eredi, lo ha però su quello reddituale. Gli eredi infatti al momento in cui si troveranno a dover gestire la liquidazione del debito hanno di fronte a sé quattro possibilità:
a) pagare con mezzi propri;
b) vendere l’immobile ipotecato e con il ricavato pagare il debito;
c) vendere un altro immobile di loro proprietà e con il ricavato pagare il debito; d) accendere un altro mutuo, ovviamente a proprio nome.
Le soluzioni prospettate hanno tutte una serie di problemi non indifferenti.
La soluzione sub a) esige una liquidità immediata che spesso gli eredi non hanno; molte volte inoltre, anche se gli eredi hanno la possibilità di far fronte al pagamento de debito per questa via, manca la volontà di estinguere il debito con propri mezzi. Questo fatto infatti impoverisce nettamente e di un sol colpo le casse degli eredi, che si ritroveranno, è vero, un immobile di cui poter usufruire senza alcun tipo di vincolo, ma si ritroveranno anche senza una discreta parte di attività liquide che potrebbero essere utilmente investite in modi molto più redditizi.
La scelta di cui si sta trattando conviene agli eredi allorquando hanno redditi talmente elevati da poter mettere insieme, senza troppi sforzi, la somma necessaria ad estinguere il debito. Vi può essere anche il caso in cui essi estinguano il debito con i risparmi accumulati nel corso del tempo; in questo caso la convenienza risiederebbe nel fatto che l’immobile ipotecato sarebbe immediatamente liberato e quindi pronto per qualsiasi necessità. Di fatto, il primo dei due casi è un’ipotesi di scuola;
il secondo è possibile, anche se, lo ripeto, porterà via quanto meno la maggior parte dei risparmi disponibili.
La soluzione sub b) ha il pregio che gli eredi non devono spendere del loro, e il debito si estingue praticamente da solo. L’unica aspetto su cui dobbiamo porre l’accento è che l’acquirente dell’immobile ipotecato deve prestare un minimo di attenzione. Al momento della vendita infatti ci deve essere un accordo tra gli eredi e l’acquirenti affinché questi dia alla banca ciò che le spetta e la differenza agli eredi. Se infatti l’acquirente pagasse regolarmente il prezzo pattuito agli eredi, questi, anziché estinguere il debito, potrebbero trattenere per sé il ricavato della vendita.
La soluzione sub c) è forse la più lineare fra le quattro perché i problemi che pone sono solo quelli propri delle vendite immobiliari. Visto che l’immobile oggetto di vendita non è ipotecato non vedo problemi di sorta: gli eredi venderanno l’immobile e con il ricavato estingueranno il debito e cancelleranno l’ipoteca.
L’ultima delle soluzioni proposte comporta, come la prima, un onere per gli eredi. Nel caso sub a) tale onere era diretto, perché gli eredi pagavano il debito con mezzi propri; nel caso sub d) invece, l’onere è di tipo indiretto perché gli eredi rimborsano il mutuo con l’accensione di un altro mutuo, sobbarcandosi a loro volta un debito. Il vantaggio per loro sta nel fatto che il mutuo acceso viene rimborsato secondo un preciso piano di ammortamento e non in un’unica soluzione come la legge prescrive obbligatoriamente per il prestito vitalizio.
La banca, al momento della concessione del prestito vitalizio – torniamo in questo modo al problema iniziale della solvibilità degli eredi – sebbene non sappia come gli eredi intenderanno onorare il debito del defunto, deve comunque fare un’attenta analisi della situazione reddituale degli eredi per l’ottenimento di una maggiore garanzia di solvibilità. Bisogna evitare che gli eredi non sappiano nulla del debito del defunto e ne vengano a conoscenza dalla comunicazione che la banca invierà loro; molto meglio invece se della notizia della stipula del mutuo gli eredi vengano messi a conoscenza non appena questo viene contratto; meglio ancora se la scelta di contrarre un mutuo non è la decisione individuale dell’ultrasessantacinquenne, ma è condivisa anche da coloro che poi si troveranno materialmente ad estinguerlo.
Altro problema connesso sempre alla mancanza di informazioni tra contraente mutuo ed eredi è la mancata accettazione dell’eredità da parte di questi. Dico che è connessa alla mancanza di informazioni perché, se queste ci fossero e quindi gli eredi sapessero dell’esistenza del mutuo prima della morte del contraente, sicuramente accetterebbero l’eredità. Se comunque gli eredi non dovessero accettare l’eredità, la banca non avrebbe altra scelta che rifarsi sull’immobile ipotecato attraverso la procedura di esecuzione giudiziaria.
La legge non prevede nulla nel caso in cui manchino del tutto gli eredi e la banca non lo sappia al momento della contrazione del mutuo: in questo caso non è chiaro chi effettivamente eredita il debito. Nel caso in cui manchino gli eredi infatti il codice civile stabilisce che l’eredità vada allo Stato, ma in questo caso potrebbe sorgere qualche dubbio in merito.
Si apre a questo punto una questione più ampia connessa all’ignoranza della banca sugli effettivi eredi del beneficiario del mutuo: la banca dovrebbe sempre chiedere al cliente chi sono i suoi eredi, ma questi non è tenuto a dirglielo. Se questo accade, quale comportamento terrà la banca? Il comportamento più logico e coerente è che non eroghi il prestito, ma non dobbiamo dimenticare che il beneficiario costituisce ipoteca su un immobile per garantirla e per la banca il prestito vitalizio significa interessi e spese capitalizzati finché il cliente è in vita. La risposta al quesito che ci siamo posti dunque non è così immediata e la banca dovrà scegliere, in caso di rifiuto del cliente a fornire ad essa il nome degli eredi, tra un prestito la cui restituzione è praticamente certa e un’incognita che gli eredi, una volta trovati, oppongano all’istituto creditizio la pregiudiziale di non aver avuto una informativa adeguata al momento della stipula del mutuo. Dobbiamo poi ricordare che per la banca trovare gli eredi di cui non si sa il nome è un costo non indifferente; se per caso non si riuscissero a trovare la banca potrebbe cominciare una procedura esecutiva giudiziaria all’insaputa degli eredi, con evidenti problemi procedurali.
Altro problema ad esso connesso è quello della notizia della morte del cliente. Supponendo che nessuno si preoccupi di avvertire la banca dell’avvenuto decesso, l’istituto creditizio continuando a credere in vita il cliente, non solo non richiederà il rimborso del prestito agli eredi, ma addirittura continuerà a calcolare gli interessi come se il cliente fosse ancora in vita.
Si arriva a questo punto ad un problema di carattere economico molto interessante, sia per il cliente sia per la banca. La legge prevede la capitalizzazione di spese e interessi fino alla liquidazione del montante così ottenuto al momento della morte del contraente; questo significa che gli interessi dipenderanno dal numero di anni vissuti dal contraente: più sono gli anni vissuti più alto è il debito. Questo fatto comporta, oltre all’inevitabile disappunto degli eredi, che il debito per spese e interessi possa superare quello per il capitale preso a prestito, nell’ipotesi, non poi tanto peregrina, che il contraente viva più a lungo dell’aspettativa media per persone con le sue caratteristiche. Posta in questi termini alla banca la sopravvivenza del cliente non può che fare piacere, ma non dobbiamo dimenticare che esiste in Italia una normativa antiusura e che un caso del genere probabilmente ricade nella violazione di tale normativa; siccome la legge istitutiva del prestito vitalizio non deroga alle disposizioni antiusura, c’è da chiedersi se non ci sia una soglia massima nella capitalizzazione degli interessi.
Al di là delle ragioni personali che potrebbero spingere gli ultrasessacinquenni a contrarre un mutuo ipotecario vitalizio, ce n’è una che le assomma tutte: la necessità di liquidità. Il mutuo in questione è stato pensato per rendere liquido un investimento, quello immobiliare, che è per sua natura difficilmente liquidabile. Le ragioni per cui un soggetto dovrebbe trasformare in liquidi un appartamento di sua proprietà è strettamente legato al problema pensionistico: il primo pilastro della previdenza sociale infatti erogherà nei prossimi anni una percentuale sempre più bassa di pensione in relazione all’ultimo stipendio percepito, aprendo quindi la strada a forme, già in parte esistenti, di previdenza integrativa e complementare. Uno dei modi di ottenere liquidità è proprio quello del prestito ipotecario di cui si tratta, che non a caso si chiama vitalizio. Ci si potrebbe chiedere perché ora e non tra qualche anno, quando le pensioni saranno sicuramente di ammontare inferiore rispetto all’oggi; il legislatore ha voluto probabilmente anticipare un provvedimento che avrebbe preso nei prossimi anni. Per inciso si nota che non è certo questo provvedimento che risolverà il problema delle pensioni in Italia, anzi, non fa altro che far gravare i debiti contratti dalle generazioni precedenti sui giovani.
L’esigenza di liquidità di una persona con più di 65 anni e una pensione tale da non potersi permettere nessun tipo di risparmio, può essere soddisfatta anche attraverso la vendita della nuda proprietà dell’immobile posseduto. Il risultato in questo caso sarebbe lo stesso: l’ottenimento di un certo ammontare di liquidità a costo zero per l’usufruttuario, così come a costo zero era il prestito vitalizio per il contraente.
Il vantaggio principale della vendita della nuda proprietà è che spesso si riesce ad ottenere una somma di denaro superiore a quella ottenibile con il prestito vitalizio; lo svantaggio principale invece consiste nel fatto che l’immobile può non avere mercato. La nuda proprietà infatti trova un acquirente solamente se l’immobile è di pregio; nel caso di un appartamento di ridotte dimensioni, alla periferia di una grande città non è pensabile vendere la nuda proprietà. Bisogna poi aggiungere, sempre in merito ai vantaggi e agli svantaggi dell’uno e dell’altro, che il prestito vitalizio è erogato da una banca, soggetto vigilato dalla Banca d’Italia, mentre nel caso dell’acquirente della nuda proprietà non esiste nessun tipo di controllo.
Non esiste comunque la soluzione migliore in assoluto tra vitalizio e vendita della nuda proprietà. Quando la persona anziana ha bisogno di liquidità deve considerare molte variabili, tutte afferenti la sfera personale: presenza o mancanza di eredi, legami affettivi con gli eredi, patrimonio posseduto, reddito percepito (ad esempio se oltre alla pensione avesse altre rendite), ammontare di denaro necessario. Soltanto dopo aver valutato tutti questi fattori la persona può compiere una scelta ponderata e in linea con le proprie esigenze.
Non essendo ancora stati emanati i decreti attuativi della legge in commento le banche stanno attualmente pensando alle proposte da mettere in atto, ma soltanto una banca ha effettivamente messo sul mercato un prodotto rispondente ai dettami legislativi: si tratta di Finanza Attiva (gruppo COFIDE) che offre un prodotto detto proprio prestito vitalizio. In esso la percentuale finanziabile oscilla tra il 20 e il 50% del valore dell’immobile dato in garanzia, il cui valore comunque non deve essere inferiore ai 150.000 euro; i restanti elementi del contratto non differiscono da una tradizionale erogazione di un mutuo-casa: istruttoria del fido, valutazione dell’immobile concesso in garanzia, spese notarili e così via.
Il prodotto sopra descritto ha però un particolarità che merita di essere accennata: al momento della stipula del contratto il contraente deve obbligatoriamente sottoscrivere un mandato irrevocabile a favore della banca. Nel caso in cui gli eredi non riescano a vendere l’immobile ipotecato oppure non siano identificabili, la banca provvede a venderlo per loro conto; è un modo – spiegano alla banca – per evitare le lungaggini della procedura esecutiva. E’ un modo sicuramente comodo per sveltire le procedure giudiziarie in caso di mancato pagamento da parte degli eredi anche se sembrano sussistere dubbi sulla validità contrattuale di una clausola in tal senso87.
In conclusione, il prestito vitalizio è un prodotto che ha il pregio di rendere liquido un investimento immobiliare senza tuttavia perderne la proprietà, fornendo dei vantaggi, quale ad esempio il ritorno agli eredi della differenza tra il prezzo di vendita dell’immobile e quanto dovuto alla banca, che non ha la nuda proprietà. In entrambi i casi, cioè sia nel prestito vitalizio che nella vendita della nuda proprietà, vi è la perdita dell’immobile, ma almeno, nel caso del prestito vitalizio, sarà possibile per gli eredi percepire un residuo, per quanto minimo. Di certo in nessuno dei due casi gli eredi, essendo coloro che alla fine pagano il debito, saranno contenti della scelta fatta dal parente da cui ereditano.