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5. Regolamentazione e Piani di azione nazionale: situazione attuale e

5.2 I piani di azione nazionali

5.2.1 Il Piano d’azione italiano

Nel dicembre 2016 l’Italia ha presentato il proprio PAN su impresa e diritti umani e relativo al periodo 2016-2021258. Il lavoro è un prodotto del Comitato interministeriale dei diritti umani (CIDU), che ne ha coordinato i tavoli con il supporto degli altri ministeri ed istituzioni, nonché attraverso la consultazione di esperti e stakeholder provenienti dalle categorie imprenditoriali, sindacali e ONG. Il progetto finale è stato arricchito in particolar modo, da una procedura di consultazione pubblica online sulla bozza conclusiva, alla quale ha preso parte la società civile e che ha poi condotto alla formulazione dell’attuale documento.

Il Piano di Azione formulato dalle autorità italiane si concentra in sei priorità, periodicamente sottoposte a monitoraggio ed aggiornate dall’istituendo Gruppo di lavoro su Impresa e Diritti Umani e che costituiscono il programma di misure che il governo prevede di adottare. Gli aspetti chiave della programmazione proposta sono individuabili nella promozione di processi di Human Rights due diligence, volti a identificare, prevenire e mitigare i potenziali rischi, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Tali obiettivi si concentrano in particolare: nel contrasto al caporalato e alle forme di sfruttamento, schiavitù e lavoro irregolare con particolare attenzione ai migranti e alle vittime di tratta; nella promozione dei diritti fondamentali del lavoro nel processo di internazionalizzazione d’impresa; infine, nella promozione della protezione e della sostenibilità ambientale.

Oggetto di particolare impegno è la tutela per i gruppi più vulnerabili quali donne, minori, persone con disabilità, LGBT, migranti e richiedenti asilo; minoranze etniche e/o religiose; e, l’attuazione di una iniziativa di promozione e realizzazione dei 17 obiettivi dell’agenda di sviluppo sostenibile, nella quale si riconosce il ruolo delle realtà imprenditoriali259.

In una specifica sezione dedicata che alle aspettative riposte nei confronti del settore privato, il governo italiano invita le imprese a definire una propria politica in materia di

258 Comitato interministeriale per i diritti umani, Piano di azione nazionale Impresa e diritti umani 2016-2021, 1 Dicembre 2016. Disponibile:

https://cidu.esteri.it/comitatodirittiumani/resource/doc/2018/11/all_1_-_pan_bhr_ita_2018_def_.pdf.

259 Ibidem, par.1.

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diritti umani con la previsione meccanismi aziendali di due diligence utili a identificare, calcolare e prevenire ogni potenziale rischio di violazione dei diritti umani nello svolgimento della propria attività, inclusi partner e fornitori. La disciplina, in piena corrispondenza con le raccomandazioni provenienti dai Guiding Principles, si completa con la previsione di meccanismi di reclamo necessari a rimediare all’impatto negativo prodotto dalle imprese, o che abbiano contribuito a causare, o che sia collegato alle loro operazioni economiche260.

Di particolare rilevanza la serie di attività in corso elencate in merito ai diversi aspetti affrontati nei Principi Guida ONU nella parte IV del documento, con le molteplici misure previste in riferimento al contrasto al lavoro irregolare e al caporalato, soprattutto nel settore agricolo e le attività di formazione sui diritti umani e imprese per l’intera rete diplomatica e consolare italiana, funzionari pubblici e avvocati261.

Un interessante richiamo è quello dell’applicazione di un processo di due diligence implementato all’intera catena di fornitura per imprese che operano in «zone a governance debole», in particolare alla luce del Regolamento Europeo approvato nel marzo 2017 riguardante l’attività delle imprese europee nel settore dei conflict minerals262. Il PAN risulta contenere un chiaro e specifico schema riassuntivo delle attività già poste in essere e degli impegni futuri presi dal Governo italiano nella tematica di promozione del binomio Impresa e Diritti umani, senza però individuare una chiara tempistica per l’attuazione delle misure previste, così come per l’applicazione pratica delle azioni previste ed il monitoraggio degli obiettivi raggiunti263.

Il piano d’azione italiano segna un passo importante che ambisce ad allineare con le politiche internazionali un ordinamento nel quale sono già presenti specifiche normative di settore. Tra queste si accenna alla disciplina sul c.d. rating di legalità che affida all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato il compito di certificare la conformità della stessa impresa alla legislazione nazionale vigente (ivi incluse alcune disposizioni in tema di diritti sul lavoro) o il rispetto da parte della stessa di pratiche di responsabilità sociale dalla quale dipendono una serie di vantaggi in sede di concessione di

260 Ibidem, p. 9.

261 Ibidem, pp. 16 - 17. Soprattutto da parte delle ONG si rileva in tali misure una poca attenzione al profilo della tutela delle vittime e, in particolare, dei migranti in posizione irregolare.

262 Ibidem, Parte IV B, p. 24.

263 La prevista revisione di medio periodo dovrebbe avvenire nel 2018.

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finanziamenti pubblici e agevolazioni per l’accesso al credito bancario264. A quest’ultima fattispecie è riconducibile la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. 231/2001265.

Quest’ultima ha introdotto nell’ordinamento una vera e propria responsabilità di impresa per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato266, in origine collegati ai fenomeni di corruzione e successivamente estesa ad altre fattispecie criminose fino a ricomprendere attualmente specifiche violazioni dei diritti umani quali: la pratica delle mutilazioni genitali femminili, la prostituzione e pornografia infantile, la tratta di esseri umani e schiavitù, i reati transnazionali e i nuovi reati ambientali (disastro ambientale, inquinamento ambientale, mancata decontaminazione, etc.)267.

Tale forma di responsabilità impone la previsione di un vero e proprio obbligo di due diligence aziendale che si sostanzia nel dovere per le imprese di adottare dei modelli organizzativi ed i relativi sistemi di monitoraggio funzionali a prevenire la commissione dei reati sanzionati.

La responsabilità delle imprese ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 può essere invocata anche con riguardo alle violazioni dei diritti umani commesse da imprese italiane operanti all'estero, in particolare nelle ipotesi in cui parte della condotta criminosa si sia verificata in Italia. Il Piano nazionale purtroppo segnala unicamente i casi limitati di cui agli artt. 4, D. Lgs. cit. e 7, 8, 9 e 10, c.p.268 , che riguardano invece il caso in cui il reato sia commesso interamente all'estero. Con riferimento ai gruppi societari multinazionali, sarà dunque possibile procedere in Italia nei confronti della società capogruppo italiana ove sia

264 Art. 5ter d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle

infrastrutture e la competitivita”.

265 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della

legge 29 settembre 2000, n. 300”.

266 V. Corte di Cassazione (sezioni unite penali), I. s.p.a., F. s.p.a, F.C. s.p.a., F.I. s.p.a., sentenza del 2 luglio

2008, n. 26654.

267 D.Lgs. n. 231/2001 Art. 25-quater. 1. (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili),come modificato dalla Legge n. 7 del 9 gennaio 2006, n. 7 ; Art. 25quinquies (Delitti contro la personalità individuale) come modificato dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38; Art. 25septies (Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro ); Art. 25 undecies (Reati ambientali); Art. 25 duocecies (l’impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare).

268 PAN(versione italiana) Parte IV B, p.27.

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dimostrato il concorso di un suo esponente nel reato commesso in parte all'estero.

Invece, ove il contributo partecipativo sia avvenuto interamente all'estero, occorrerà l'integrazione dei requisiti di cui all'art. 4, D. Lgs. n.231/2014.

Il meccanismo di responsabilità qui sopra descritto, può senz’altro fungere da modello per introdurre nell’ordinamento interno italiano un obbligo generale di due diligence aziendale in materia di diritti umani sia in una prospettiva di responsabilità penale, estendendo ad esempio, proprio l’ambito ratione materiae del decreto 231/2001 all’osservanza dei diritti umani, sia in una prospettiva di responsabilità civile, ripercorrendo il c.d. enlightened management approach esistente nel diritto societario di alcuni Stati. Ciò vale, ad esempio, per la Section 172 del Company Act del 2006 del Regno Unito:come noto, tale normativa pone sui dirigenti d’azienda un peculiare dovere di diligenza (c.d. duty of care), ossia promuovere il successo dell’azienda e di preoccuparsi a tal fine anche di quei fattori che possono condizionarlo, ivi inclusi gli interessi dei suoi dipendenti nonché l’impatto delle sue operazioni sulle comunità locali.

Nel quadro delle recenti innovazioni normative in materia, appare necessario segnalare ancora la previsione della disciplina delle benefit corporations. Introdotta con la legge di stabilità per il 2016, questa ha reso l’Italia, la prima in Europa a mutuare dalla normativa statunitense tale istituto che afferisce alla regolamentazione di società, che pur perseguendo uno scopo di lucro, utilizzano il profitto come mezzo per creare un beneficio, massimizzando il loro impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e l'ambiente269.

5.3.I FENOMENI DI AUTOREGOLAMENTAZIONE DELLETICA DI IMPRESA

5.3.1 I CODICI DI CONDOTTA DI RSI COME STRUMENTO DI AUTOREGOLAMENTAZIONE AZIENDALE

La responsabilità sociale di impresa nasce come fenomeno autoregolamentato, condotto da iniziative volontarie, mediante le quali, un gruppo di attori privati disciplinano la condotta della propria attività e dei propri membri, sulla base di determinate norme che sono compilate in un codice di condotta. Imprese, ma anche organizzazioni non governative e associazioni private a carattere transnazionale hanno elaborato propri

269 Legge 28 dicembre 2015, n. 208, commi 376-384.

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codici di condotta, ispirandosi agli strumenti adottati dalle organizzazioni internazionali, che assolvono alla funzione di parametri di riferimento.

L’elaborazione di tali strumenti di autoregolamentazione consente all’impresa di impegnarsi socialmente, mediante un complesso di regole atte a disciplinare il proprio comportamento dell’impresa, assicurando i cosiddetti core beliefs e che dunque, le attività produttive promuovano non solo i propri profitti, ma anche un benessere sociale, capace di riflettersi all’interno dell’azienda o all’esterno, a beneficio della comunità e del territorio.

La scelta autoregolamentare può spesso dimostrarsi una valida alternativa in termini di efficacia rispetto agli standard internazionali; questa permetterebbe infatti di andare oltre la genericità, adattandosi e specificando in modo organico i criteri di condotta che l’impresa si impegna a rispettare, contribuendo al tempo stesso, alla conoscibilità degli stessi all’interno delle diverse unità produttive. L’origine dell’iniziativa unilaterale e volontaria promanante dalla stessa azienda stimerebbe l’assicurazione di un più alto impegno da parte di quest’ultima e bassi costi per i governi, superando anche le incertezze giuridiche che derivano dalle realtà normative nazionali e internazionali, a volte lacunose.

Borgia sostiene che la scelta di autoregolamentarsi per le imprese, risponde ad una specifica strategia politica preventiva nei confronti dei Governi, capace di per evitare l’adozione di una disciplina normativa obbligatoria e restrittiva della loro libertà d’azione.

Ciò che è verificabile è che l’immagine di impresa rispettosa di parametri etico-sociali dona a quest’ultima un potere economico ulteriore, di fiducia rispetto ai propri interlocutori commerciali, stati compresi, e di visibilità rispetto alla concorrenza270. L’elaborazione dei codici di condotta risale all’emergere dei dibattiti sul binomio imprese e diritti umani, in particolare, in uno studio di fine anni novanta condotto da Mendes e Clark si individuavano e classificavano ben cinque generazioni di codici di condotta271. La prima, riscontrabile intorno agli anni settanta con i primi codici dedicati alla

270 Borgia F., Responsabilità sociale d'impresa e diritto internazionale: tra opportunità ed effettività, Ianus

2010, p.19-20 disponibile online:

http://www.unisi.it/ianus/Numero%202/08.%20Fiammetta%20Borgia.pdf.

271 Mendes E.P., Clark J.A., The Five Generations of Corporates Codes of Conduct and Their Impact on Corporate Social Responsibility, Human Rights Research and Education Centre dell’Università di Ottawa, 1996.

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regolamentazione prevalentemente a favore dell’impresa, dei suoi interessi e di quelli dei suoi investitori con una disciplina riconducibile al conflitto di interessi. Una seconda generazione di codici di condotta può essere fatta risalire agli anni Ottanta, con parametri di condotta ispirati ad un comportamento commerciale etico, che rifuggisse da episodi di corruzione, assicurando la reputazione aziendale. Il decennio successivo, figlio dell’esperienza delle prime delocalizzazioni industriali verso i paesi in via di sviluppo, si caratterizzava per l’apertura dei codici di condotta tematici quali il rispetto dei diritti dei lavoratori, in particolare sensibilizzando a pratiche contro lo sfruttamento e nello specifico, del lavoro minorile. La quarta generazione di codici è stata segnata dall’avvento dei grandi disastri ambientali del Bhopal e Exxon Valdes e, alla luce di ciò la nuova nozione di responsabilità sociale ha iniziato ad occuparsi anche di altre tematiche, quali:

la protezione dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e il rispetto per le comunità locali che vivono nelle aree interessate dalla produzione industriale.

L’ultima generazione di codici di condotta, riconducibile alle condizioni in Sud Africa nell’era dell’Apartheid, si è caratterizzata invece per le disposizioni relative al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, volte ad evitare che le imprese multinazionali potessero essere complici di regimi oppressivi ed autrici di gravi violazioni dei diritti umani (I Sullivan Principles).

L’ambito di applicazione di tali forme di autodisciplina appare essere piuttosto variabile.

In alcuni casi, l’obbligo di rispettare le previsioni del codice è richiesto solamente ai dipendenti, in altri casi anche ai fornitori, agli appaltatori e a chiunque abbia relazioni economiche con l’impresa multinazionale, amplificando così la portata dei principi contenuti nel codice.

Dal momento che l’adozione di tale strumento non è imposta da alcuna autorità (nazionale o internazionale), la sua efficacia è interamente demandata all’impresa multinazionale che lo ha adottato.

Generalmente, anche per i codici di condotta autoregolamentati sono istituiti una serie di meccanismi di controllo sotto forma di monitoraggio interno ovvero generiche misure disciplinari, gestiti direttamente dall’ente promanante e solitamente indipendenti dagli organi di gestione.

Un esempio peculiare di autoregolamentazione è quello ideato da Nestlé, che dal 2009 con un approccio di sensibilizzazione alla questione, ha avviato una collaborazione con

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il Danish Institute for Human Rights finalizzata all’elaborazione del suo primo Human Rights Impact Assessments (2010)272. Trattasi di un’attività di programmazione, ispirata agli UNGPs e che si occupa di supportare attraverso l’enumerazione di otto principi guida la dovuta diligenza richiesta al colosso transnazionale nel rispetto dei diritti umani.

Come accade per i codici intergovernativi, nel momento in cui confluiscono nella disciplina contrattuale anche le disposizioni dei codici aziendali, possono diventare obblighi; non è inusuale per le imprese di richiamare ai dettami autoregolamentanti, facendone discenderne veri e propri vincoli contrattuali per il contraente.

La società IKEA, impegnata nella lotta contro il lavoro minorile dichiara nel proprio codice di autoregolamentazione di non far ricorso a tali pratiche di manodopera nella propria produzione, estendendo tale garanzia anche ai suoi fornitori e sub-fornitori.

Questi ultimi sono tenuti a sottoscrivere l’apposito regolamento “The IKEA way on purchasing home furnishing products”, impegnandosi a loro volta a d applicarlo273. L’inosservanza delle disposizioni contenute nei codici di condotta adottati può acquisire rilievo giudiziale in due modi: in primis, la mancata conformità a quanto pubblicamente dichiarato può essere considerata violazione della buona fede contrattuale ad opera dell’impresa, determinante il falso convincimento che l’attività economica sarebbe stata condotta nel rispetto di determinati standards. In secondo luogo, gli operatori economici di un mercato in regime di concorrenza e i consumatori potrebbero far valere, alla luce tanto della giurisprudenza statunitense che della normativa europea esaminate, la violazione da parte dell’impresa delle norme sul divieto di pratiche commerciali sleali e ingannevoli.